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Conversation

‘Giulia’ Conversazione con il regista Ciro De Caro

Giulia è una favola di un’emancipazione femminile in cui a fare la differenza sono le qualità delle relazioni umane

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ciro de caro giulia

Presentato in anteprima alla Giornate degli Autori, Giulia è la favola di un’emancipazione femminile raccontata senza indulgenza e con uno sguardo sulla contemporaneità in cui a fare la differenza sono le qualità delle relazioni umane. Adesso finalmente nelle sale, il film è distribuito da Koch Media, vi raccontiamo Giulia nella conversazione con il regista Ciro De Caro.

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Intervista a Ciro De Caro su Giulia

Mi ha colpito molto la corrispondenza tra la prima e l’ultima sequenza. In apertura la mdp induce dapprima sulla cartolina di una spiaggia vuota e solo dopo sulla protagonista. La foto è priva di figure umane, al contrario dei  fotogrammi conclusivi in cui  trova compiutezza il percorso esistenziale di Giulia. Stando così le cose, si può dire che il film racconta un vuoto da riempire, quello esistenziale di Giulia (a cui rimanda quello della cartolina iniziale), colmato dall’ultima scena, in cui la rarefazione dell’ambiente marino è colmata dalla presenza della ragazza. Come a dire che nella ricerca del nostro posto nel mondo tutto dipende da noi e non dagli altri. Giulia riempie il suo vuoto ritrovando se stessa, come dimostra l’immagine finale. 

Mi fa piacere questa domanda, non era una cosa molto facile da notare e sono contento che tu l’abbia fatto. Questa era proprio la finalità e il significato di quelle immagini. Il mio professore di università mi diceva sempre di seguire l’esempio di  John Cassavetes, ovvero di mettere nella prima scena tutto il film. In quella di apertura pensavo al modo in cui avrei potuto metterci il mare; trovandoci in un’agenzia interinale la mia scenografa, Valentina Di Geronimo, mi ha proposto quella cartolina che a me è parsa da subito perfetta. La spiaggia deserta rimandava all’allergia di Giulia nei confronti delle persone, mentre il fatto di essere vuota corrispondeva alla sua volontà di andare in un posto privo di presenza umana. Il mare finale assume dunque un valore metaforico poiché la presenza di Giulia ha una valenza esistenziale nel senso che dicevi tu nella domanda.

Giulia Pinocchio

Giulia è un film meno parlato dei tuoi precedenti lavori. Le sue immagini, solo apparentemente semplici e dirette, in realtà sono ricche di significati. Così, per esempio, pur senza dirlo esplicitamente, il Pinocchio giocattolo che la protagonista si ritrova spesso tra le mani  definisce il contesto del film: come il romanzo di Collodi, anche  Giulia è una sorta di favola che racconta il percorso di formazione della sua protagonista. 

Esatto, proprio così. Pinocchio mi era venuto spesso in mente, perché come lui anche Giulia incontra sulla sua strada diversi personaggi. Dunque il riferimento alla favola c’è ma, a differenza di quelle a cui siamo abituati, lei si emancipa stando lontano dal principe azzurro. La sua è una favola un po’ al contrario.

Ho pensato al romanzo di Collodi perché come quello anche Giulia racconta una crisi d’identità foriera di cambiamenti. Alla stregua del burattino, anche Giulia all’inizio crede di avere bisogno degli altri e solo dopo capisce di potercela fare da sola. Non per niente, una volta diventata consapevole, la ragazza lascia la riproduzione di Pinocchio a Valerio, investendolo della crisi appena superata.  

Esatto. non aggiungo altro commento perché è esattamente così che intendevo il senso del film, anche nell’uso dei particolari che hai descritto nella domanda.

Sempre in un quadro di economia delle immagini inversamente proporzionale al loro significato, torniamo per un attimo alla scena in cui Giulia regala il Pinocchio a Valerio. Si tratta di una cesura narrativa molto importante, perché quello scambio ci informa che il percorso di formazione della protagonista è terminato, mentre quello di Valerio sta per iniziare. 

