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Michelangelo Frammartino, la filmografia
Tutta la filmografia di Michelangelo Frammartino
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4 anni agoon
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Luca BoveCon il suo ultimo film, Il buco, Michelangelo Frammartino è in concorso alla 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.
Il suo cinema indebolisce la figura umana, per avvicinare, paradossalmente, lo spettatore alla materia filmica. Le opere del cineasta sono spesso senza parola, con protagonisti gli oggetti, gli animali e soprattutto la natura.
L’uomo sullo sfondo
“Se sono un cineasta, sicuramente non sono un cineasta talentuoso. Io sono principalmente uno spettatore e così mi comporto sul set”.
Con queste parole Michelangelo Frammartino definisce la sua attività cinematografica. Ma l’artista, già con i suoi cortometraggi, come Io non posso entrare (2002) dà il suo prezioso contributo per una ricerca sulla natura del linguaggio cinematografico.
Io non posso entrare è un gioco macabro, dove un povero cagnolino fa una brutta fine. L’obiettivo di questo cortometraggio è di costruire una narrazione con gli oggetti e la presenza di animali.
Le opere visive senza la presenza umana, secondo Michelangelo Frammartino, attivano un meccanismo, in parte misterioso, molto forte. Il trovarsi dinanzi a oggetti, in principio aumenta la distanza tra spettatore e materia filmica; successivamente, però, questa distanza si indebolisce.
L’attività artistica del regista è davvero rivoluzionaria. Michelangelo Frammartino appare in costante ricerca di una nuova grammatica cinematografica.
L’assenza umana o comunque il suo ridimensionamento mina le base del linguaggio filmico. Le varie inquadrature sono classificate e suddivise a seconda della collocazione della figura umana e se questa viene a mancare si verifica un vero stravolgimento.
“Mettere in discussione l’uomo è come mettere in discussione la stessa regia”.
Frammartino e Antonioni
Il discorso del regista ha una finalità puramente meta-cinematografica.
Inizialmente con le Videoistallazione, poi con i corti e infine con i lungometraggi, Michelangelo Frammartino pone gli oggetti al centro della sua ricerca. Sono gli oggetti e la materia a sostenere il ruolo da protagonista e le loro vicende attraversano i vari generi.
“Si passa da zone dominate dall’ombra come nel noir, poi ci sono dei momenti comici e cosi via…”.
Per questa sua caratteristica, il suo cinema chiama in causa direttamente un altro Michelangelo, cioè Antonioni.
In film come L’avventura la presenza umana è spesso relegata sullo sfondo e la natura sostiene il ruolo da protagonista. Ma è soprattutto con il finale de L’eclisse che si riallaccia la riflessione di Frammartino.
È qui, come viene sottolineato da Simona Busni, che Michelangelo Antonioni si libera di Monica Vitti, e ripercorre i luoghi del dramma.
Viene mostrata la nudità di un mondo senza personaggi umani. Protagonisti diventano il vento, gli alberi, le geometrie scheletriche delle impalcature, il rivolo d’acqua che segue il suo corso e i lampioni che si accendono.
Nel cinema di Michelangelo Antonioni il racconto tradizionale subisce una radicale mutazione. Il regista ferrarese, in un’intervista realizzata da Michele Mancini, afferma:
“Per prima cosa proverei a togliere il fatto dalla scena e lasciare solo l’immagine…”.
È appunto l’immagine ad assumere una primaria importanza nelle opere di Michelangelo Frammartino. Queste contengono diverse istanze, in percorsi diametralmente opposti.
Le inquadrature di film come Il dono e Le quattro volte possono sembrare semplici, a tratti rudimentali, ma non è così.
“È un lavoro di costruzione, con una materia che non si può governare”.
Queste parole del regista rivelano la sua volontà di non rendersi invisibile, ma piuttosto di scoprire il mondo, con l’occhio della macchina da presa, che in questo caso non coincide con il soggetto umano.
La riflessione meta-cinematografica nell’attività artistica di Michelangelo Frammartino è testimoniata da altre personali scelte stilistiche, come l’uso della profondità di campo e di lunghi piani sequenza.
“Lo spettatore può frugare con lo sguardo, senza essere obbligato a seguire una direzione imposta”.
Profondità di campo e piano sequenza sono usate in piena sintonia con il suo teorico, André Bazin. Il critico francese, infatti, riteneva che queste tecniche avessero il potere di serbare il reale e la sua ambiguità.
Le istallazioni visive
Michelangelo Frammartino nasce nel 1968 a Milano da genitori calabresi.
Dopo aver conseguito la laurea in architettura, frequenta la Civica Scuola del Cinema. I suoi primi lavori artistici sono alcune istallazioni di video arte: Ora (1995), La casa delle belle addormentate (1997) e Film (1998).
In questi lavori, molto vicini nello stile ai videoambienti di Studio Azzurro, sono già presenti la vocazione cinematografica dell’autore e la sua ricerca sul linguaggio.
Ma Michelangelo Frammartino inizia a imporsi come regista cinematografico con il cortometraggio Scappa Valentina (2000), che viene apprezzato in molti festival.
Il primo lungometraggio, Il dono, arriva nel 2003; seguono Le quattro volte nel 2010 e Il buco nel 2021.
Nel 2013 l’artista torna alle video istallazione con Alberi, un lavoro dedicato al Rumit, la maschera del carnevale di Satriano in Lucania.
La Calabria
Una costante nei lungometraggi del regista è la sua attrazione per la Calabria.
