Una Trastevere sorniona e disillusa fa da sfondo a questo piccolo e delizioso racconto che mette in luce con ironia e indulgenza tutte romanesche, alcune pieghe flaccide del funzionamento familiare. La famiglia è un contenitore di relazioni ed un organizzatore di significati che ha come scopo l’adattamento alla realtà e la socializzazione dei propri membri. All’interno delle famiglie d’origine si scolpisce gradualmente l’immagine che maturiamo di noi stessi, la nostra identità di base, chi siamo e chi vorremmo diventare. All’interno delle relazioni familiari impariamo a conoscere e regolare le nostre emozioni e a stabilire un confine differenziato tra quello che vogliamo condividere e quello che vogliamo tenere tutto per noi. Il rapporto che abbiamo con i nostri desideri e le nostre fantasie riconosce nella famiglia una propria matrice originaria, fondamento di un imprinting che sarà possibile prima o poi mettere in discussione, ma da cui sarà impossibile prescindere. Le famiglie sono sistemi talmente complessi che è assolutamente improbabile che possano funzionare senza qualche impedimento. Cosa tra l’altro neanche auspicabile perché le difficoltà della vita consentono alla famiglia di riorganizzarsi e di trasmettere ai propri membri la sensazione di essere una base sicura. Di fronte alle sfide esistenziali più importanti però, alcune famiglie bloccate da conflitti interni non riescono a rispondere in maniera congrua e “scelgono” la via della rigidità. Ridurre la complessità del reale ad una sua simulazione in scala ridotta è il frutto guasto di questa scelta rigida, e la vita diventa un film inceppato sullo stesso fotogramma.
Questo è un po’ quello che succede a Gianni, uomo ultra cinquantenne che vive in casa con l’anziana madre di cui è fedele servitore; soddisfa tutte le sue esigenze e la sua esistenza gradualmente si è ridisegnata su quella di lei. Sebbene il tutto si svolga con toni leggeri e scanzonati, in queste immagini possiamo ritrovare una potente motivazione che in diversi gradi è presente in tutte le famiglie ed esercita una grande attrazione su ciascuno dei suoi membri: la lealtà. Potremmo definire quindi le famiglie come un sistema centripeto che reclama lealtà e che in particolari condizioni può entrare in conflitto con le naturali istanze di autonomia e indipendenza di cui ogni individuo è portatore. Gianni per accudire la madre vedova rinuncia a costruirsi una vita indipendente e mette tutte le sue energie al servizio di un compito arduo quanto innaturale: risarcire la madre per la perdita che il destino le ha inferto.
Rinunciare alla propria individuazione per riempire i vuoti di un altro, pone il soggetto in una condizione di invisibilità, tanto che gli altri smetteranno di vedere in lui una persona con dei bisogni ed inizieranno invece a vedere un risolutore di problemi che acquista senso solo in funzione di un altro da accudire. Alfonso, amministratore del condominio approfitta della dissestata situazione economica di Gianni per proporgli un maldestro baratto; se lui accetterà di tenergli la madre per ferragosto chiuderà un occhio su molti suoi debiti. Gianni accetta ma all’indomani l’amministratore si presenterà con la mamma e con una zia che gli sono d’intralcio durante le vacanze estive. Poco dopo anche il medico curante, nonchè amico di Gianni, gli chiederà di ospitare la sua anziana madre di cui non si potrà occupare durante il turno di notte in ospedale. La spirale dello sfruttamento è ormai inarrestabile e Gianni ritrova se stesso in fugaci boccate di fumo che ruba in solitudine la notte, quando oramai le sue simpatiche aguzzine dormono. La fantasia onnipotente di annullarsi come individuo per sostituirsi al padre morto soddisfa anche il suo desiderio edipico di avere un rapporto unico e indivisibile con la madre che per lui costituisce l’universo intero.
Quando il pranzo di ferragosto è terminato arriva il momento per ognuna delle ospiti di ritornare alla propria vita e Gianni potrebbe finalmente svincolarsi dal suo ruolo di servitore tuttofare. A questo punto però tutte e quattro queste arzille vecchiette hanno ricostituito una società matriarcale in cui ciascuna ha ritrovato metaforicamente quel figlio ideale e servizievole che invece non esiste nella realtà e quindi non ne vogliono proprio sapere di andarsene. Quando Gianni accetta i loro soldi per farle rimanere rinuncia definitivamente a qualsiasi forma di riappropriazione della propria vita e si ripropone di nuovo di riempire un vuoto, cioè di figlio ideale, che qualcuno ha lasciato vacante.
Il delicato processo di individuazione e differenziazione può incontrare degli ostacoli quando all’interno della famiglia si ricevono delle sollecitazioni che spingono il soggetto a declinare le difficoltà insite nella soggettivazione, preferendo rimanere congelato nel desiderio dell’altro, che regala l’illusione di esistere ma solo in quanto riflesso sbiadito di una luce senza calore.
Damiano biondi