DAU. Natasha, in uscita in Italia il 26 agosto, è il primo film nato dal leggendario progetto DAU, premiato al Festival di Berlino, già acclamato dalla critica internazionale e uno dei più importanti e quanto mai sconvolgenti eventi cinematografici degli ultimi anni.
DAU. NATASHA: La trama
DAU. Natasha ruota attorno alle torture e violenze perpetrate dal regime sovietico seguendo il punto di vista della protagonista (Natalia Berezhnaya), una cameriera della mensa dell’istituto scientifico DAU. Dopo una festa, fra vodka e pesce crudo, la protagonista si abbandona a una notte di passione con lo scienziato francese Luc (Luc Bigé). Convinta in un primo momento di aver trovato l’amore, la donna si ritrova ben presto sola e in grave pericolo. Un funzionario del KGB (Vladimir Azhippo), venuto a conoscenza dei sui rapporti con lo straniero francese, convoca Natasha per un interrogatorio.
DAU. NATASHA: Il cast

Il film nato dal progetto di Sergey Adonyev e Ilya Khrzhanovsky con la regia e la sceneggiatura di quest’ultimo, risulta una visione difficile da immaginare e ardua da dimenticare. Vanta un cast eccezionale formato da non professionisti che ha anche visto una delle attrici, Natalia Berezhnaya, ricevere una candidatura agli EFA. Il film vanta la straordinaria fotografia in 35 mm di Jürgen Jürges, già storico collaboratore di Fassbinder e Haneke.
Così il regista ha parlato in merito alle persone che hanno partecipato al progetto:
“Considero le persone che hanno partecipato al film come degli eroi. Eroi perché hanno investito tempo e emozioni provando a creare qualcosa insieme, in quello che alcuni hanno etichettato a torto come una specie di Grande Fratello. In realtà abbiamo girato solo quando sapevamo esattamente cosa filmare, discutendo prima ogni possibile aspetto con gli attori. Questi si sono preparati a lungo vivendo sul set e la cosa più interessante è che persone di diversa estrazione sociale e con diverse visioni della vita si siano unite per raccontare una storia su questo universo”.
DAU. NATAHASHA: Il progetto

La pellicola nasce da uno dei più ambiziosi progetti cinematografici di sempre: DAU ha coinvolto ben oltre 400 attori non professionisti che, per tre anni, sono stati chiamati a vivere su uno dei più grandi set mai costruiti.
Alla base del progetto vi era la volontà di ricreare la vita in Unione Sovietica tra il 1938 e il 1968, concentrando i vari attanti nel Lev Landau Istitute (dal quale deriva l’abbreviazione DAU), istituto scientifico intitolato all’omonimo fisico russo. Per tre anni sia la troupe, sia gli attori, hanno vissuto in una sorta di mondo parallelo fra realtà e finzione, in cui l’una si mescola con l’altra.
La risultante non può che essere un’operazione cinematografica visionaria, elevata al cubo nella quale si mescolano cinema, performance, esperimento sociale, operazione antropologica, scienza e critica. Dal progetto sono nate così diverse ore di girato e diversi film, ognuno autonomo nel raccontare un frammento di quella realtà storica.
DAU. NATAHASHA: La critica antropologica
Khrzhanovsky aveva, inizialmente, l’intenzione di girare un biopic sullo scienziato Lev Landau, ma il progetto si è trasformato in corso d’opera diventando, difatti, uno fra gli esperimenti più ambiziosi della storia del cinema.
Moltissime le critiche: tra queste, più volte etichettato come un “Truman Show Stalinista”. Difficile dire se effettivamente il film oltrepassi i confini morali; di certo, rispetto a quello che ci arriva dallo schermo, risulta arduo da giudicare.
Sicuramente quello che sovviene, alla fine della visione, è il desiderio di saperne di più sul progetto che circonda la pellicola: Nathasha è un esperimento antropologico? Un nuovo modo di fare cinema? Un cinema che si fa realtà e la realtà cinema? Una nuova possibile frontiera del cinema stesso e con lui anche un nuovo modo di vedere il mondo? O, al contrario, un mondo sempre più pervaso dalla tecnologia tanto che essa risulti capace di creare una nuova possibile realtà? Tutti quesiti ai quali solo il tempo potrà dare una risposta.
DAU. NATAHASHA: La questione del regime totalitario
Il film, senza mezzi compromessi, pone al centro della sua poetica gli spettatori nella condizione psicologica del regime totalitario: l’operazione avviene senza tanti fronzoli, ma con una crudezza sconcertante.
DAU. Natasha, annullando o comunque assottigliando la linea fra realtà e finzione, facendone la sua cifra stilistica, permette di ricreare al meglio l’aria dei regimi totalitari. Guardando il film non si può fare a meno di pensare al “bispensiero” di Orwell, anche soltanto per la claustrofobica visione rigorosamente in interni e/o per una struttura rigidamente tripartita che il film offre.
Ecco, quindi, ricrearsi, efficacemente, quel mondo bizzarro e quel meccanismo mentale, tipico dei regimi totalitari, in cui si ritiene vera qualunque opinione e il suo esatto contrario. Si mescolano così più elementi: il banale, il grottesco, il viscido, il sessuale, la gioia, l’ira: un tripudio della banalità del male e il suo esatto contrario.
La pellicola riesce in questo intento grazie a un’apoteosi di messa in scena del reale. Questo reale, però, è costruito in modo talmente accurato che finiamo per domandarci se sia veramente reale. Del resto il progetto DAU. Natasha nasce proprio ponendo un annullamento fra cinema e realtà, fra il girato e la vita sul set.
DAU. NATAHASHA: La problematica comunicativa

Nonostante l’esperimento cinematografico che l’opera propone e le straordinarie performance attoriali non sempre facili da reggere, pare che gli autori si siano fatti prendere un po’ la mano dalle ore di girato. Nello scorrere delle due ore e mezzo del film ci rendiamo conto che tanto è sacrificato nel montaggio, ma forse non abbastanza.
La sceneggiatura ripiega su se stessa in un loop senza fine, risollevandosi solo verso la fine, grazie alla svolta dell’interrogatorio, in cui assistiamo a un gioco psicologico fra carnefice e vittima. Nonostante DAU sia un’operazione sicuramente meritevole e importante, la risultante è quella di un deficit sul piano comunicativo. Il cinema dovrebbe parlare in modo autonomo e senza la lettura di tutte le ampie note esplicative sulla pellicola. DAU. Natasha senza quest’ultime rimarrebbe un’opera a tratti noiosa e fine a se stessa.
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