Presentato in anteprima alle Giornate degli Autori di Venezia 78 e distribuito nella sale da Lucky Red Welcome Venice di Andrea Segre racconta Venezia e le sue trasformazioni. Di seguito la conversazione con il regista di Pianeta Mare e Molecole.

Il prologo dentro e fuori la storia
Il prologo, quello in cui vediamo uno dei protagonisti navigare lungo il fiume e poi a un certo punto fermarsi quasi smarrito, mi sembra costituisca un incipit che sta dentro e fuori la storia, La sua è una funzione narrativa, riferendosi a ciò che è successo e che staremo per vedere, ma anche di senso, con il montaggio che ricrea la condizione di conflitto posta al centro della storia. Così il disaccordo tra Pietro e Alvise è preceduto sul piano formale dall’accostamento tra la scena di assoluta solitudine che apre il film, e la seguente, satura di corpi e di supremo gaudio.
Intanto quella scena da un punto di vista strettamente formale è un po’ un falso flashback; potrebbe diventarlo ma in realtà non lo è. É un cerchio che non chiude; dal punto di vista formale è stata pensata cosi. A me, però, interessa di più il suo significato, perché quella scena introduce il centro dell’anima che volevo raccontare. Cioè, quello di cui stiamo parlando non è solo un conflitto esterno per la gestione di un bene materiale, ma un profondo dissidio interno tra persone governate da un destino più grande di loro e biograficamente inatteso. Perché anche quella famiglia come tante altre viveva in una casa che allora non valeva niente, che puzzava di pesce e da cui tutti speravano di andarsene e che poi, all’improvviso, diventa un bene immobiliare importante, destinato a schiacciare la vita di Piero. Quindi il contrasto tra questo pensiero e la famiglia che festeggia il suo compleanno è sicuramente è il punto di partenza dello scontro.

I colori e lo stile per una Venezia non da cartolina
Continuando a scorrere il film e soffermandoci sulla scena del compleanno, ho scritto che Welcome Venice è uno di quei rari film in cui si racconta una storia in un cinema che oggi ha paura di raccontarle. In questo senso tu non rinunci al potere demiurgico della settima arte a partire dal significato assunto dai colori. Penso, per esempio, al contrasto tra i toni giallo oro che scaldano l’ambiente famigliare, e le silhouette dei protagonisti invase dai neri, utilizzati per segnalare la latenza dei loro lati oscuri
Di certo non abbiamo voluto fare la solita Venezia livida e triste, nebbiosa e nera, quella che a volte si utilizza per parlare del rapporto tra Venezia e la morte. Abbiamo voluto stare dentro a luci molto materiche prese dalla vita vera e dense di rapporto con l’esistenza. Insieme a Matteo Calore siamo andati in una direzione che contrastava con i colori dei granchi, le cui tonalità si posizionano tra il verde scuro, il nero, il grigio, e il legno usato. E’ stato qualcosa a cui abbiamo tentato di dare attenzione e dunque mi fa piacere che tu l’abbia notato perché è un materia che ha fatto parte della nostra discussione.
Da questo punto di vista Welcome Venice è attraversato dall’importanza del segno grafico che regala al film una forte stilizzazione, a cominciare dalla scena iniziale, dominata da una sorta di natura morta. Mi sembra che in Welcome Venice l’uso del colore vada di pari passo con la scelta di passare al cinema di finzione dopo aver raccontato Venezia e le sue trasformazione attraverso due documentari come Pianeta Mare e Molecole. La stilizzazione che da esso ne deriva ti permette di esprimere un afflato poetico e anche favoloso altrimenti impossibile da raggiungere.
In questa direzione potrei quasi dirti che Pianeta mare e Molecole sono degli appunti per decidere la forma con cui fare Welcome Venice. Nel senso che lo stare a Venezia e raccogliere appunti visivi e narrativi con il lavoro documentaristico è quello che poi mi ha aiutato a formarmi uno sguardo sulla città. Tutto questo l’ho fatto sempre con Matteo Calore, avendo lui curato la fotografia dei documentari, per cui, quando abbiamo iniziato a lavorare su Welcome Venice ci siamo chiesti quale poteva essere la forma più giusta. La mia proposta di lavorare con lenti anamorfiche e con la camera a mano c’è sembrata la cosa più facile da fare. La scelta formale importante in Welcome Venice è stata quella di non farsi trascinare dalla cartolina veneziana. Venezia mette sempre a disposizione un fascino estetico su cui è necessario lavorare in sottrazione, pur nel rispetto della sua forza luminosa.

