The Myth Of The American Sleepover merita di essere studiato in ogni scuola di Cinema. I giovani aspiranti cineasti dovrebbero impararlo a menadito. Per sapere esattamente cosa non fare. Ma andiamo con ordine.
L’estate sta finendo e gli adolescenti di una qualsiasi cittadina del Michigan si apprestano a tornare sulle sudate carte. Per esorcizzare questo mesto avvenimento, i più decidono di indulgere alla grande tradizione del pigiama party. Ma nessuna promiscuità, sia chiaro. Ragazzi e ragazze affronteranno questo inevitabile rito di passaggio separatamente. Preconizzare un successivo intrecciarsi delle reciproche celebrazioni è scontato quanto vagamente irritante, ma tant’è, così accadrà. In ogni caso, ragazzi e ragazze si trovano a confrontarsi e scontrarsi, il loro è un duello tra mondi inconciliabili che si consuma tra fuggevoli ed assolutamente innocenti seduzioni, grandi bevute, sedute spiritiche e intrighi machiavellici da dopo scuola. E certo poi, non dimentichiamoci, l’outsider diplomato che torna in visita durante una pausa dal college, per riassaporare la semplicità della vita da high-school, rimembrare il primo amore che non è più, magari venire a patti con un senso incipiente di fallimento (a 22 anni) e di seguito tutta una folta serie di luoghi comuni tanto frusta da non meritare quasi menzione.
The Myth Of The American Sleepover fallisce. Su tutti i fronti. E, cosa ben più intollerabile, lo fa con arrogante insipienza. Se devi ‘schioffare’, schioffa con un bel tonfo. No. Tra cotanta mediocrità, è dunque compito pressoché impossibile dettagliare tutte le mancanze che rendono The Myth Of The American Sleepover un esempio di pessimo filmmaking. Dovrete accontentarvi delle deficienze più macroscopiche, temo.
Innanzitutto, la filosofia. Tutto parte e termina in essa. Cosa vuole essere questo film? Definisciti e datti un nome. The Myth Of The American Sleepover è figlio di madre ignota. Non è il resoconto di un rito di passaggio, molto semplicemente perché il rito in questione, il pigiama party, funge esclusivamente da background e si estrinseca nell’accostamento di situazioni stereotipate: l’alcool, le canne, la seduta spiritica, le corna adolescenziali smascherate. Il film non è un racconto corale. Tanti personaggi, connessi tra loro da varie circostanze, che si scambiano frequentemente battute, a montaggio alternato, non sono la condizione sine qua non di un film corale. Questo non è Altman, è solo scarso screenwriting. Non è una commedia, non si ride. Mai. Non è un film sentimentale, i pochi spunti romantici avvizziscono e non trovano realizzazione in nome di una non meglio identificata promessa di realismo. Si sa, nella vita, non sempre la ragazza che ci piace acconsentirà a levarsi le mutandine sotto un tetto di stelle…
Ecco il realismo, o meglio una sua concezione alquanto riduttiva e sempliciotta, è il vero problema, il cancro subdolo che ha compromesso inesorabilmente quello che poteva benissimo essere un apprezzabile filmetto di debutto, senza pretese e presunzioni e con suggestioni indicative di una qualche forma di talento. No, il regista ha voluto fare il realista. Come se propinare battute scialbe ad adolescenti relativamente sovrappeso e totalmente asessuati fosse la formula per essere veri. Che poi, perché mai una simile ossessione per la verità, la vita fa schifo com’è, senza richiami e ripetizioni. E non bastano i momenti di deboscia, dal consumo inusitato di alcool – questi sedicenni bevono e reggono il loro drink meglio di scafati camionisti – al protoscambismo del tunnel del pomicio, per sollevare la pellicola dal suo destino di inautenticità. E una recitazione ai limiti della filodrammatica non aiuta di certo.
Se The Myth Of The American Sleepover soccombe ad una crisi di identità, lo stile scelto dal regista per mettere in scena tale debacle infligge il colpo finale. La desaturazione dei colori, la banalità dei movimenti di macchina e la mancanza di profondità mi dice che il regista è un fan degli Smashing Pumpkins… Forse durante la lavorazione ha vissuto la personale allucinazione di girare un loro video… Peccato che qui non si abbia a che fare neppure con gli screen test di “1979”…
The Myth Of The American Sleepover ha debuttato al Sundance questo passato inverno. Le recensioni si sono spaccate, ma il solo fatto che qualcuno abbia davvero avuto lo stomaco di usare espressioni quali «commovente», «adorabilmente dolce-amaro» o «il miglior debutto dell’anno», mi sconforta. Vorrei, esclusivamente per lombrosiana curiosità sia chiaro, poter vedere in faccia questi critici…
Vi prego, palesatevi.
Stefania Paolini
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