Quella scena rappresenta un passaggio di testimone ma anche una confessione, perché è come se Giulia gli dicesse che non può stare con lui. Cosi facendo gli regala quella che lei era stata, simboleggiata appunto dal pupazzo di Pinocchio. Sembra dirgli: “Forse tu mi volevi nella maniera di prima, cosa che adesso non sono più”. Quindi gli regala  Pinocchio, in cui Valerio si può specchiare e può magari intraprendere anche lui un percorso di cambiamento. Si tratta di una sequenza molto simbolica.

ciro de caro giulia

L’incontro in Giulia di Ciro De Caro

Non per niente all’inizio ci presenti Valerio come una persona tutta d’un pezzo. Recita Shakespeare a memoria ma anche senza pathos, convinto che ciò basti per conquistare l’uditorio. Vista da fuori si tratta di una performance legnosa e per certi versi impacciata. Quella scena diventa il simbolo del suo modo di essere, di una persona che non coltiva alcun dubbio. Inizierà ad averne solo dopo aver conosciuto Giulia e in effetti quel passaggio di testimone coglie i risultati di quella contaminazione, aprendo per lui la stagione della crisi.

Esatto, il modo in cui recita Shakespeare è quello di un certo tipo di persone che accettano serenamente il vuoto della propria vita, così come accettano ogni maschera che gli viene messa addosso pur di riuscire a piacere agli altri. In quel momento lui arriva addirittura a prendere in giro se stesso facendo finta di non capire quanto sia finta quella recita davanti ai vecchietti. L’incontro con Giulia probabilmente metterà in discussione le sue certezza e le maschere da lui indossate per piacere alla gente. Come hai detto, lui recita Shakespeare in maniera totalmente finta,  convinto che ciò possa bastare a incantare il suo uditorio.

Dicevamo di come, dal punto di vista narrativo, Giulia sia la storia di una crisi. Il film ci fa conoscere la ragazza attraverso una serie di  sue avventure accostate da una serie di ellissi narrative, che nel loro insieme servono a rendere l’instabilità emotiva della protagonista.  

Sì, è proprio così. Soprattutto c’è questa idea di far vedere subito situazioni in cui si ha l’idea che Giulia venga un po’ sballottata come una pallina da un posto all’altro. Dunque, mi interessava farla vedere in situazioni apparentemente distanti, con lei scheggia impazzita in cerca di un posto in cui sentirsi amata e accettata. I primi minuti sono proprio così, raccontati attraverso una serie di ellissi per dare l’idea di una ricerca un po’ disordinata.

Peraltro, dopo la scena in cui Giulia passa il testimone al coprotagonista del film, ce n’è un’altra in cui lei si sveglia sulla spiaggia e si accorge della presenza di un bagnante impegnato a cercare qualcosa con un metal detector. Rispetto a quanto abbiamo visto fin lì, lo scarto è netto, perché ora sono diventati gli altri e non Giulia a essere impegnati nella ricerca. Dunque, attraverso quella scena ci stai dicendo che la ragazza ha trovato se stessa e lascia agli altri l’onere di provarci.

Lei era quella che cercava una famiglia, una casa, l’amore.  A un certo punto vede quella persona che cerca qualcosa in mare. La scena nasce ricordando coloro che al calar del sole  si mettono a cercare l’oro sul fondo del mare. Mi serviva per sottolineare il fatto che, se questa visione da parte sua fosse avvenuta qualche giorno prima, forse si sarebbe messa anche lei a fare la stessa cosa, considerandolo un modo come un altro per sbarcare il lunario. Adesso invece lo osserva incuriosita, come se lo guardasse dall’esterno, in una condizione che un tempo le apparteneva  e ora non più.

Le inquadrature

Un’altra cosa che ho trovato molto intrigante è stata quella di concepire le inquadrature iniziali dando l’idea di guardare Giulia di nascosto: per come è disposta rispetto al soggetto, la mdp sembra spiare la sua persona, valorizzando ancora di più l’autenticità di ciò che vediamo.

