
Ogni comunità sociale dispone al suo interno di una complessa varietà di strumenti che hanno lo scopo di raccontare le vicende di quel particolare gruppo umano e allo stesso tempo di consolidarne il proprio nucleo identitario. Giornali, libri, poesie, televisione e cinema delineano l’orizzonte socio-culturale al cui interno gli individui consolidano il proprio senso di appartenenza alla comunità. Sebbene la famiglia d’origine rappresenti il vettore più potente di socializzazione e di appartenenza, cionondimeno i fattori sopra elencati contribuiscono non poco nel fornire agli individui di una data comunità il senso di un background condiviso. Questi elementi mass mediologici però hanno vissuto una progressiva espansione soprattutto nel corso del XX° secolo, ma erano pressoché assenti in epoche antiche. Questo allora ci porta a ragionare su quale fosse la matrice collante dell’identità sociale in individui vissuti nei secoli passati. Un’analisi complessa delle variabili in gioco esula dagli obiettivi di questo scritto, ma senza dubbio in occidente miti e leggende possono essere annoverati tra le dimensioni più rilevanti nel processo di costruzione dell’identità, individuale e sociale, almeno fino all’avvento del razionalismo scientifico. Rivolgendoci ora verso i miti delle epoche passate, possiamo individuare dei topos, delle invarianti strutturali che attraversano differenti culture e che s’incarnano in archetipi che rappresentano di fatto la base immanente di ogni manifestazione mitica. Cioè a dire che ogni mito e leggenda prodotti da ogni cultura, in ogni parte del mondo, sono completamente diversi tra loro nelle proprie simbologie manifeste, ma in qualche modo sono tutti riconducibili a degli elementi universali che ne rappresentano lo scheletro formale. Una di queste figure formali ricorrenti in molti miti, quella dell’Eroe, ci aiuta anche a comprendere in che modo questa antica forma di espressione umana sopravviva silenziosamente anche nel pensiero moderno governato dalla logica razionale. L’Eroe, individuo coraggioso e senza macchia che si spinge fino al sacrificio per salvare quella stessa comunità che spesso lo stigmatizza come diverso. Tra questi è sicuramente riconducibile Giancarlo Siani, giornalista del Mattino di Napoli e protagonista di Fortapasc di Marco Risi. Siani trovò la morte nel 1985 per avere denunciato senza mezzi termini le profonde connivenze tra camorra e politica. Ma come nasce un eroe e soprattutto che funzione svolge nella propria comunità? A questo punto è utile considerare che ogni gruppo umano è un sistema complesso e che ogni sistema complesso punta a raggiungere un proprio equilibrio omeostatico e a mettere in atto dei meccanismi di compensazione per riparare ad eventuali rotture di questo equilibrio. Quando l’eroe ha lo scopo di proteggere la comunità da un nemico esterno che ne minaccia l’ integrità, come ad esempio fece Ettore, allora su di lui vengono proiettate qualità così positive da spingerlo verso una sfera esistenziale quasi divina. Ma quando l’eroe combatte un nemico che è interno e nascosto nella stessa comunità, allora viene vissuto in maniera assai più ambivalente e in alcune occasioni l’eroe stesso viene considerato una minaccia, perché con i suoi comportamenti colpisce le radici fondanti della comunità portandola ad un punto di rottura. Il lavoro di Siani, colpendo la camorra e la politica collusa con la camorra, chiedeva implicitamente ai suoi cittadini e ai suoi colleghi di reagire e di seguirlo in questa battaglia di verità e libertà. Ma per fare questo la comunità avrebbe dovuto rivoluzionare il suo equilibrio interno ed accettare il prezzo di morti e di dolore inevitabile in ogni rivoluzione. L’eroismo viene ricompensato a volte con la gloria ma il prezzo da pagare è sempre la solitudine, con la quale l’eroe sconta la sua eccezionale diversità rispetto alla comunità che lo circonda.
Damiano Biondi