‘Last night in Soho’ il film di Wright. Punti di forza e anello debole del film
Presentato alla 78esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Last night in Soho - Ultima notte a Soho è uno spettacolo pirotecnico, a cui Edgar Wright imprime il suo stile inimitabile. Ora su Netflix
Last night in Soho – Ultima notte a Soho | La trama
Eloise, detta Ellie (Thomasin McKenzie), vive con la nonna in una piccola località della Cornovaglia. La mamma è morta quando aveva solo sette anni e da quel giorno le fa compagnia nel riflesso di uno specchio. La routine della giovane viene completamente ribaltata dall’arrivo della lettera di accettazione alla scuola di moda di Londra.
Il suo sogno è infatti quello di diventare una stilista, ma la strada per raggiungerlo sarà costellata di ostacoli. Sin dall’ingresso nel dormitorio, dove incontra l’egocentrica Jocasta (Synnove Karlsen), sua compagna di stanza, Ellie si sente un pesce fuor d’acqua.
L’unico capace di avvicinarla e ottenere la sua fiducia sembra essere John (Michael Ajao), ma neanche lui riuscirà ad aiutarla nel momento in cui si troverà invischiata in un mistero che risale agli anni Sessanta e che coinvolge una ragazza di nome Sandy (Anya Taylor-Joy).
Lastnight in Soho – Ultima notte a Soho | La recensione
Wright è uno dei registi migliori e Ultima notte a Soho ne è l’ennesima dimostrazione.
Lo stile del cineasta britannico si riconosce subito ed è sempre un piacere ammirarlo.
In questa occasione a fornirgli un calderone pieno di suggestioni, colori e mood ci pensa l’epoca storica in cui è ambientata gran parte della storia. Gli anni Sessanta esplodono sullo schermo, trascinando con loro qualsiasi cosa incontrino nel percorso, compreso lo stesso spettatore.
A livello visivo la pellicola è un vero e proprio spettacolo. Costumi, musiche, scenografie: ogni elemento contribuisce al meraviglioso effetto finale. Ma si deve soprattutto allo sguardo d’insieme di Wright – che non sbaglia un colpo – la sensazione forte di essere trasportati in un altro universo. Percepirne l’elettricità sulla pelle, respirarne gli odori, fanno parte della fruizione e la rendono così godibile.
La vera identità dell’opera sta nella mescolanza di generi
Se da questo punto di vista Last night in Soho stupisce e conquista, la parte narrativa costituisce forse l’unico anello debole. Mescolando più situazioni, a cui fanno eco diversi generi cinematografici, si perde il fulcro del discorso.
Avere un simile materiale a disposizione si rivela un’arma a doppio taglio, di cui si possono notare lati positivi e negativi. Ad argomenti come la malattia mentale, la prostituzione, la vendetta, avrebbe giovato un andamento più lineare; eppure sta anche qui la vera identità dell’opera.
Un’identità arricchita da citazioni sparse qua e là, che rimandano a titoli tra i più disparati, da Tutto quella notte (1987) a The Neon Demon (2016) di Nicolas Winding Refn, sebbene i riferimenti dichiarati comprendano Repulsione (1965) di Roman Polanski e A Venezia… un dicembre rosso shocking (1973).
Un’ultima annotazione la dedichiamo alle sontuose performance delle due protagoniste, la McKenzie e la Taylor-Joy. Due femminilità agli antipodi, che incarnano alla perfezione quelle spinte sociali talvolta insidiose e causa di stravolgimenti comportamentali.
Dal canto suo, inappuntabile anche Matt Smith, che presta il volto a Jack, personaggio dall’ambiguità accentuata e magnetica.
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