Una donna non più giovanissima e madre di una bambina nata prematura (Margherita Buy) indugia per un certo intervallo di tempo, nella speranza di cogliere il frutto delle proprie sensazioni
Lo spazio bianco di Francesca Comencini è una zona sospesa, di attesa e di chiusura, dove una donna non più giovanissima e madre di una bambina nata prematura (Margherita Buy) indugia per un certo intervallo di tempo, nella speranza di cogliere il frutto delle proprie sensazioni e riflessioni.
Come poter essere oggi donna e madre, questa è la questione proposta dal film che cerca d’individuare un territorio nuovo all’interno del quale porre tracce che ridefiniscano la femminilità, partendo da ciò che ne costituisce il tratto specifico: la maternità, l’accoglienza. Senza però cadere nella rete delle conseguenze tipiche determinate da una natura siffatta. La protagonista è sola e, durante i mesi in cui Irene rimane nell’incubatrice, avrà non poche perplessità sulla solidità del proprio desiderio di maternità. Essere madre, senza un compagno e con un nascituro dalle incerte possibilità di sopravvivenza, è una condizione assai dura, in cui Maria è costretta a ripensarsi completamente come persona, lavoratrice, amante. Saper rimanere fedele alla propria femminilità, questo è il giusto atteggiamento che condurrà la protagonista al superamento della difficilissima prova, senza cedere alla trappola dello scimmiottamento del maschio.
La forza del femminile non ha nulla da invidiare a quella dell’altro sesso, e può contare su di una dinamica emotiva assai ricca che probabilmente potrebbe molto insegnare al maschio esanime e strascinato del nuovo millennio. Lo schermo diviene completamente bianco e allora, una volta sottrattisi dai rapporti di forza dominanti, non resta che solcare l’immacolata pagina bianca e tratteggiare i contorni dell’avvenire.