Si è svolta dal 20 al 27 luglio la XXXV edizione del Festival del Cinema Ritrovato, ormai ribattezzato il “Paradiso dei cinefili”, per la quantità e qualità della programmazione gestita dalla Cineteca di Bologna, sotto l’attenta e precisa guida di Gian Luca Farinelli.
Anche quest’anno non sono mancati ospiti eccezionali (Isabella Rossellini, Alice Rohrwacher, JR, Bill Morrison, Jonathan Coe, Amos Gitai, Nanni Moretti, Brigitte e Marian Lacombe, Marco Tullio Giordana, Thierry Frémaux, Paul Haggis, Isabelle Huppert…) ad arricchire un festival che si è posto l’obiettivo di riportare figure e film da tutto il mondo agli occhi del pubblico.
Il Cinema Ritrovato – con le sue centinaia di proiezioni nelle sale del centro e in Piazza Maggiore – si è ormai conquistato un ruolo di riferimento per come andrebbe gestito il patrimonio culturale cinematografico del passato e delpresente, sia in Italia che nel resto del mondo. Un merito di cui andar fieri.
Ho scelto di recensire dieci film tra i più significativi di questa edizione:
FRANCESCO, GIULLARE DI DIO (1950)
Rossellini compie un primo distacco dal neorealismo, avvicinandosi a un passato lontano con un’immediatezza che lo rende paragonabile al presente. Il film è composto di undici brevi episodi tratti da I fioretti di San Francesco e La vita di Frate Ginepro, che raccontano la vita di San Francesco e dei suoi umili discepoli con un taglio leggero, a tratti divertente, “semplice” come lo definisce l’attrice-figlia Isabella presentandolo.
L’interpretazione di attori non professionisti (alcuni dei quali erano veri ecclesiastici) conferisce al film un’aria quasi documentaristica, di forte credibilità e, insieme alla messa in scena scarna, getta i semi per opere successive come Il vangelo secondo Matteo, Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini e La strada di Federico Fellini (qui presente in veste di co-sceneggiatore).
Memorabile la comparsa inaspettata di Aldo Fabrizi con baffoni, capelli lunghi e armatura.
GEORGE STEVENS: A FILMMAKER’S JOURNEY (1984)
Questo straordinario ritratto del regista George Stevens a cui viene dedicata una sezione del festival è diretto con grande mano dal figlio, richiamandone lo stile dal ritmo preciso e pacato, umano e perfezionista.
Ne emerge un racconto introspettivo e personale, valorizzato dalle numerose interviste a leggendari personaggi di Hollywood, dalle immagini di repertorio, oltre che da spezzoni di film.
Soffermandosi sugli aspetti più salienti della lunga carriera, George Stevens Jr. divide il film in due parti: la prima che va dall’esordio come operatore nelle comiche di Laurel & Hardy fino all’arruolamento nell’esercito con l’entrata in guerra (il suo prezioso girato testimoniò alcuni tra gli eventi fondamentali della WW2 come la liberazione di Parigi, il D-Day e la presa di Berlino). La seconda parte dal rientro ad Hollywood, inevitabilmente cambiato anche nello stile registico, alla morte.
Prodotto per il decimo anniversario dalla scomparsa, il documentario è un passo essenziale per ogni appassionato che voglia conoscere uno dei più grandi registi della Hollywood classica.
LA PISCINA (1969)
Il film di Jacques Deray è a tutti gli effetti un dramma da camera dove due storie d’amore diverse si scontrano e sovrappongono fino a una conclusione che tiene col fiato sospeso: da una parte la coppia Alain Delon–Romy Schneider, dall’altra il padre Maurice Ronet e la figlia Jane Birkin.
Sotto la superficie (e la superficialità) dei corpi perfetti dei protagonisti si nasconde ben altro: sta a noi scoprire di cosa si tratta.
Presentato in Piazza Maggiore con grande entusiasmo dal maestro Volker Schlöndorff (curatore della sezione dedicata alla Schneider) è un film dove parlano gli sguardi e i silenzi.
Lo stile si adegua alla moda dell’epoca con lunghe inquadrature e una magnifica colonna sonora di Michel Legrand dalle sfumature estive e pop.
Raramente mi è capitato di vedere un film così cattivo verso l’ostentata superiorità dei ricchi; forse solo Luis Buñuel è riuscito a superarne l’efficacia (curiosamente Jean-Claude Carrière, storico sceneggiatore di Buñuel, ha collaborato alla scrittura).
Luca Guadagnino ne ha realizzato un remake: A Bigger Splash.
