Si è conclusa Venezia 78, e la seconda edizione della Mostra del Cinema al tempo del Covid 19 ha salutato con vincitori facilmente intuibili, e con un palmarès che ha visto ben tre premi colorati tricolore: dal Leone d’Argento Gran Premio Speciale della Giuria a E’ Stata La Mano di Dio di Sorrentino che fa vincere anche il Premio Mastroianni al suo giovane interprete Filippo Scotti, al Gran Premio della Giuria per Il Buco del calabrese Frammartino.
In genere, si sa, i premi assegnati al Lido sono sempre divisivi: ma al contrario degli scorsi anni, il Leone d’Oro a L’Evenement, la Coppa Volpi a Penelope Cruz (straordinaria in Competencia Oficial) e John Arcilla e il Leone d’Argento al The Power Of Dog della Champion hanno trovato d’accordo un po’ tutti.
C’è da dire allora che Barbera continua il suo percorso virtuoso: che non solo ha saputo trovare il giusto equilibrio, o la giusta distanza, dipende dal punto di vista, tra cinema d’autore e cinema mainstream (sempre che questo confine abbia ancora un senso), e sono lì a testimoniarlo i tanti film che partiti da Venezia hanno conquistato l’Oscar -come il bellissimo Roma di Cuaròn, o Birdman di Inarritu, giusto per citare a memoria-.
Ma anche questa Venezia 78, dove difficilmente si è potuto vedere un film non bello.
Certo, al netto di giudizi profondamente soggettivi, non tutto è stato completamente riuscito, ma tutto sicuramente ha contribuito a fare una panoramica del cinema di oggi per mostrarne la vitalità, a dispetto dei corvi sempre in agguato.
Non a caso all’inizio si parlava di Cinema al tempo del Covid.
Perché se vogliamo tracciare una linea rossa che leghi i film visti al Lido, e con presunzione critica trovarne un minimo comune denominatore che contemporaneamente mostri il profilo del cinema di oggi, è certo che le opere passate sul red carpet sono film che guardano al passato.
Non in una situazione di passatismo un po’ oscuro e medievale, ma con la voglia o meglio il bisogno di declinare il presente frugando nelle radici del passato.
Tra le tante conseguenze e riflessioni esistenziali a cui ha costretto il Covid, c’è innegabilmente quella di stringersi alle cose più care e riflettere su sé stessi e gli altri, per capire un presente quanto mai oggi incerto e pieno di nuvole minacciose.
Sembra allora necessario cercare di indagare meglio su quanto sta accadendo, e lo strumento migliore non può che essere quello di indagare sulle (proprie) radici, coniugando il passato come chiave per la serratura del presente.
Inevitabilmente, conseguentemente, si apre allora la porta ai traumi del nostro passato: ed esondano fuori problemi identitari e falsi miti, illusioni (perdute) e madri (parallele) e padri (putativi e di sangue).
E’ Stata La Mano di Dio, per restare in zona premi, è stato il personale 9 & ½ di Sorrentino, in un percorso che lo ha portato per la prima volta a scoprirsi, gettando una luce imponente su un passato che fino a ieri era buio per il terrore di illuminarlo e rendere reale il dolore; Qui Rido Io, ingiustamente ignorato dalla giuria forse perché film fin troppo impregnato di cultura italiana, è un gigantesco tentativo di Mario Martone di capire l’identità dei padri, e probabilmente il cadavere di Pulcinella sul palcoscenico vuoto, testimone di un processo di morte e rinnovamento incessante e continuo quanto ontologicamente doloroso, è l’immagine che più di ogni altra dà forma a questa Mostra e ai suoi fantasmi.
Ma ancora: Pedro Almodovar indaga la madre per capire l’origine del tutto, Mainetti con Freaks Out riporta in scena l’orrore del nazismo per evidenziare le origini del Male, allo stesso modo di Stefano Mordini che con la sua Scuola Cattolica rievoca una tragedia dimenticata come il massacro del Circeo, Frammartino osserva il passato recente e mette a confronto lo slancio luminoso verso l’alto dei grattacieli del progresso contro la caduta in basso nell’oscurità totale del nostro intimo; Illusions Perdues, Old Henry e Spencer, il primo (di Xavier Giannoli) impreciso, il secondo (di Potsy Ponciroli) perfetto e il terzo (di Pablo Larrain) fuori fuoco, a loro modo esatti quando frugano tra le pieghe del passato per mostrare come la Storia sia piena dei suoi fantasmi.
Il cinema italiano, in tutto questo, si è dimostrato estremamente vitale, aggiungendo ai citati Sorrentino, Frammartino e Martone anche Di Costanzo, con il prezioso Ariaferma, i fratelli D’Innocenzo che da promessa diventano certezza con America Latina, risultato di un cinema sempre più introflesso e oscuro.
Insomma, alle porte del novantesimo anno di Mostra, Venezia 78 ha dato l’impressione di voler rendere più necessario lo sguardo indagatore su di noi e sul passato, così da capire le nostre origini e avere l’opportunità di ripartire. E magari diventare giusto un po’ migliori.