Welcome Venice con Andrea Segre è una storia metaforica
Il personaggio di Piero rappresenta una resistenza rispetto a una trasformazione che incide sul tessuto sociale e sulla vita intima delle persone, mettendone in discussione origini e legami. In questo senso la storia di Welcome Venice è quasi metaforica.
Avevamo in testa che Piero doveva essere resistente ma istintivo; inconsapevole e non ideologico. Ci sono tanti miei amici resistenti che sono ideologici nel senso che hanno scelto l’ideale di resistere a Venezia. Lottano, fanno manifestazioni, associazioni, comitati, tutte cose sacrosante a cui partecipo anche volentieri. Io, però non volevo raccontare una figura del genere, ma piuttosto farlo rispetto a una persona che ha paura di perdere senso. Per me la frase più importante di Piero è “ Se mi vago via so perso”. Lui non vuole andare via perché ha paura e avendo una casa dice lasciatemi qua. Ho capito che non sono bravo a pescare come mio fratello, però se vado da un’altra parte non so cosa fare. Questo è quello che mi piaceva rappresentare. Cioè il fatto che essere sradicati dalla tua casa non per scelta ma per la pressione di un potere economico determinato dalla tua stessa abitazione, è una cosa ingiusta. Mi sembrava di dare voce a chi subisce questo condizionamento diventando un inconsapevole antagonista. Quello che lui fa alla fine, e che non diciamo per non svelare la sorpresa, è un gesto istintivo: è rabbia, è scherzo, è antagonismo istintivo, è dire: “sappi però che io sto male e lo devi saper anche tu e i tuoi turisti″.
D’altra parte, mettendo al centro la casa come simbolo della nostra intimità più profonda e nascosta e raccontando di Alvise che la vuole fare abitare da persone estranee alla famiglia, rinunciando di fatto alle sue radici, allarghi la storia a fenomeni tipici della nostra contemporaneità: penso ai vari formati televisivi che danno in pasto la vita della gente a milioni di spettatori.
Su questo tema di radici e tradizioni c’è una grande ambiguità da cui molti traggono vantaggio. Con la scusa di difendere le tradizioni, spesso si collabora alla museizzazione delle città. Con la scusa di dover salvaguardare la casa del vecchio pescatore si finisce nella contraddizione del patrimonio Unesco; cioè, lo salvi però nel contempo lo svuoti perché lo rendi oggetto di consumo. Il punto non è salvare la tradizione ma salvare la casa e rendere possibile che anche persone non veneziane, e per esempio un africano, possano viverci facendo lo stesso lavoro di Piero. L’importante è che ci sia la possibilità di abitare le radici e le tradizioni anche trasformandole, senza però destinarle a una morte di consumo. Quello è il grande pericolo dell’industria turistica, e cioè rischiare di schiacciare un luogo a tal punto che le persone non vanno più a vederlo perché non c’è più niente dentro.
Le citazioni cinematografiche di eroi sconfitti e i loro messaggi
Parlavo dell’afflato poetico del film ma anche di un’ immaginario che chiama in causa il cinema. Di fatto la biografia di Piero e le sue azioni assomigliano a quelle dei protagonisti dei suoi film preferiti. Come Spartacus e Il gladiatore, Piero è diventato schiavo attraverso gli anni di prigione, ma anche per la paura che gli impedisce di agire, rendendolo subordinato al volere del fratello maggiore interpretato da Carlo Citran. Come quelli, però, riesce a trasformare la sua sconfitta in una vittoria con il colpo do spugna finale che, come detto, non riveleremo per non rovinare la sorpresa agli spettatori.
Sì, esattamente. In realtà l’autore delle citazioni cinematografiche è Marco Pettenello (sceneggiatore, ndr). Io le condivido molto; le abbiamo scelte insieme e da lì abbiamo deciso di costruire questo spettatore di film in fondo super normale. Se tu pensi a Il Gladiatore, La grande guerra e Spartacus, sono grandi storie che hanno affascinato milioni di spettatori. Quindi possono fare lo stesso effetto anche sul nostro protagonista. Lui è affascinato da questi eroi sconfitti, che però finiscono per lanciare un messaggio. Questo certamente è il rapporto tra il cinema e Piero.

Welcome Venice di Andrea Segre: un film di grandi interpretazioni
Welcome Venice è anche un film di grandi interpretazioni. Peraltro abbiamo la possibilità di rivedere sullo schermo Ottavia Piccolo e Carlo Citran, attori che abbiamo imparato ad amare già da tempo. Nel ruolo dei protagonisti svettano Paolo Pierobon e Andrea Pennacchi, i quali, calati nel confronto fratricida risultano del tutto credibili, talmente alta è l’immedesimazione nelle reazioni dei loro caratteri. Come hai ottenuto un tale livello di performance?
Li ho obbligati a trasferirsi con me a Giudecca per tre mesi a respirare l’aria del posto e a fare tante prove tutti insieme. Io ne faccio molte e loro ne sono entusiasti, senza sapere che per me non è un modo per vedere se sono bravi, ma il percorso necessario per arrivare al personaggio incontrandone tutte le tensioni che stanno tra il loro talento, la loro persona, le loro idee. L’episodio più emblematico è stata la prima prova con Paolo e Andrea. Era la prima volta che lavoravano insieme e io gli ho chiesto di fare la scena in cui Piero prende per il collo Alvise, mettendolo spalle al muro. Paolo è scattato in avanti, attaccando Andrea alla parete. Quest’ultimo ha detto: allora facciamo sul serio?” e io gli ho detto; “certo, cosa pensi di essere venuto a fare.” (ride, ndr)
Leggi anche: ‘Welcome Venice’ Il trailer del nuovo film di Andrea Segre apre Notti Veneziane
‘Welcome Venice’ la recensione del film di Andrea Segre