Arriva al cinema Il film di Giovanna Taviani, Cùntami, presentato nella sezione Giornate degli Autori alla 78 Edizione del Festival di Venezia.
Giovanna Taviani ha ripreso gli stessi temi dell’altro suo documentario, Fughe e Approdi (2010), già teatro di memorie personali e collettive, che, rese più lontane e radicate nel tempo, si approfondiscono.
Distribuisce Cloud 9.
Cùntami e la memoria di Fughe e Approdi
Tredici anni fa, i ricordi erano più personali, tanto da volerci regalare la scena indimenticabile, per se stessa e per noi, di una fortissima potenza, delicata e onirica: quei bambini che saltellano in discesa da una montagna di pomice fino a raggiungere il mare, in un’atmosfera rarefatta, resa dal bianco accecante della pomice, della spiaggia e dei vestiti.
Sarà un caso se le stesse cave di pomice vengono riprese anche dalle fotografie di Cecilia Mangini negli anni Cinquanta, e riproposte, insieme ai cantastorie siciliani, proprio nel documentario, Il mondo a scatti, che ha aperto la sezione Giornate degli Autori del Festival (2021)? Sarà un caso; tuttavia una bella, appagante, coincidenza.
E un legame, testimoniato dall’omaggio a Cecilia Mangini del Salina Doc Festival, sempre nel ’21, curato da Giovanna Taviani, con la proiezione del cortometraggio La canta delle marane che la maestra del documentario girò nel 1961, ispirandosi a Ragazzi di vita di Pasolini. Un altro ricordo del passato, in cui affondano le radici, non solo emotive, ma, evidentemente, anche professionali.
Cuntami: la trama
Un road movie su un furgone rosso in giro per la Sicilia alla ricerca dei nuovi narratori orali che si richiamano alla grande tradizione del cùnto e dei cantastorie, per raccontare l’altra Sicilia, quella che si risveglia attraverso la forza universale delle storie popolari del passato per narrare il nostro presente (dal sito ufficiale del Festival).
“In questo viaggio sono andata in cerca dei nuovi narratori orali nati e cresciuti in Sicilia” (G. Taviani”
Cùntami: la storia e le storie di Mimmo Cuticchio
Cùntami ha come filo conduttore la presenza e gli insegnamenti di Mimmo Cuticchio: attore, regista, puparo e cantastorie. Erede del patrimonio familiare e culturale che è l’Opera dei Pupi, oggi Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Cuticchio occupa il primo capitolo del documentario dal titolo impegnativo, come del resto è impegnativa tutta la sua opera: L’aedo. Ma ha un ruolo importante anche in quelli successivi (Orlando, Don Chisciotte, Il cantastorie, Polifemo) per la sua forte presenza come maestro degli allievi che continuano a girare (a furriari) la Sicilia con le loro storie.
Racconta di sé, di quando, dopo i bombardamenti del 1943, la famiglia è stata costretta ad abbandonare Palermo, portandosi dietro quelle maschere vive che sono i pupi, veri e propri personaggi, quasi persone (“I pupi sono vivi”) con tanto di nome e cognome. “Eravamo sette in famiglia, più trecento marionette. Ho fantasticato con loro; con loro ho riso e ho pianto”.
La recitazione di Vincenzo Pirrotta
Il furgoncino rosso con su scritto Cuntami Sicilian Production e i pupi che sobbalzano per il movimento, ma come agitati dal vento e dalle loro passioni, continua a furriari. Alla guida ora non troviamo più Mimmo Cuticchio, bensì Vincenzo Pirrotta, forse tra gli allievi quello che ha più ereditato il suo cantilenare, una recitazione quasi sincopata, che viene dal profondo dell’anima e, anche se non si colgono tutte le parole, suggestiona.
Pirrotta è senza dubbio anche il più conosciuto, nei teatri nazionali ed europei; si è fatto lui pure maestro, fondando una sua compagnia e tenendo corsi di recitazione. Qui viene ripreso nel suo paese, Partinico, che definisce un luogo di gioie ma di grandi delusioni, attanagliato da una morsa, con le strade silenziose testimoni di cose taciute.
Gli altri narratori, eredi di Mimmo Cuticchio
Pirrotta e gli altri pupari, cantastorie, attori, ci danno ciascuno un saggio del proprio recitare; interessantissima la figura di Cicciu Busacca (in filmati d’epoca), che con i suoi disegni e la sua chitarra raccontava storie passionali, ma soprattutto, denunciava le grandi ingiustizie, come quella di Turiddu Carnivali, il sindacalista ucciso dalla mafia. Dando sempre voce a chi voce non aveva.
Gaspare Balsamo, novello Don Chisciotte, si lancia contro i mulini a vento di Trapani, dai quali forse Cervantes ha preso ispirazione.
Mario Incudine (autore della colonna sonora) ci parla della costa ferita di Gela, la stessa che ospitò Eschilo. “Una terra che vede, che sente e che ricorda”. Canta Vitti na crozza, violentata, anche la canzone, da quel Trallallalero aggiunto, a ‘mo di tarantella per un testo drammatico sui morti in miniera’.
Giovanni Calcagno, oggi noto attore di cinema e tv, sembra voler trarre invece la sua linfa poetica dalle stesse viscere dell’Etna, con il suo ciclope anarchico e innamorato di cui interpreta lo struggimento.
I luoghi della realtà e del mito
Come sono belli i luoghi di questo documentario fatto di narrazioni! E i contrasti di luce! La terra nera dell’Etna e il verde dei prati confinanti; le stradine a strapiombo percorse dal furgoncino; il rosso di questo carretto moderno, lo stesso dei titoli di testa; i paesaggi e l’azzurro dei cieli nei quali si stagliano i colori dei pupi nei loro viaggi, “strada strada, paese paese”, come dice Cuticchio della sua fuga da Palermo di quando era bambino.
Un andare che si ripete sempre uguale, riproducendo l’eterno racconto che tiene compagnia, consola, perché come dice la massima hassidica in apertura del film “Dio ha creato l’uomo perché amava sentir raccontare delle storie”.
Nel farlo, questi instancabili narratori sono ripresi in grandi spazi solitari (la campagna, i sentieri, i ruderi delle civiltà e, ahinoi, anche l’orrendo petrolchimico di Gela) ad amplificare lo stupore di fronte al mistero dell’esistenza.
Giovanna Taviani e la sua eredità
La regista è la voce narrante del film. “«Io sono lo sguardo del film, la sua voce narrante, perché questo film è prima di tutto un mio cùnto di gioia e di dolore, dedicato alla mia infanzia e alla mia memoria. Un viaggio di formazione dalla vita alla maturità, che ha inizio nel liquido amniotico del ventre materno, e finisce sotto le viscere della terra, nelle profondità del mare, dove i miti del mio passato tornano a riposare in mezzo alle ceneri di mio padre e mia madre”.
A loro, Giovanna Taviani dedica il film, con le parole finali intrise di affetto:
“Ai miei genitori che non hanno mai smesso di raccontarmi delle storie”.
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