Beckett diretto da Ferdinando Cito Filomarino, con Luca Guadagnino nel novero dei produttori, è un film strutturato su di una linearità d’azione apparentemente semplice sotto la quale si celano complesse rincorse di generi e piccole morali. La pellicola, proiettata in apertura del recentissimo Festival di Locarno, è prodotta da Frenesy Film Company, MeMo Films, Rai Cinema, RT Features e WisePictures. Dal 13 agosto visibile su Netflix, Beckett non scalda i cuori smarrendo nella scrittura le potenzialità della tecnica e delle idee.
Trama
Una coppia di giovani fidanzati americani, Beckett e April, in vacanza nella turbolenta Atene del 2015, decide di continuare il proprio viaggio nel più tranquillo entroterra. Una zona affascinante quanto impervia e montuosa. Tutto procede per il meglio, ma, in un trasferimento notturno, Beckett perde il controllo dell’auto e finisce fuori strada. Nell’incidente April muore. L’uomo al dolore per la perdita della sua amata deve aggiungere la paura di essere finito sotto tiro da alcuni membri della polizia locale. È l’inizio di una drammatica fuga verso la salvezza e la verità.
Beckett: l’essenziale
Grazie anche alla bella fotografia di Sayombhu Mukdeeprom, Beckett si muove con decisione sui binari dell’essenzialità. Le immagini e i movimenti classici della macchina da presa, con molti campi e controcampi old style, ne sono la prova incontrovertibile. Un effetto identitario, seppur condito da numerosi richiami a cominciare dal cinema di Alan J. Pakula, che punta a distinguere i fatti dalle interpretazioni con lo stesso piglio ansiogeno con cui di colpo il protagonista si trova a fare i conti. L’azione, costantemente concentrata su di lui, porta con sé scampoli di altro che tale resta, quasi fosse un perfetto mcguffin hitchcockiano. Questo voluminoso sporgersi verso strade perigliose e complesse, senza mai approfondirne lo stato, toglie potenza a una storia che neanche l’efficacissimo montaggio di Walter Fasano e la musica del grande Ryuichi Sakamoto riescono a sostenere fino in fondo.
Il Protagonista
John David Washington è bravo, ma è proprio il suo ruolo a rappresentare uno degli aspetti più controversi della pellicola. La costruzione del personaggio, frutto della sceneggiatura di Kevin Race e del racconto dello stesso Filomarino, si delinea compressa dalla sua corporeità. L’espressività interiore di Beckett non trova quasi mai le sfumature adatte in un viso e in una figura troppo impegnata nell’azione. Il lungo preambolo con April,Alicia Vikander, funzionale al successivo drammatico punto di svolta della storia non incide quanto dovrebbe sulla natura del personaggio. L’uomo comune, costruito da Filomarino e Race, destinato a lottare restando tale, si rivela un clamoroso falso. L’operazione non riesce e in alcuni frangenti il tentativo risulta persino goffo. Mr Tenet, che al tempo delle riprese per Beckett non aveva ancora girato per Nolan, volente o nolente, finisce per praticare il mestiere dell’eroe consumando qui e là iperboli impensabili ai più.
Quale Grecia per Beckett
La Grecia di Beckett è sostanzialmente un paese confuso, indeterminato. Dall’aria più balcanica che europea, indecifrabile negli stessi volti della gente, declinati come comparse vittime di un Destino inafferrabile. Una Grecia che, prima delle elezioni politiche, appare delusa e divisa con le istanze liberali che prendono forma nella figura del giovane e coraggioso Karras (Alexis Tsipras?). Contestualmente desta paura e preoccupazione l’estrema destra di Sunrise (chiaro il richiamo alla famigerata Alba Dorata di matrice neonazista). Un 2015 molto semplificato in una dicotomia non corrispondente alla realtà, resa ancora più distopica da una presunta trama complottistica legata ad alcuni servizi segreti statunitensi. Dei flash sparati nel mucchio nei quali si distinguono le interpretazioni di Vicky Krieps, Lena, l’attivista tedesca insperata alleata di Beckett, e Boyd Holbrook,Tynan, il presunto aiuto di Beckett all’ambasciata americana, null’altro che un mutaforma, l’archetipo che non può mai mancare.
“Esse est percipi”
George Berkeley
Le ragioni di un successo
La frase sopraccitata del filosofo George Berkeley è la sintesi perfetta delle ragioni di un successo di un lavoro comunque portatore di corposi cahiers de doléances. L’essere è essere percepito dice Berkeley pertanto l’essere di ogni cosa, compreso l’uomo, consiste in questa percezione. Nient’altro occorre. La caratteristica di Beckett è proprio questa sua capacità di manifestare una forte identità, compresa immediatamente nel momento in cui parte l’azione. Sostenuta da un cast tecnico di assoluto rilievo la pellicola di Filomarino riluce in un universo Netflix troppo spesso caratterizzato da doppioni e da ispirazioni televisive. Pur con i suoi difetti Beckett fa cinema puro. Un originale in mezzo a tante fotocopie che non può non attirare l’attenzione. Contribuisce non poco la notorietà acquisita di un attore, John David Washington, che ormai trascende qualsiasi personaggio. Nel 1964 Samuel Beckett conclude la sua prima e unica sceneggiatura per un cortometraggio titolato Film e il cui interprete principale è Buster Keaton. Diretto da Alan Scheneider il lavoro è totalmente privo di suono. L’essere è essere percepito. Il Beckett di Filomarino non smette mai di mostrarsi tale.