La mia idea era quella di avere uno sguardo non giudicante nei confronti dei personaggi, qui più che in altri film. Il dispositivo di cui parli faceva sentire la mia presenza di osservatore non giudicante. In più, volevo rendere la crudezza dei personaggi e dell’ambiente in cui si muovono, come se uno stesse guardando in maniera nuda e cruda quello che gli accade accanto. La neutralità dello sguardo sarebbe venuta meno se avessi aggiunto la musica o inserito un’inquadratura più patinata. Senza le tecniche di abbellimento l’osservatore è più libero da sovrastrutture. Questo gli permette di fare il percorso insieme ai personaggi e di comprenderli meglio.

Altrettanto scarne e senza orpelli sono le inquadrature all’interno della casa dei famigliari dell’ex fidanzato. La mdp segue la discussione passando da un interlocutore all’altro con spostamenti secchi, quasi bruschi, come per segnalare il disagio del gruppo di fronte alla schiettezza di Giulia. Peraltro si tratta di una tecnica adottata da Woody Allen in Mariti e mogli per circostanze più o meno simili alle tue. 

Per me era questo il  modo di seguire i personaggi: i cambi di fuoco e i passaggi repentini da uno all’altro realizzati con la macchina a mano restituiscono la crudezza della realtà. Se avessi potuto ne avrei fatto sentire l’odore! Questo per dire che la mia era una ricerca massima della verità. Quello che si vede in ogni ciak è avvenuto veramente e non si è ripetuto negli altri. Agli attori e al direttore della fotografia ho  detto che ogni volta avremmo dovuto ricreare un momento unico in modo tale che chi osservava il film potesse ritrovarvi la realtà. Per arrivarci ho dovuto fare scelte molto rigorose.

ciro de caro giulia

I personaggi di Giulia secondo Ciro De Caro

Ciò che si ama nei personaggi è il loro essere nudi di fronte alla telecamera. Giulia potrebbe essere un personaggio classico, ma sfugge a questa catalogazione perché la sua verità la fa apparire scostante e talvolta anche poco empatica. A un certo punto arriva anche a rubare i soldi a una persona anziana.

Cercavo un personaggio che avesse varie sfumature, che non fosse buono o cattivo; anzi,  che fosse lo stesso tempo buono e cattivo. Come gli altri, Giulia è una persona che comunque ha dei momenti di timidezza ma che può risultare anche invasiva e antipatica. Fa delle cose che possono essere discutibili. Quando  l’abbiamo scritto, insieme a Rosa,  ho sempre cercato di tenere bene a mente di evitare ogni giudizio su di lei, sulla sua parte più scorretta,  perché gli si doveva voler bene nonostante questo. Solo comprendendola si poteva capire perché si comportasse così. Se uno ci riesce non può non perdonarla .

Si diceva prima di come la presenza di Giulia metta in crisi le certezze esistenziali del gruppo di ragazzi che la ospitano. Questa sorta di contaminazione la vediamo anche nella scena in cui un certo punto Valerio, come Giulia, si ritrova a rubare dei soldi.  

La contaminazione c’è perché, senza conoscere Giulia, non so se avrebbe fatto quel gesto. Forse attraverso di lei capisce che deve imparare a campare anche in qualche altra maniera. É vero che rubandoli a una persona morta non è un vero furto; però comunque si tratta di un gesto che probabilmente ha imparato stando con Giulia.

Può essere anche l’inizio della sua rinascita. All’inizio un amico gli rimprovera la sua passività nei confronti delle donne, che poi si approfittano di lui. Seppur scorretta,  quell’azione segnala però la volontà di riprendere in mano la propria vita. 

O almeno prende una strada. Anche in questo caso non possiamo dargli alcuna colpa,  ma dobbiamo solo comprenderlo. Spero che lo spettatore guardi  l’azione di Valerio senza giudicarlo in maniera troppo severa. Così come abbiamo imparato a comprendere Giulia forse saremo pronti anche a comprendere lui.

La seconda parte

Peraltro nella seconda parte c’è una scena in cui Giulia insieme al musicista di strada canta di nuovo Funiculì funiculà, dopo averlo fatto all’inizio del film Questa volta però il segno del cambiamento è dato dal fatto che, quando si tratta di andare a questuare i soldi alle persone che si sono fermate ad ascoltarla, lei preferisce andarsene, lasciando che a prenderli sia chi sta con lei. A proposito di cambiamenti e consapevolezze. 

