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FESTIVAL DI CINEMA

Venezia .68. “Tinker, Taylor, Soldier, Spy”, ovvero: “La Talpa” (In Concorso)

Mettendo insieme un romanzo ben scritto ed intrigante con un cast stimolante ed azzeccato ed una regia pulita senza sbalzi, si ottiene un mix misurato, senza scossoni e di straordinaria efficienza, com’è il film di Tomas Alfredsonb: “Tinker, Taylor, Soldier, Spy”.

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Mettendo insieme un romanzo ben scritto ed intrigante con un cast stimolante ed azzeccato ed una regia pulita senza sbalzi, si ottiene un mix misurato, senza scossoni e di straordinaria efficienza, com’è il film di Tomas Alfredsonb: Tinker, Taylor, Soldier, Spy.

Non nascondo la mia incertezza sia nel vederlo inserito in concorso, sia nell’immaginare una valutazione sopra le medie. Non c’è nulla che risulta particolarmente sgradevole, quanto nulla che faccia impazzire o tolga il respiro. Un compito ben eseguito insomma.

Gary Oldman è il protagonista: certo non si rimane delusi dalla sua prestazione, malgrado il personaggio algido e dai modi controllati; d’altronde la sua enorme esperienza lo ha portato a navigare acque di questo e quest’altro genere (da Harry Potter a Sid e Nancy, da JFK a Dracula).

Certo, la storia ha un bell’intrigo: l’adattamento di Bridget O’Connor (mancata in principio alle riprese: a lei è dedicato il film) e Peter Straughan, da La Talpa di Le Carré, funziona.

Purtroppo però, questo è un film riservato agli amanti delle spy stories che non perdono neanche un colpo durante la narrazione, che ricordano tutti i nomi in codice e non si fanno impressionare dalle trame che si infittiscono di tradimenti, spie e agenti segreti-segretissimi.

In questo caso, Gary Oldman è Smiley, un agente segreto inglese appena silurato dall’ufficio di controllo del Secret Intelligence Service. Siamo in piena Guerra Fredda e alcune manovre avventate del suo capo, chiamato Controllo (John Hurt), conducono ad una strage a Budapest scomoda da gestire. Tuttavia, poco dopo il licenziamento, Smiley viene riconvocato per scovare chi, all’interno dei piani alti dell’agenzia, il cosiddetto Circus, sta vendendo informazioni ai russi e agli americani.

Ecco quindi prendere il via una successione di perfidi svelamenti che, come nella migliore delle tradizioni, scovano del marcio sempre più marcio e sempre più vicino alla cima del potere.

Il film di Alfredson non prevede emozionanti scene d’azione con i fuggi-fuggi e le pistolettate: gli spari sono talmente pochi che pare quasi non si abbia a che fare con cattivi agenti segreti pronti a tutto per una cartelletta top-secret. La magia della costruzione sta proprio nella gestione delle tensioni, nella tortura psicologica, negli appuntamenti segreti, negli sguardi indagatori di questi individui che si studiano e sanno perfettamente cosa l’altro sta pensando ancora prima di vederlo respirare; la cattiveria è sottile sottile, quasi impalpabile, se non fosse per qualche raro sbudellamento.

Gli ingredienti che Alfredson preferisce sono a tutti gli effetti l’impegno cervellotico e il fascino dell’agente capace di ingannare perfino il suo vicino di scrivania, e questo film trabocca di elementi prestanti e astuti. La fedele ricostruzione scenografica e di costumi lavora talmente a puntino sui personaggi e sull’ambiente, colorando con tinte dominanti i vari ambienti, est e ovest d’Europa, luoghi ostili piuttosto che stanze sicure, da circondare tutto il cast di un agiato senso di appropriatezza.

Malgrado il materiale di partenza fosse un testo “pericoloso”, per la sua importanza mediatica e letteraria, e la richiesta dell’autore fosse quella di dare nuova vita al libro, la prova è risultata, in tal senso, superata: nei personaggi, nell’apparenza, nell’atmosfera.

Superando la viscosità della narrazione, i ritmi melliflui e gli scambi confusi di personaggi, si potrà riuscire a seguire questa avvincente partita a scacchi, scovando assieme a Smiley la pedina che tradisce (anche se poi non si capirà il perché…).

Rita Andreetti

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