MULHOLLAND DRIVE (2001)
Betty (Naomi Watts) è un’ aspirante attrice che arriva a Los Angeles, dove incontrerà Rita (Laura Harring), una donna affetta da amnesia in seguito ad un incidente d’auto.
Comprendere tutti i significati del capolavoro di David Lynch sarebbe come districare un nastro di Moebius, ma proprio in virtù di ciò sta uno dei fattori di originalità e fascino del film: quando ti sembra di aver trovato un pezzo del puzzle, ecco che te ne sfugge un altro.
Sembra evidente che nella prima parte assistiamo a un sogno (e vi sono molti indizi che lo suggeriscono), mentre nella seconda un ribaltamento della struttura trasforma personaggi e situazioni in un vero e proprio incubo. Il tutto accompagnato da un taglio che ha tutte le caratteristiche del noir: il mistero da risolvere, la femme fatale, le ombre che calano i personaggi nell’oscurità.
Non si sprecano gli aggettivi: enigmatico, onirico, profondamente romantico. In una parola: lynchiano.
Sono rimasto soprattutto colpito da questa versione restaurata da StudioCanal nel 2021 per la stratificazione del lavoro sul suono: un’opera che vista su grande schermo mette letteralmente i brividi e la pelle d’oca, tale è la bellezza.
Nominato il più grande film del XXI secolo in un sondaggio del 2016 condotto da BBC Culture, Mulholland Drive è uno di quei film che destabilizza e regala spettacolo ad ogni visione come se fosse la prima.
KÖRKARLEN (1921)
Capolavoro assoluto del cinema muto svedese e grande fonte d’ispirazione per qualsiasi regista abbia avuto a che fare con il fantastico, Il carretto fantasma è tratto da un racconto di Selma Lagerlöf.
David Holm, un alcolizzato violento e malato (interpretato dallo stesso regista Victor Sjöström) muore a seguito di una rissa la mezzanotte di Capodanno; così viene condannato secondo un’antica leggenda a guidare il carro delle anime dei morti per tutto l’anno. Riceverà un’occasione di tornare in vita per redimersi.
Un dramma umano strutturato in una cornice magica e oscura, che, grazie a magnifiche interpretazioni e a effetti tecnici all’avanguardia (le sovrimpressioni hanno fatto scuola), dopo cento anni offre ancora meraviglia ed emozioni per tutta la sua durata.
Ingmar Bergman omaggerà il maestro svedese Sjöström facendogli interpretare il protagonista in Il posto delle fragole, film che ricostruisce un percorso di vita che ricorda quello di David Holm.
L’IMPERO DEL SOLE (1956)
Diretto dal dimenticato Enrico Gras, regista che negli anni ’40 aveva collaborato con Luciano Emmer a una serie di documentari d’arte.
Prodotto dalla Lux Film e girato in Perù, si tratta di uno straordinario racconto poetico e antropologico sul misterioso popolo peruviano.
Il restauro in 4K rende appieno i particolarissimi colori di costumi, animali e dei paesaggi naturali.
Il viaggio di Gras e della sua troupe alla scoperta di questo mondo è accompagnato da una voce narrante che descrive cosa assistiamo con una certa ironia e da una colonna sonora maestosa, che purtroppo lascia poco spazio ai suoni registrati in presa diretta.
Il sensazionalismo, la focalizzazione su alcuni dei dettagli più crudi delle culture locali, il punto di vista stilizzato (su tutte la sequenza di combattimento tra un condor, simbolo del Perù, e un toro, la dominazione spagnola) potrebbero aver influenzato Jacopetti, Cavara e Prosperi nella realizzazione di Mondo Cane, documentario shock di qualche anno successivo.
LA FAMIGLIA PASSAGUAI (1951)
Il cavalier Peppe Valenzi decide di trascorrere al mare di Fiumicino la giornata della domenica insieme alla sua famiglia. I continui contrattempi e gli equivoci porteranno ad una sequela di problemi.
Restauro presentato per la sezione dedicata al grande Aldo Fabrizi. Grande successo di pubblico all’epoca. Verranno realizzati due seguiti.
Ritratto corale e caricaturale di una famiglia piccolo-borghese nell’Italia del boom economico.
Quasi un cinepanettone (ma senza stereotipi fastidiosi e inutili volgarità) ante-litteram che gioca tutto sulla parodia, l’esagerazione e situazioni da slapstick comedy.
La regia e il ritmo di Fabrizi si rivelano perfetti e tutti gli attori divertenti e memorabili. Spiccano la controparte femminile Ave Ninchi, un mellifluo Peppino De Filippo e un giovanissimo Carlo Delle Piane. La fotografia è firmata da Mario Bava.
