Donatella Finocchiaro è stata ospite di Kinéma, la rassegna di cinema e arti visive di Agrigento, ideata da Leandro Picarella.
Dal 2003 a oggi è stata nominata cinque volte per i David di Donatello (tra questi, migliore attrice protagonista per Il registra di matrimoni di Marco Bellocchio e migliore attrice protagonista per Terraferma di Emanuele Crialese) e sette volte per i Nastri d’argento.
Ha recitato in diverse pièce e ha diretto un documentario sulla scena musicale della Catania anni novanta, Andata e ritorno (2011).
L’intervista a Donatella Finocchiaro
Donatella Finocchiaro, partiamo da Le sorelle Macaluso appena rivisto a Kinéma. Lei raccontava che la regista, Emma Dante, ha richiesto un lungo periodo di prove prima di iniziare le riprese. Come si è svolta questa preparazione? Perché è stata importante, dal punto di vista attoriale?
Credo che prove e preparazione siano importanti per tutti i film. Le prove spesso vengono considerate un optional quando dovrebbe invece essere lo standard. Prima di cominciare bisogna provare qualsiasi cosa: i personaggi, il testo, vedere se è efficace, in ogni situazione. Per me è una cosa determinante, una condizione essenziale. E infatti quando non si prova, ci rimango sempre male. [Sorride] Spesso si fa una lettura, con tutti gli attori, e si va a girare. Emma no. Emma viene dal teatro, Emma sa benissimo cosa vuol dire fare le prove. Siamo stati là, dentro la casa dove si è poi girato il film, e abbiamo provato, riprovato, riprovato mille volte quelle scene. […] La cosa necessaria era questa amalgama tra donne che si dovevano somigliare pur non somigliandosi, a volte neanche fisicamente. Per alcune c’era una somiglianza fisica un po’ più forte, per altre meno.
Quindi abbiamo lavorato su una somiglianza emotiva e dei gesti. Sono diversi personaggi, un’attrice diversa per ciascuna fase della vita. Ovviamente Emma è andata proprio sul dettaglio, su questa cosa del gesto, importantissima, da ripetere sempre uguale in ogni fase della vita. La fase della preparazione è stata quindi meravigliosa, a volte estenuante… ma si è vista una crescita dentro le scene. Naturale. Credo che la cosa più bella del film sia stata l’elaborazione del lutto, queste donne segnate dal lutto fin da bambine, un lutto che ha segnato ciascuna di loro in maniera diversa. Credo questo film sia piaciuto per questo, anche all’estero – adesso è stato venduto in America –, perché parla di temi universali. L’amore, l’emozione, l’amore che poi salva tutto; perché queste sorelle, nonostante l’odio, il rancore, alla fine si amano sempre. È croce e delizia.
Un tema, quello della famiglia, che la coinvolgerà di nuovo in un film che andrà in onda sulla Rai il 3 ottobre…
Sorelle per sempre, sì. Un film per la tivù di Andrea Porporati, con Anita Caprioli. […] Tratta questo tema complicato, uno scambio in culla veramente accaduto, a Mazzara del Vallo, tra queste due famiglie che per via della somiglianza tra una madre e la bambina scoprono il dramma. […] Legame di sangue oppure no? Complicato, anche qui.
Una parentesi, dettata dall’associazione, ma vorrei tornare su Emma Dante, da lei amata. L’ha definita più volte una regista «tosta» [Donatella Finocchiaro ride]. Perché? Ci sono aspetti del lavoro attoriale in cui risulta più severa? Nella sua opinione, qual è la qualità che Emma Dante maggiormente predilige in un attore?
