In sala dal 19 agosto, La ragazza con il braccialetto, secondo lungometraggio di finzione di Stéphane Demoustier, film presentato con successo al Festival di Locarno due anni fa, che ha fatto un bel giro nei festival internazionali e che poi ha avuto alcuni ritardi nella distribuzione, a causa anche della chiusura dovuta alla pandemia. Arriva nelle sale in Italia, fra i primi paesi europei ad ospitarlo, grazie a Satine Film.
La ragazza con il braccialetto l’imperscrutabilità della giovinezza
Una giovane ragazza, nel bel mezzo di una giornata al mare con la sua famiglia, viene raggiunta e portata via dalla polizia; si scoprirà poi essere accusata dell’omicidio della sua migliore amica. I genitori increduli, sicuri dell’innocenza della loro figlia, iniziano una battaglia dentro e fuori l’aula di tribunale, per dimostrarne l’innocenza e per sgretolare quell’accusa sulla loro bambina che la dipinge come una spietata omicida.
Crime, thriller giudiziario, drammatico, noir: difficile dare una categorizzazione a questo film, che risponde in modo pulito e senza cliché all’intersezione di ognuno di questi “generi” cinematografici. Il film, che ha vinto in Francia il Premio César alla Migliore Sceneggiatura Non Originale, mette il focus su due temi principali: la famiglia in crisi e la difficile comprensione degli adolescenti, soprattutto dal punto di vista di un padre e di una madre, ma anche dallo sguardo lontano di un apparato sociale e istituzionale ostile.
Sviluppo emotivo, fisico e intellettuale: le difficoltà dell’adolescenza
Il cinema francese è stato sempre particolarmente affezionato ai dolori dell’adolescenza, a ciò che concerne aspetti emotivi, di formazione, di crescita, sia fisici e ancor più intellettuali. Dai tempi di maestri come Robert Bresson e François Truffaut, ma anche in epoca recente con autori come Bruno Dumont e François Ozon, solo per citarne alcuni. La scuola dei predecessori è virtuosa e a tratti inarrivabile, ma questo contributo dato all’opera cinematografica dal giovane Demoustier si afferma con rigore e stile. Qui sicuramente il mondo degli adolescenti, e in particolare una loro esponente, viene messo più che mai sotto accusa, all’angolo, senza via d’uscita, come elemento catalizzatore di un conflitto generazionale giunto all’estremo.
Il difficilissimo ruolo di decodificatore del linguaggio dei giovani
Potremmo ridiscutere l’età inquieta dell’adolescenza (citando un film magistrale di uno degli autori citati poco fa), il giudizio e la morale nella società di oggi, così dirompenti, in una continua messa in scena dove i giovani sono protagonisti senza controllo, soprattutto in una fase delicata della loro vita e della storia. Qui si palesa il cortocircuito che il film presenta allo spettatore. I giovani dunque; da qui emergono le fortissime difficoltà di “brandirne” il linguaggio, di comprenderne i significanti, i segnali che lanciano quotidianamente per manifestare il loro esistere, non privo di disagio.
La giovane protagonista Lise, interpretata dall’attrice esordiente Melissa Guers, è la rappresentazione perfetta dell’ambiguità e l’imperscrutabilità di una adolescente; non siamo mai convinti della sua colpevolezza, ma neppure della sua assoluta innocenza. Anche se sembra essersi chiusa dopo la tragedia che ha portato alla morte dell’amica, nella ricostruzione dei fatti, si palesano come già nel periodo antecedente il dramma vi fossero difficoltà nella comunicazione. “Molte cose dei nostri figli non le conosciamo”, troppe cose sono nascoste ed emergono in modo sorprendente. Con il processo, il padre e la madre di Lise scopriranno aspetti della figlia che per loro erano impensabili.
Roschdy Zem e Chiara Mastroianni, nei panni di Bruno e Celine, il padre e la madre di Lise, impreziosiscono l’opera con due interpretazioni di una profondità e di una consistenza fondamentale. Se la Mastroianni non ha bisogno di presentazioni, va sottolineato il grande apporto di Zem in una stagione straordinaria della sua carriera, sicuramente tra gli attori d’oltralpe più talentuosi e potenti della sua generazione, che aggiunge un’altra grande performance dopo Roubaix, une lumière di Arnaud Desplechin. A dar manforte, Anaïs Demoustier, che veste i panni di un incalzante Pubblico ministero e l’esperienza di Annie Mercier, nel ruolo della difesa.
