Il regista messicano Michel Franco presenta a Venezia 78 il film Sundown, un dramma familiare (ed esistenziale) con Tim Roth e Charlotte Gainsbourg.
Sundown: la vacanza che non ti aspetti
Una benestante famiglia britannica si trova in vacanza ad Acapulco, quando la notizia di una morte improvvisa interrompe bruscamente l’apparente idillio, dando origine a una serie di eventi disastrosi.
Pare che il cinema e la TV, negli ultimi tempi, amino raccontare “vacanze” dai risvolti inaspettati (e non sempre fortunati); basti pensare al recente Old di M. Night Shyamalan , a The Lost Daughter di MaggieGyllenhaal (in concorso anch’esso a Venezia78), o alle acclamate serie televisive The White Lotus (HBO) e NinePerfect Strangers (Blossom Film).
Complici anche le esigenze produttive, in tempi di pandemia, scegliere di ambientare una storia in un unica location come un’isola sperduta o un resort di lusso si sta rivelando una soluzione narrativa molto in voga negli ultimi tempi. Anche Sundown, come le opere sopracitate, parla di un viaggio di piacere che diventa un’epifania, sconvolgendo gli equilibri preesistenti nell’esistenza dei personaggi rappresentati.
La vacanza si configura come un punto di rottura, uno spartiacque tra un prima e un dopo nella vita dei “villeggianti”.
Ed è esattamente questo che capita al protagonista di Sundown (Tim Roth), Neil, un ricco uomo inglese di mezza età che decide di restare ad Acapulco, abbandonando la famiglia al proprio destino, e di iniziare una nuova vita lì, tra infradito e bermuda, birre sulla spiaggia e notti infuocate con una giovane sconosciuta.
Neil è un uomo che fugge dalla propria esistenza, dalle proprie responsabilità, dai legami ingombranti; si scrolla di dosso un destino che gli sta stretto e prova a reinventarsi una nuova identità, in una terra lontana e accogliente. Forse, è solo uno dei tanti ricchi annoiati o un uomo stanco della sua vita.
Oppure un sociopatico anaffettivo che non viene sconvolto nemmeno dalla perdita della madre. La figura di Neil resta sfocata, centrale eppure sullo sfondo; non suscita compassione né rabbia, è semplicemente un inetto.
Sundown: Acapulco, paradiso amaro
I luoghi in cui si svolge la vicenda sono una chiara espressione dello stato emotivo dei personaggi; sono posti che il regista messicano conosce molto bene, dato che era solito trascorrervi le vacanze da bambino.
Tuttavia, oltre l’illusorio miraggio di un paradiso terreno, oltre la placida serenità dei paesaggi esotici, nel ridente e colorato Messico c’è una criminalità che irrompe prepotente, alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti.
Ci sono le strade su cui passeggiano le prostitute, i night club a buon mercato, i motel sporchi e sgangherati, le sparatorie improvvise, l’incuria delle carceri.
Il blu di Acapulco si tinge del sangue delle sue vittime, in una realtà in cui l’unica regola è quella della sopravvivenza. Si avverte un senso generale di impotenza, non solo nei confronti del fato, ma della violenza e della morte stessa.
Sundown è un film dalle buone premesse che, però, non coinvolge emotivamente lo spettatore. Lo sguardo del regista, seppur nitido e lucido, appare sempre distaccato, freddo; non c’è uno slancio, un guizzo visivo, un momento di vera introspezione o emozione.
Per buona parte del lungometraggio, Franco gioca usando un ambiguo espediente narrativo, non funzionale alla storia, che vorrebbe stupire lo spettatore, mancando, di fatto, totalmente l’obiettivo.
Sundown: un film che resta in superficie
Probabilmente, il regista ha scelto di filtrare la storia attraverso lo sguardo del personaggio principale, un uomo che non ha nulla da perdere se non il tempo restante della propria vita, un fantasma che si aggira nelle strade di Acapulco senza meta, trascinandosi da una situazione all’altra, con cui non si entra mai davvero in relazione.
Del resto Neil, proprio come la gente del luogo, si limita a sopravvivere, godendo di quei minuscoli, intensi attimi di bellezza di una terra dilaniata, oscurata da ombre che nessun sole può rischiarare.
Sundown è un film facilmente dimenticabile che spreca due ottimi interpreti, Tim Roth e Charlotte Gainsbourg, per una storia che non decolla mai, proprio come l’aereo di ritorno del suo protagonista.