“Sono nato a Milano, ma mi sono sempre sentito calabrese”.
In Calabria sono ambientati Il dono, Le quattro volte e in parte anche Il buco. Il suo primo lungometraggio nasce proprio dall’amore che il regista sente per questa terra.
La Calabria di Michelangelo Frammartino è un luogo dove la presenza umana è ridotta al minimo, ma la sua esistenza è testimoniata da tante carcasse di veicoli.
“Il dono rappresenta per me il momento in cui mi rendo conto che in quella terra vive il mio immaginario”.
Questa terra rievoca nel regista una miriade di ricordi, che inevitabilmente riversa nelle sue opere. La presenza costante delle capre ne Le quattro volte, per esempio, simboleggia il ricordo dell’infanzia trascorsa in Calabria.
È qui che Michelangelo Frammartino ritrova i paradossi visivi carichi di significato. La Calabria è per lui una terra unica dove gli ambienti interni sono dominati dalla natura e di conseguenza si verificano avvenimenti che convenzionalmente accadono in esterni. Emblematico è il piano sequenza della capra sul tavolo che rovescia la pentola piena di lumache.
Questi paradossi visivi, che ribaltano la funzione dell’interno in esterno, ricordano il cinema di Andrej Tarkovskij. Inoltre, ciò che viene mostrato ne Il dono e Le quattro volte, non può che far venire in mente I dimenticati di Vittorio De Seta.
Il dono
Il dono viene presentato al Festival di Locarno nella prestigiosa sezione Cineasti del presente.
Il film è ambientato a Caulonia, un piccolo centro della provincia di Regio Calabria. Nel 1950, il comune contava circa 15000 abitanti, ma poi il fenomeno dell’emigrazione lo ha reso un paese fantasma. La narrazione è basata sulla vita di chi ha deciso di restare.
“Dopo un progetto abortito a Milano volevo cambiare aria e ho deciso di fare qualcosa a Caulonia, il paese dei miei genitori”.
Sono queste le parole di Michelangelo Frammartino sulla genesi de Il dono, riportate in un articolo apparso su La Repubblica con il titolo: Il miracolo di Frammartino.
Il primo lungometraggio del regista è realizzato con pochissime risorse e con una troupe composta di sole cinque persone. Il film, inizialmente concepito come mediometraggio, nasce come un esperimento visivo.
Il dono ha pochissimi personaggi umani, tra cui quello del vecchio, interpretato da Angelo Frammartino, padre del regista. In questo film i veri protagonisti sono gli oggetti, come il recipiente dell’acqua, il rullo di cemento e una palla. Sono loro, appunto, a compiere delle vere azioni.
Come nella sequenza dove la macchina da presa segue la palla che scivola tra i vicoli in discesa di Caulonia. È un episodio significativo del film, con cui il regista racconta la forza di gravità presente in questi luoghi e che solo qui è possibile raccontare.
Il cast: Angelo Frammartino, Gabriella Maiolo
Le quattro volte
Le quattro volte viene presentato nella Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes e ottiene il CineVision Award al Festival di Monaco.
Un pastore calabrese conduce i suoi ultimi giorni di vita insieme alle capre. Dopo la sua morte, il regista racconta il succedersi di vari eventi naturali, come la nascita di un agnellino e un rito di matrice bucolica.
Il film viene molto apprezzato dalla critica e la giuria del festival bavarese lo premia con la seguente motivazione:
“È una pura avventura cinematografica, un invito a coinvolgere tutti i sensi”.
L’opera è divisa in quattro parti e solo nella prima l’uomo è centrale nel racconto. Nella seconda sono protagonisti le capre e il cane che le governa, nella terza è centrale il ruolo di un albero e nella quarta e ultima parte, una carbonara.
Questo secondo lungometraggio del regista ha un lavoro di preparazione durato quasi un anno intero. In questo lungo periodo ha passato molto tempo con gli animali, per studiare al meglio la loro resa cinematografica.
Non c’è nessun tentativo di umanizzare il non umano, piuttosto di dare la dignità a una natura che convenzionalmente viene concessa esclusivamente all’antropomorfismo.
Il cast: Giuseppe Fuda, Nazaremo Timpano, Bruno Timpano, Artemio Vellone, Davide Scarpa.
Leggi anche: La stampa internazionale s’innamora di Frammartino: il nuovo Antonioni con un pizzico di comicità.
Il buco
Il buco, suo terzo lungometraggio è stato presentato 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.
Durante il boom economico, l’edificio più alto d’Europa viene costruito nel prospero Nord Italia. All’altra estremità del paese, un gruppo di giovani speleologi esplora la grotta più profonda d’Europa nell’incontaminato entroterra calabrese. Si raggiunge, per la prima volta, il fondo dell’abisso del Bifurto, a 700 metri di profondità. L’avventura degli intrusi passa inosservata agli abitanti di un piccolo paese vicino, ma non al vecchio pastore dell’altopiano del Pollino.
Gianlorenzo Franzì nella sua recensione, pubblicata su Taxidrivers, scrive che Il film è un’opera interessante ma più vicina, dal punto di vista teorico, alla video-arte e non al Cinema propriamente detto.
Poi, certo, l’assonanza tra la roccia e il linguaggio spoglio, le due storie che si intrecciano impercettibilmente, l’osservazione ostinata della natura e della vita; sono tutti elementi che Frammartino padroneggia e interseca in maniera sottile e impercettibile quanto attraente.
Il cast: Paolo Cossi, Jacopo Elia, Denise Trombin, Nicola Lanza