Disponibile su Netflix, Zombieland – Doppio colpo, secondo capitolo del cult del 2009, è un ritorno gradito, ma con meno fantasia e irriverenza di quanto ci si potesse aspettare.
Zombieland – Doppio colpo: la trama
Sono trascorsi sei anni da quando il mondo è sprofondato nella più classica delle apocalissi zombie. Columbus, Tallahassee, Wichita e Little Rock (Jesse Eisenberg, Woody Harrelson, Emma Stone, Abigail Breslin) vi si aggirano tra rovine e non morti sempre più evoluti. Tra questi, il modello T-800 (in onore di Terminator) darà non poco filo da torcere a una compagnia messa già a dura prova da incomprensioni e desideri di libertà.
L’era degli zombie
“Avete un’ampia scelta di svago a tema zombie. E siamo felici che abbiate scelto noi.” È lo stesso Jesse Eisenberg, mentre ci introduce ancora una volta nel suo mondo postapocalittico, a evidenziare forse l’unico vero problema di Zombieland – Doppio colpo. Quando il primo film diretto da Ruben Fleischer uscì nelle sale era infatti il 2009 e il genere era all’apice della sua rinascita. Inevitabile, dunque, che negli anni a seguire avremmo assistito alla sua naturale saturazione, tra parodie sempre meno riuscite (Warm Bodies) ed epopee all’apparenza senza fine (The Walking Dead). In poco più di un decennio la figura dello zombie era stata sviscerata (anche letteralmente) in ogni sua sfumatura, invadendo ogni anfratto della cultura pop, dai film ai fumetti, dalla serialità ai videogiochi (The Last of Us). Come raccontare allora, con originalità e la giusta dose di cinismo, una storia che ormai conoscevamo a menadito?
Squadra che vince…
La soluzione di Zombieland – Doppio colpo pare essere quella di ignorare direttamente la domanda, come se tutta quell’acqua sotto i ponti non fosse mai passata e quel mondo si potesse ancora affrontare con lo stesso spirito delle origini. È così che, concentrandosi sulle dinamiche dei suoi sempre affiatati protagonisti e sui loro imprevedibili e bizzarri modi per continuare a sopravvivere, il film prosegue dritto per la sua strada. Il risultato è un on the road programmat(ic)o che se funziona da un punto di vista comico (il triangolo tra Columbus, Wichita e la new entry Madison di Zoey Deutch) presta però il fianco a una povertà di idee e situazioni spesso evidente.
A volte ritornano
Tra case bianche, equivoci mortali e imitazioni di Elvis, anche il proverbiale citazionismo si fa così meno intelligente e originale del film precedente e la sua graffiante allegoria socio-politica lascia il posto a qualche stereotipata macchietta (la comunità hippy di Babilonia) e nulla più. È ormai lontana la lezione di George Romero cui, con tutto lo spirito dissacrante del caso, anche il primo film si ispirava. Eppure, se si accettano le premesse, l’umorismo nerd sempre uguale a se stesso e un gusto per il gore capace, questo sì, di non venire mai meno, anche questo Zombieland può essere in grado di intrattenere e divertire, dando un senso compiuto all’operazione.
D’altronde, se non ritornassero, che morti viventi sarebbero?