Beh, sì, perché in quel momento la canzone la libera ulteriormente di qualcosa. Non deve prendersi quei soldi, ma solo pensare a essere libera. Così la prima cosa che le viene in mente è andarsene, consapevole di stare meglio senza, nella piena libertà da tutto e da tutti. Leggera, senza  ulteriori pesi.

Una leggerezza che impariamo a conoscere in un’altra scena di tenore quasi filosofico, in cui Giulia inizia finalmente a lasciare andare le cose, ricevendo per contro un sacco di benefici. Come succede con  i giocattoli che trova sulla spiaggia e che poi la signora le chiede di venderle. 

Io non sono cattolico ma in quel momento c’è qualcosa di francescano, nel senso che tu ti metti in cammino, poi le cose arrivano senza starsi troppo a preoccupare. Questo è un’ altro elemento che le dà ulteriore spinta e certezza nella sua idea di andare da sola, senza dover dipendere da qualcosa o da qualcuno. In quel caso è stato il mare a farle incontrare questa signora che le ha pagato i giochi.  Considerando che dopo tutto il problema principale non è quello di come campare, bensì di come stare bene con sé stessi. É una cosa che vale per Giulia come per lo spettatore. Con la pace le cose iniziano ad arrivare.

La bellezza di un film come Giulia è quella di parlare senza alzare la voce e di far arrivare i significati senza sottolinearli.  Il tuo racconto è tutto in sottotono. Soprattutto nella prima parte, hai scelto di far vedere la presenza della mdp, con evidenti movimenti della camera a mano e altrettante sfocature.

Sì, questo fa parte del discorso che facevamo prima, e cioè  della volontà di restituire quel senso di realtà e di crudezza e, dal punto di vista tecnico, di poter catturare qualsiasi cosa accadeva sul set. Se avessi creato uno sguardo più classico, si sarebbe potuto segnalare da parte mia una sorta di giudizio. Come se volessi indirizzare lo sguardo dell’osservatore verso una determinata cosa,  dicendogli “guardate qui e basta!” Invece mi interessava cogliere naturalmente tutto quello che accadeva, chiedendo  agli attori di sorprenderci. Ho voluto che tutti i movimenti fossero veri e organizzati affinché anche l’operatore ne fosse sorpreso.

Quindi vuol dire che hai lasciato completamente liberi gli attori senza ingabbiarli in una griglia prestabilita. 

Esatto, volevo che fosse così fin dall’inizio. Anche dal punto di vista della sceneggiatura, ho chiesto agli attori di dimenticare i dialoghi e di reagire all’altro personaggio come se veramente si trovassero  in quella situazione. A Rosa ho detto che doveva essere se stessa e allo stesso tempo  Giulia, senza fare finta di essere qualcos’altro, perché si sarebbe vista la finzione. Doveva essere sempre Rosa ma reagire come Giulia. Da qui venivano fuori cose sorprendenti, nel senso che a volte le battute erano cambiate e gli attori reagivano in un’altra maniera. E questo scaturiva dai dialoghi, dai movimenti degli attori, dai movimenti di macchina. Alla troupe ho rigorosamente imposto di essere libera e di sorprendersi uno con l’altro con qualcosa che non era stata messa in conto. Ho chiesto loro di non preoccuparsi se sentivano che qualcosa fosse sbagliato, ma di accoglierlo e di farlo diventare la realtà di quel momento.

A proposito di libertà, c’è un’altra scena importante del film che mi serve per chiederti qualcosa sui toni. M riferisco a quella in cui Giulia torna a casa e trova un gruppo di persone che stanno cenando. Attraverso il montaggio ci mostri Giulia perdere la testa. infuriandosi con  Valerio, per poi farcela ritrovare un attimo dopo calma e rilassata, impegnata in una danza liberatoria. Si tratta di una scena indicativa perché anche nel resto del film i toni drammatici si alternano a quelli più leggeri.  

L’idea era quella sia dal punto di vista degli stati d’animo che dal punto di vista dei toni. Ho sempre  molta difficoltà quando mi chiedono di raccontare il film in poche righe, di definirlo in un genere, perché non riuscirei a fare un film solo comico o solo drammatico. La realtà ha mille sfumature in cui comico e tragico si alternano e si mescolano. In quel caso il passaggio non è armonioso ed è molto netto: dall’arrabbiatura si passa al ballo in cui lei appare estraniarsi dalla realtà. A volte questo succede anche nella realtà perché sono stato più volte testimone di questo tipo di comportamento.

