Biennale del Cinema di Venezia

‘Detours’ Ekaterina Selenkina ridefinisce il ruolo dello spazio

Detours, di Ekaterina Selenkina, ridefinisce il ruolo dello spazio

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Detours, scritto e diretto da Ekaterina Selenkina, è in concorso a Venezia 78 nella sezione Settimana internazionale della Critica.

Ekaterina Selenkina, anche produttrice del film, porta lo spettatore in una metropoli vuota in cui gli spazi prendono il sopravvento sulla narrazione.

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Detours : trama

Con un’ampia riflessione sulla coreografia dei corpi nel paesaggio urbano di Mosca, Detours descrive un nuovo modo di trafficare droga attraverso il Darknet, la stratificazione di realtà fisiche e virtuali, così come una poetica e una politica dello spazio. Ambientato in quartieri silenziosi, tra i muri di cemento dei grattacieli, dietro i garage e tra i binari abbandonati, il film segue e perde di continuo le tracce di Denis, il “tesoriere” che nasconde pacchetti di droga in tutta la città.

Detours: La recensione

È un cinema particolare quello della Ekaterina Selenkina, regista e curatrice di origini russe, che, con questa opera, sembra inizialmente che voglia allontanare lo spettatore dall’idea che si ha di un film.

Affermiamo “sembra” perché, fin dalle prime sequenze, Detours ci sembra tutto meno che una pellicola con un senso logico. Osserviamo strade ed edifici, in campi lunghi, attraversati, di tanto in tanto, da persone o animali. Senza un’idea, un messaggio e un protagonista avremmo abbandonato la visione dopo pochi minuti. Invece, il personaggio chiave, Denis, appare pian piano nelle sequenze mostrando la sua storia.

La regia accompagna lo spettatore nella vicenda di Denis (interpretato da Denis Urvantsev), uno spacciatore che prepara e distribuisce droga in diversi punti della città, seguendo una mappa precisa.
Dimostrando attenzione alla fotografia e al montaggio, di cui è esperta, Selenkina dimostra di aver ideato un progetto semplice, ma ambizioso. La narrazione, avanzando, distribuisce indizi, parti di un’enigma allo spettatore che avrà soluzione solo al termine. La regista dunque mostra padronanza della macchina da presa e conoscenza delle tecniche cinematografiche scegliendo di adoperare quasi esclusivamente campi lunghi e medi. A fare da sfondo non è più l’ambiente: è il personaggio che si “intrufola” al suo interno assumendo un ruolo diverso da quello che siamo soliti dargli.

Non ci sono dialoghi o grandi personaggi, ma è cinema. Immagini e suoni, si uniscono alla narrazione portata avanti dalla quotidianità di Denis che, come un vate, conduce il cinema nella città, dimostrando il significato che edifici, panchine, scale possono assumere anche senza troppi giri di parole.

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