Una profonda e struggente riflessione sulla grandezza di un uomo e la capacità del suo pensiero di cercare di cambiare le cose di un Mondo senza più sogni
Bakit Mukul e Dastan Zhapar Uulu dirigono un film che dal Kyrgyzstan incanta e consuma le sensazioni, non sempre facili da esprimere, su quello che vorremmo essere e non siamo. The road toEden (Akyrky Koch) è un dramma ispirato alla speranza e alla fiducia nel cambiamento, all’idea che si possa attraversare il Mondo almeno con la consapevolezza che non tutto è perduto. Prodotto da KyrgyzFilm e Bilimkana Foundation, è in concorso nella sezione Panorama Internazionale del Bif&st (Bari International Film Festival).
The road to Eden, la trama
Kubat Aliev è uno dei padri della letteratura del Kyrgyzstan ma da tempo ha smesso di scrivere. La sua vecchiaia è scandita da una stanca routine che coincide con quella che affligge il suo Paese. Triste per la grave malattia di Sapar, lo scrittore che più di tutti vede come suo erede, vende il suo appartamento per procurarsi del denaro per garantirgli cure migliori. Lo aiuta il nipote prediletto Tilek, combattuto tra il rispetto per quello che era stato il patriarca della famiglia e gli interessi materiali che spingono la sua vita.
Visioni
la storia raccontata in The Road to Eden trae fondamenta dall’esperienza di Dastan Zhapar Uulu che, in un certo senso, compie un omaggio verso tutti gli artisti che hanno contribuito allo sviluppo del suo Paese. Insieme a Bakit Mukul mette in scena un’accorata poesia in immagini che rifiuta la malinconia del presente per tradurre un messaggio di speranza per il futuro. Lo fa con movimenti di macchina vecchio stile. Condotti con tale sapienza nelle inquadrature e nella loro composizione, appaiono come l’unico modo possibile di girare. Vere e proprie visioni pittoriche prendono vita sul grande schermo. Mentre La camera di Van Gogh si materializza in quella che Kubat Aliev occupa nell’ospizio, in esterni si compie un’altra magia. L’arrivo della carovana nomade ritratta nel quadro appeso nello studio di Aliev si trasforma in realtà. Una visione mirabolante che, accompagnata dalla quanto mai appropriata musica di Balasagyn Musaev, ricorda il maestoso sopraggiungere del mucchio selvaggio in Il mio nome è nessuno. Un miracolo.
Andate tutti a caccia di cose materiali ecco perché non vedete i miracoli
Kubat Aliev
The road to the Eden, la fotografia
La fotografia di Dastan Zhapar Uulu è un qualcosa che va al di là del semplice sapiente espediente tecnico. Il bianco e nero dominante appare materia composita della macchina da presa. I chiaroscuri ne seguono i movimenti acuendone la fissità e incrementandone lo slancio alla bisogna. Una prova di grande coerenza narrativa che si sublima nelle sequenze finali con la rappresentazione di uno stato d’animo che supera il confine dell’io e si palesa come necessità di un territorio, di un popolo, di una nazione. Ritrovare il colore della vita, delle cose, della volontà e cambiare senza lesinare in coraggio e senza abdicare alla propria dignità diventa un imperativo da perseguire in ogni modo.
Marat Alyshpaev
Un discorso a parte merita l’interprete principale di questa storia. Marat Alyshpaev è semplicemente strepitoso. Facendo leva su di un empatico linguaggio del corpo trasmette con grande abilità tutta la personalità del proprio personaggio. Una recitazione che personifica il messaggio di The road to Eden polarizzando le scale di grigi nella saggezza e nella candida umanità di Kubat Aliev. Si dimostra all’altezza anche il resto del cast capeggiato dal regista Bakit Mukul, Tilik, che fa egregiamente da spalla ad Alyshpaev e alla sua aurea chapliniana.
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