Ovviamente il cinema può permettersi il lusso di prendere quei cinque minuti di cambiamento e renderli in mezzo secondo. La scena però rappresenta anche il modo di essere di Giulia, che al suo interno ha questa dicotomia; lei non è una cosa sola ma molte di più. e quegli estremi  sono comunque manifestazione della sua persona.

La chiusura

La chiusura avviene con una specie di danza nell’acqua in cui Giulia non dice una parola, lasciando al suono dell’acqua e alla suggestione dell’ambiente il compito di raccontarla, prima di vederla sparire nel mare.

Quella scena mi preoccupava molto, perché non era facile trovare una spiaggia deserta ad Agosto, in Italia. Per me era fondamentale girarla senza anima viva perché, come detto all’inizio a proposito della cartolina, quel vuoto doveva essere riempito da lei. In quel tramonto lei ritrova se stessa. Conoscendo bene Rosa so quanto lei, come persona, ami il mare e la natura. Sapevo che metterla in una situazione del genere significava smettere di dirigerla. Ed è stato quasi così. Siamo andati al parco dell’Uccellina, che per un giorno siamo riusciti ad avere tutto per noi e lei magicamente è diventata Giulia che si immerge nella natura. A differenza di tutti gli altri quest’ultima non è ne buona ne cattiva, non ti giudica, ti accoglie o ti respinge se in quel momento non ti vuole. In quell’attimo lei è abbracciata dalla natura, ed è del tutto a suo agio. Avevo pensato potesse essere l’unico momento in cui inserire la musica, poi ho creduto fosse giusto non metterla perché non è possibile andare a suggerire nessun altra emozione se non quelle che ci arrivano da lei, dalle sue libertà, dal rumore del mare. Lei semplicemente sparisce, a significare che muore una Giulia per farne rinascere un’altra di cui non abbiamo diritto di sapere. Alla nuova Giulia spetta di rimanere da sola, anche rispetto al pubblico.

Non è la prima volta con Giulia che Ciro De Caro scrive il film insieme alla protagonista. Così era successo anche nel lavoro precedente. Qui lo rifai all’insegna della vita che imita l’arte. Da una parte infatti si capisce la totale immedesimazione di Rosa. Dall’altro mi interessa sapere come avete lavorato in fase di scrittura e poi di interpretazione. 

Con Rosa abbiamo lavorato alla ricerca di un personaggio, anche facendo insieme dei cortometraggi. Ci abbiamo impiegato circa due anni. Dopodiché per un anno e mezzo ci siamo dedicati  alla stesura della sceneggiatura sulla base del lavoro che avevamo fatto prima. Ci vedevamo ogni giorno  e sperimentavamo sempre qualcosa, anche andando a prendere un cappuccino. In ogni momento lei mi proponeva qualcosa, anche se stavamo andando al cinema o a cena. A volte non me ne accorgevo, per poi capire che sfruttava il momento per cercare il personaggio. É stato un processo molto lungo. Il suo lavoro di preparazione sul personaggio è stato di tipo classico; poi, siccome lei lo ha anche scritto negli anni precedenti,  c’è stato un suo continuo stimolarmi, sorprendendomi  anche con delle cose folli  Se non fosse stato così il personaggio non sarebbe riuscito così intenso.

Per come ho visto il film e per la maniera in cui me ne hai parlato mi viene da pensare che lo stesso Cassavetes da te citato in precedenza sia stato un modello di ispirazione.

Cassavetes l’ho sempre presente  nella mia vita, soprattutto quando scrivo e giro. Per questo film con Rosa ci siamo rivisti più volte Una moglie ma anche tanti film di Eric Rohmer e di François Truffaut. Per me la Nouvelle Vague è il periodo più bello del cinema, ma come modo di lavorare, Cassavetes è quello che di più in generale cerco sempre di guardare.

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  • Anno: 2021
  • Distribuzione: Koch
  • Genere: drammatico, commedia
  • Regia: Ciro De Caro

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