WATERMELON MAN (1970)
Jeff Berger è un assicuratore bianco razzista e maschilista (Godfrey Cambridge che all’inizio è dipinto di bianco, parodiando le black face degli anni ’30) che una mattina senza un chiaro motivo si trova con il colore della pelle nera.
Non si tratta del noto brano di Herbie Hancock ma dell’unico film di Melvin Van Peebles prodotto da una major, la Columbia Pictures.
Considerato il maestro della blaxsploitation, Van Peebles è diventato una leggenda tra gli artisti afroamericani (in primis da Spike Lee) e ha rappresentato uno sguardo indipendente e pionieristico che ha costretto gli studios di Hollywood a prendere coscienza di un nuovo approccio alla rappresentazione cinematografica degli afroamericani.
Questa coraggiosa satira sull’America bigotta e razzista è quanto mai attuale: un restauro (in collaborazione con Criterion) quindi necessario.
Godfrey Cambridge sostiene tutto il film grazie a un umorismo fisico e verbale che non lascia prendere fiato neanche un attimo. Lo stesso vale per la parte visiva che regala improvvisi sprazzi psichedelici e sequenze dal montaggio convulso.
NIGHTMARE ALLEY (1947)
Ascesa e caduta di Stan Carlisle, giovane imbonitore affamato di potere che sfrutterà le sue doti da mentalista ingannando e tradendo fino alla rovina.
Uno dei film più oscuri della Hollywood classica. Le scene ambientate nella fiera, rappresentate da inquietanti ombre e chiaroscuri ricordano Freaks di Tod Browning.
Gli studios avevano molti dubbi se far interpretare il protagonista a Tyrone Power (era lui stesso a insistere per interpretare Stan) per paura che il ruolo ne avrebbe danneggiato l’immagine. In effetti il film venne recepito male e snobbato dal pubblico, forse per l’eccessivo cinismo. Negli anni è poi stato rivalutato fino a diventare un cult movie.
Il curatore della rassegna Ehsan Khoshbakht presentandolo ha dichiarato:
“Il regista Edmund Goulding era un personaggio singolare, un vero inglese: amava bere il tè il pomeriggio e lo scotch la sera. Durante i provini gli piaceva fare le parti femminili. Veniva dal cinema muto, dove aveva lavorato con Greta Garbo. Inoltre nei suoi film tratteggiava figure femminili forti, ma in Nightmare Alley lo stile è diverso, anche se ne rimane traccia nelle principali interpreti donne. Ogni personaggio ha dei lati nascosti, ambigui. Il tema portante è la degenerazione”.
Basato sul romanzo capolavoro di William Lindsay Gresham, rispetto a cui però il finale si rivela più ottimista.
Dallo stesso romanzo Guillermo Del Toro ha tratto un film di prossima uscita.
ITALIA K2. RIPRESE DI MARIO FANTIN (1954-2021)
Una grande sorpresa nella serata di chiusura del festival: il documentario di Marcello Balbi del 1955 è stato rimontato – grazie alla collaborazione tra il Club Alpino Italiano e la Cineteca di Bologna – con le straordinarie riprese di Mario Fantin realizzate durante l’epica impresa della conquista del K2 nel ’54.
Fantin, singolare figura bolognese dimenticata (e a cui si sta dedicando un ampio progetto di restauro delle sue opere), documentò la spedizione in tutti i suoi dettagli, dalla preparazione al raggiungimento della quota record di 6560 metri. Impossibilitato a proseguire, la parte finale della scalata fu invece documentata dagli alpinisti.
Insieme alle immagini di Fantin sono state recuperate anche le musiche per coro e orchestra scritte, all’epoca, dal maestro Teo Usuelli.
Le parole di Farinelli restituiscono al meglio il senso di questo mitico lavoro:
“Il restauro restituisce tutta l’emozione alle immagini e all’impresa compiuta dagli uomini della spedizione, gli alpinisti e i ricercatori italiani, gli hunza, i pakistani, i portatori balti. Le immagini sono così potenti che si ha la sensazione di assistere al compimento dell’ultima odissea umana sulla terra. E le riprese, liberate dalla retorica dell’epoca, ci fanno riscoprire lo sguardo etico di Fantin, capace, in condizioni impossibili, di trovare sempre l’inquadratura giusta, quella che ci racconta lo spirito profondo di quest’avventura, il rapporto tra l’uomo e la natura, la bellezza suprema delle montagne, la sfida umana per superare i propri limiti”.
Il restauro di Italia K2 aprirà il Trento Film Festival 2022.