Ariaferma , il film che Leonardo Di Costanzo ora proiettato al Bolzano film Festival Bozen 2024.
La trama
Un vecchio carcere ottocentesco, situato in una zona impervia e imprecisata del territorio italiano, è in dismissione. Per problemi burocratici i trasferimenti si bloccano e una dozzina di detenuti rimane, con pochi agenti, in attesa di nuove destinazioni. In un’atmosfera sospesa, le regole di separazione si allentano e tra gli uomini rimasti si intravedono nuove forme di relazioni.
La recensione
Risale al 1975, e precisamente a Michel Focault con il saggio Sorvegliare e Punire, l’idea di una struttura carceraria ad anello con una torre al centro, così da fare in modo che i detenuti potessero essere sorvegliati ma loro non potessero vedere chi li osserva, per assecondare una nuova e strategica idea di potere.
E in Ariaferma, (originariamente intitolato Dall’Interno) Leonardo Di Costanzo riprende forse inconsapevolmente l’intuizione e la pone alla base del suo racconto conferendo alla storia (e al suo sguardo) un andamento geometrico.
Collegandosi alla suggestione che vede in ogni cella tante piccole gabbie, ognuna un piccolo teatro dove il detenuto è il solo attore in scena; così come fortemente teatrale è anche uno dei luoghi primari del film, quella sezione circolare dove al centro si pone la guardia e intorno (le celle de) i ladri.
Di Costanzo sembra voler allestire una pièce con gli strumenti propri del cinema, un po’ come nel 2012 ha fatto anche con il suo L’Intervallo, portato sempre al Lido nel 2012: anche lì un rapporto tra vittima e carnefice, prigioniero e carceriere, con dinamiche interpersonali che si assottigliavano e perdevano gradualmente le coordinate per trasformarsi in qualcos’altro.
E il pregio più grande del film risiede proprio nell’atmosfera data dall’ambientazione: un altro castello (anche nel film precedente i due protagonisti erano forzatamente rinchiusi in un vecchio maniero al centro di Napoli) ottocentesco adibito a prigione, all’interno del quale innescare un esperimento sociale e psicologico.
Con studi etno-antropologici alle spalle, Di Costanzo continua con severità e passione la sua ricerca esistenziale mettendo uno di fronte all’altro i suoi antagonisti, ma non tutto funziona come dovrebbe.
Ariaferma è straniante e claustrofobico, e racchiude un senso di spaesamento fin dalle prime immagini grazie alla messa in scena suggestiva aiutata da una colonna sonora robusta e tesissima; e si distanzia di almeno un palmo dai prison-movie anche all’italiana perché il regista si muove con intelligenza e restituisce un luogo lugubre e morente, popolandolo di figure fantasmatiche che pian piano prendono vita.
Ariaferma smette di essere efficace solo nel momento in cui compie il passo successivo, con l’esposizione un po’ troppo esplicita di metafore didascaliche, ma il percorso emotivo della storia procede per scarti riprendendosi nel finale, una conclusione che è un pò un anticlimax ma che riallaccia i fili narrativi aperti sui due antagonisti/protagonisti, Silvio Orlando e Toni Servillo. Un finale depotenziato solo apparentemente, che immerge tutta la storia, già impregnata di malessere e bruma crepuscolare, in un oblio stralunato e malinconico.
Servillo è come al solito preciso, centrale, perfetto, senza nessuna sbavatura.