Guarda, non so… a teatro. Io mi ero portata la tuta, scarpe da ginnastica… credevo che facesse provare come fa provare a teatro, quindi fatica fisica… […] E invece no. Siamo state ferme, sedute su quelle sedie, dentro quella casa, a ripetere e ripetere sempre quelle scene, identiche. Quindi non c’è stata una fatica fisica ma una fatica mentale, emozionale, fortissima. Eravamo comunque estenuate alla fine di queste prove. Tosta perché è una che s’impunta nelle cose; è una che sa quello che vuole e, se c’è una cosa che vuole maggiormente, è la verità della recitazione […]. Lei vuole la verosimiglianza, la verità, questo lei vuole. Non cerca altro, credo. E va a fondo in questi sentimenti, a volte anche in maniera estrema, che è il suo modo, è il modo di Emma, così come il suo teatro. […]. È un genio registico, credo. Sa tirar fuori dalle attrici e dagli attori il massimo. E anche quando, con alcune attrici, c’era uno scontro, alla fine aveva ragione lei. Vuole quello, fino alla fine, capito?
Dal cinema al teatro
Una domanda ingenua, dalla quale possono scaturire infinite riflessioni. Recitare sul palcoscenico e recitare sul set, quali sono le differenze? In quale dei due ambiti emerge maggiormente il bagaglio personale dell’attrice e quale delle due performance assicura una maggiore libertà interpretativa?
La libertà? Non lo so. Ma la differenza è sostanziale. […] A teatro ci vuole un ritmo pazzesco. Non c’è montaggio. A teatro devi mantenere un ritmo nella recitazione, cioè devi essere bravo. Un attore non può fingere mai, deve metterci tecnica ed emozione insieme; devi essere dentro, totalmente dentro quello che fai. Così anche al cinema, ma al cinema ti puoi salvare, prendi veramente il meglio. A teatro no. È lì, fermo, in diretta, per quel pubblico. Sono complementari, però. Nessuna delle due mi dà maggiore libertà. È più facile il cinema, per assurdo. Il teatro è più faticoso.
In primavera la vedremo sul palcoscenico a interpretare Goliarda Sapienza, nell’adattamento di Ippolita di Majo, diretto da Mario Martone. Cosa pensa dell’opera della scrittrice (e attrice) catanese? Come ci si prepara a vestire i panni di un personaggio così complesso?
Eh. Come ci si prepara… Anche lì c’è stato uno studio complicato, difficile. Vedevo sempre le interviste di Goliarda. Volevo quel mood, quella base emotiva di partenza; la sua fragilità, la sua forza, la sua intelligenza – perché era una donna estremamente intelligente, Goliarda – ma anche il suo essere contro a tutti i costi, il suo femminismo, il suo impegno politico. Ma anche le cose che ha scritto… L’arte della gioia… Un’eroina del Novecento.
Insomma, ha scritto delle cose “troppo avanti” per l’epoca in cui le ha scritte. Per questo l’opera fu pubblicata postuma, a cura di Angelo Pellegrino, sai… Un percorso veramente difficile, quello di Goliarda. Ma era una donna curiosa. Mi ricorda per certi aspetti Letizia Battaglia, con questo guizzo negli occhi, nello sguardo; una donna ammaliante. Se guardi una sua intervista, non puoi non seguire ogni parola che dice, dall’inizio alla fine. Strega. Ti strega. Ed è stata una grande scrittrice.
Donatella Finocchiaro, lei stessa è regista di un documentario, Andata e ritorno. C’è una storia particolare, un personaggio oppure un tema che lei vorrebbe raccontare, in veste di regista, di attrice di cinema oppure di teatro?
Sì, sì… in realtà ce l’ho un progetto che sto cercando di portare avanti, una cosa che ho scritto… insomma mi piacerebbe. Però ancora non ha una scrittura definitiva. Scrivere un film non è facile. Ho fatto il documentario Andata e ritorno perché avevo la necessità di raccontare com’era Catania ai miei tempi, i tempi d’oro, gli anni novanta. Mi premeva farlo e l’ho fatto […]. Crialese, per esempio, dopo dieci anni torna sul set. C’è un’esigenza che ti porta… non è solo un lavoro […]. Per noi attori è un po’ diverso, però è importante scegliere, fare ciò che ti appartiene. Se facciamo le cose solo per lavora’… mmm… Vediamo [ride], piano piano.