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‘Vivo’ la difficile ricerca del ritmo

Kirk DeMicco e Brandon Jeffords sono i registi di ‘Vivo’, film d’animazione su Netflix

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Ogni epoca ha il suo disgelo. Negli anni ’80 c’era quello tra USA e URSS che portò poi alla caduta del Muro di Berlino, oggi c’è quello tra Cuba e gli Stati Uniti dopo la caduta di Fidel Castro, l’avvicinamento alla democrazia, l’allentamento dell’embargo. È interessante quindi che la prima opera pensata per un grande pubblico a segnare questo disgelo sia un cartone animato, Vivo, prodotto da Sony Animation e distribuito da Netflix, che ovviamente sugli interessi geopolitici da tradurre in spettatori fonda la sua pratica industriale.

Vivo: tra musical e melodramma

In ogni caso, il film non parla di politica ma di due protagonisti cubani: Andres, un vecchio cantante di strada, e Vivo, il suo cercoletto (una specie di piccolo procione) che lo supporta nei numeri musicali. Un giorno arriva una lettera da Marta, una vecchia fiamma di Andres divenuta una star mondiale: per l’ultimo concerto, chiede all’uomo di tornare da lei. L’uomo accetta, ma la mattina dopo muore: toccherà al piccolo mammifero viaggiare verso Miami per portare alla diva la canzone d’amore che l’uomo ha scritto per lei. Diretto da Kirk DeMicco e Brandon Jeffords, scritto da DeMicco, Quiara Alegrìa Hudes e Peter Barsocchini e musicato da Lin-Manuel Miranda (il divo del musical contemporaneo che dà la voce originale al protagonista), Vivo è un tipico contenitore Netflix pensato per più pubblici, mescolando pezzi di successi altrui, dal melodramma al musical, passando per l’avventura ecologista.

Un ponte tra due culture

Non si può non pensare a Coco, l’ottimo film Pixar del 2017, per la mescolanza di musica, morte e cultura latina, ma Vivo non è interessato a far conoscere un pezzo di mondo al resto del globo (come per esempio fa anche Luca). Cerca piuttosto di mettere nuovamente in contatto Cuba con quel lato di sé che il dissenso ha portato a disperdersi, come a voler ricucire una diaspora e per farlo utilizza la musica, il ballo, il sentimento ovvero gli elementi cardine di quella cultura che i registi e il compositore esplorano tra tradizione e novità, tra hip-hop e social club, sentimentalismi nuovi e antichi. Peccato che l’obiettivo resti sullo sfondo di un film figlio di troppe madri, che fatica a trovare un meccanismo che possa reggere l’avventura e l’emozione.

Usato non troppo sicuro

DeMicco e Jeffords (assieme a Miranda, vero co-autore del film) non sanno dare vero ritmo e vera passione a una storia poco originale, che pare andare avanti riciclando in maniera telefonata materiale di seconda mano, come se il dovere di affascinare un pubblico infantile (o semplicemente distratto dalla modalità di visione in streaming) costringesse il film a diventare corrivo, ad assecondare senza slanci i presunti gusti del pubblico, tanto in fatto di animazione che di musica. Per Sony Animation dopo gli exploit di Spiderman e I Mitchell contro le macchine è un mezzo stop, almeno in senso artistico. Chissà però che non gli sia riconosciuta, col tempo, una valenza politica e culturale che non ci saremmo aspettati.

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