La costruzione giudiziaria della storia ha grande solidità ed è molto convincente
Il processo in Corte d’Assise è molto ben curato, ricostruito nei dettagli e realistico, tra argomentazioni e regolamentazioni. Il dibattito avviene nell’aula dove si svolge il processo. Fuori dall’aula: riflessioni e intime riconciliazioni. Il grosso della comunicazione verbale avviene lì, in un significativo contrasto tra voci e silenzi, quelli della protagonista. L’aula caratterizza la scena, una cospicua parte del film. La parola e la descrizione dei fatti danno forma alla fabula in questo luogo di confronto. Le testimonianze, gli interrogatori e i “botta e risposta” tra pubblico ministero, difesa e non solo. Con Lise che quando decide di parlare lascia segni indelebili.
Queste fasi hanno un ruolo portante nel raccontarci chi era la protagonista e chi è oggi dopo i fatti, nel farci comprendere ciò che è successo, anche se non sono rivelatrici della verità. Così come non lo sono le immagini delle videocamere di sorveglianza o dei telefonini portate al processo ed esaminate in sede di indagine.
In quest’opera troviamo il ritratto di una famiglia messa in crisi dall’esterno, non tanto dal suo interno, dove scricchiolano alcune convinzioni o credenze, ma non viene mai meno la certezza dell’amore, ed è davvero difficile dire quanto sia convenzionale questo quadro. La crisi di una famiglia che sembrava perfetta e che prova in tutti i modi a rimanere unita, e non accetta di frammentarsi, né di arrendersi.
Il mistero di una generazione
Rimane il dubbio, il mistero sulla colpevolezza, anche perché il film non ci vuole consegnare innocenti o colpevoli, ma vuole interrogarsi senza dare soluzioni, lasciandoci liberi di interpretare un affresco contemporaneo. La ragazza con il braccialetto ci consegna un personaggio che non è né un eroe, né un antieroe, né buono né cattivo, con una dimensione imperscrutabile del racconto della sua protagonista, cosa tutt’altro che scontata in fase di scrittura e ancor di più in scena.
In questo mistero, trascurando la volontà di imporre un lieto fine che non è scontato, si “srotola” la sceneggiatura solidissima del film. Un lungometraggio che passa dalla minuziosa precisione e dal realismo nel ricostruire il processo, alla perizia nel forgiare e dare autenticità ai suoi personaggi. Poi il coinvolgimento forte di uno spettatore che non riesce mai a ritrovarsi dalla parte di Lise e dei suoi genitori, ma tanto meno dalla parte dell’accusa. Sicuramente dalla parte del dibattito e testimone di una crisi, più che mai reale, che attraverso un’adolescente insinua l’equilibrio di un’intera famiglia.
Un braccialetto: libertà e costrizione
Il braccialetto è quell’oggetto che monitora Lise agli arresti domiciliari, che tiene traccia dei suoi spostamenti e la costringe dentro casa. Ma il braccialetto può essere anche quell’ oggetto prezioso che simboleggia il ricordo di un’amicizia o di un amore che non c’è più. In questa contrapposizione si snoda la grande metafora del film e la dicotomia fra due poli opposti a cui tende: libertà e costrizione. Dunque la poetica di questa opera passa inevitabilmente di qui, dalla tensione fra questi due estremi e dalle espressioni dell’amore che li unisce. L’amore incondizionato di un padre, l’amore fraterno, ma non solo. Anche l’amore governato dalla passione che può toglierci la libertà o restituircela. Passa per l’amore dunque, passa anche per l’amicizia e descrive lo shock di un lutto.
La ragazza con il braccialetto, infatti, porta con sé qualcosa che si manifesta reiteratamente, ed è la perdita, intesa come elaborazione di un lutto. Ma prima ancora è la perdita dell’innocenza, di una ragazza e dei suoi coetanei. Su questi valori, che vengono ridiscussi dai terribili costumi dal contemporaneo, riviviamo il ritratto di una crisi generazionale attraverso l’incubo di Lise, vittima e forse anche carnefice, e della sua famiglia che ha smesso di essere quella idilliaca di un tempo, qualunque sarà la sentenza.