Venezia .68. “Tao jie (A simple life)”: quando la delicatezza è un’esplosione emotiva (In Concorso)
Il cinema orientale, ormai, ha recuperato e nobilitato una linea di racconto che ricuce la relazione con la dimensione individuale.
In “Tao jie (A simple life)” di Ann Hui un’insolita delicatezza fa breccia nell’animo dello spettatore.
Credo non ci sarebbe stata alcuna necessità di ricevere questa ennesima conferma. Tuttavia, Ann Hui ci ha tenuto a ribadirlo: il cinema orientale, ormai, ha recuperato e nobilitato una linea di racconto che ricuce la relazione con la dimensione individuale, mentre in altre parti del globo si cerca di uscire dai confini dell’umano e del naturale. Il cinema orientale, e Hong Kong in questo caso, si distingue per un sublime nuovo modo di narrare, che ha dato vita alla new wave contemporanea, spalleggiata in questa opera dalla femminilità del tocco registico; questa tentacolare linea di pensiero ha in realtà di base l’essenzialità del racconto, l’osservazione taciturna della bellezza della vita e degli accadimenti, l’energia esuberante e travolgente che nasce dalle “piccole cose”, dal piacere del cibo, dal piacere della condivisione e dell’incontro.
Ah Tao è la domestica della famiglia Leung; è con loro da quattro generazioni, e conosce la famiglia e le sue abitudini meglio di chiunque altro. Il lavoro e la vita hanno portato la famiglia a separarsi e Ah Tao è rimasta a badare a Roger, che vive ancora ad Hong Kong e lavora nel cinema dei cazzotti hongkongese. Un giorno, di ritorno dal lavoro, Roger trova Ah Tao colpita da un infarto. A quel punto, minata la sua indipendenza, la donna decide di ritirarsi dal lavoro per restare in una casa di riposo per anziani.
In una curiosa inversione dei ruoli, Roger si trova a preoccuparsi dell’anziana signora, sola e senza parenti, come mai prima aveva fatto, permettendo così il consolidarsi di un legame ch’egli aveva fino a quel momento dato per scontato.
Ah Tao, d’altro canto, trasferitasi nella casa di riposo, si trova a dover riformulare i propri legami affettivi con quegli sconosciuti che condividono con lei la vita pacata della pensione; ciascuno di loro ha qualcosa di nuovo da offrire e in risposta riceve attenzioni incondizionate e affettuose. Lo sconfinato istinto materno che caratterizza questa donna, gratuito e disinteressato, è commovente e mette anche lo spettatore a tu per tu con i propri sentimenti e la propria disposizione all’aiuto.
Le condizioni di Ah Tao vanno peggiorando nel tempo, ma Roger non si risparmia e continua a seguirla e ad animare le sue giornate altrimenti schiacciate dall’uniformità della sua vecchiaia e della sua solitudine parentale.
Il film è tratto da una storia vera, scritto con equilibrio da Roger Lee e Susan Chan, e recitato egregiamente, con passione, perfezione stilistica ed emotiva – non per niente i ruoli principali sono affidati a Andy Lau, premiatissimo attore hongkongese, e Deanie Ip, eccelsa e commovente. I personaggi sono studiati puntigliosamente, dalla gestualità all’abbigliamento, dalle abitudini culinarie ai difettucci e ai vizietti, cercando di rappresentare così la innocente normalità delle loro giornate (Roger che legge le istruzioni del fornello a gas, Ah Tao che sceglie le zucchine; entrambi che scherzano del passato e del presente parlando di bibite gassate e cibi saporiti).
Quando il decorso della vecchiaia mette a confronto entrambi con la morte, emerge tutta la nobile filosofia che sta alla base di quella accettazione naturale del trapasso, rispettato e nobilitato dalla presenza di coloro che hanno amato con sincerità la signora Ah Tao per tutta la vita.
Forse è logico aspettarsi dall’Est un cinema così sentimentale; ma questa di Ann Hui è una delicatezza insolita che mi auguro possa scalfire il cuore dei giurati come penso uniformemente abbia intaccato quello delle platee. La lacrima qui non è mai una reazione pietosa, ma sincera commozione di fronte alla forza d’animo irrefrenabile della nonnina e al suo terminare mansueto di un cammino felice. Per questa volta, vivere alle dipendenze di una famiglia non è una scelta forzata che conduce a un’irrimediabile povertà, ma una svolta nella vita che offre altre ricchezze di spirito e di vita, che trapelano dallo schermo come fossero universali.
Mi auguro che chi premia si accorga di questa miracolosa formula che stimola la riflessione interiore sul senso degli affetti, sul rispetto dell’anzianità, sullo scambio di cure e sulla deferenza per la morte. Mi auguro che chi premia non renda vano l’inevitabile sperpero di kleenex avvenuto.