Sulla scia di altri film che hanno messo al centro delle loro storie il corpo femminile e le sue manifestazioni, Piccolo Corpo di Laura Samani fa del passato il tramite per raccontare il nostro tempo, oscillando tra concretezza e trasfigurazione.
Prodotto dalla Nefertiti Film di Nadia Trevisan e Alberto Fasulo, (Menocchio), Piccolo corpo ha dalla sua una capacità rara, che è quella di trovare la bellezza nella complessità delle cose umane. Lo abbiamo rivisto a Berlino grazie a Italian Film Festival Berlin.
Il film di Laura Samani si é aggiudicata la quarta edizione del premio nazionale Elio Petri al XXI Festival del Cinema di Porretta
La dimensione archetipica in Piccolo corpo
Calato in una dimensione archetipica e con uno sviluppo narrativo ogni volta scaturito dalla riproposizione della condizione di necessità, dalla quale scaturisce l’urgenza della storia, Piccolo Corpo di Laura Samani sembra prendere forma da uno dei canti popolari intonati dalle donne che si alternano a dar manforte e, in parte, a ostacolare il viaggio di Agata (l’esordiente e bravissima Celeste Cescutti), intenzionata a raggiungere il luogo e la persona disposta a battezzare la sua bambina, morta durante il parto e perciò condannata dalla tradizione cattolica a eterna infelicità.
Nell’inseguire i fantasmi della sua protagonista in una terra desolata e in un contesto umano poco generoso e spesso rapace nei confronti della giovane (non si fa niente per niente dice ad Agata chi l’ha appena salvata, aspettandosi il tornaconto per il suo impegno), Piccolo corpo si posiziona sulla scia di una serie di titoli – da Corpo celeste a Vergine giurata, da Il corpo della sposa a Maternal, lungometraggi che, come questo, mettono al centro il corpo delle loro protagoniste -, in cui l’analisi della condizione femminile, costretta e osteggiata nel corso della Storia dalla società patriarcale, diventa occasione per affermare una centralità di sguardo e di azione altre volte negata.
Per farlo, Laura Samani torna indietro nel tempo, fino agli inizi del secolo scorso, esplorando con realismo pittorico e precisione antropologica liturgie e credenze di un’Italia rurale e contadina. Un ritorno alle origini, quello della regista triestina, che si disfa in un sol colpo dei luoghi comuni legati al mito del Bel Paese, cancellato da una rivisitazione cinematografica disposta a caricarsi di drammi e di tensioni, di fantasia e di meraviglia, ma anche di fate e di orchi che, nel loro insieme, fanno del film una piccola grande fiaba italiana.
Tra concretezza e trasfigurazione
Rappresentazione, quella appena detta, che la Samani tiene in bilico tra concretezza e trasfigurazione, mescolando elementi di storia materiale – presenti nell’uso della matrice dialettale, nell’antichità dei volti e nella precisione dei costumi – a uno sguardo sul paesaggio, capace di squarciare il velo dell’apparenza, e conducendo lo spettatore in un universo capace di restituire il cammino interiore della protagonista. E con lei di chi, Lince, – il ragazzo interpretato da Ondina Quadri, ancora una volta impegnata in un personaggio in fase di transizione – a un certo punto decide di aiutarla.
Una metafisica che Piccolo corpo fa scaturire, non solo dalle caratteristiche ancestrali dell’universo di Agata, ma anche e soprattutto da una correlazione di segni opposti, che riguarda tanto i sentimenti, quanto gli elementi del paesaggio: a volte contrapponendoli, come succede nel rapporto tra acqua (riferimento all’isola che ha dato i natali ad Agata) e terra (quella aspra e montana verso cui muove la ragazza per dare salvezza alla figlia defunta); altre, creando dei collegamenti, come quello tra luce e oscurità, nella cui prevalenza di uno dei due fattori è possibile rintracciare il pessimismo e la speranza che di volta in volta colora le diverse fasi della vicenda.
La possibilità di una famiglia
Così succede anche nella dialettica tra testo e sottotesto, anche questa ricca di spunti e di rimandi, soprattutto quando si tratta di conferire un valore profetico al piccolo corpo che Agata custodisce e dal quale non si vuole separare fino al termine della propria missione.
Affermando la consustanzialità tra madre e figlia, ribadita da Agata nei confronti di chi le chiede conto della sua impresa (è una parte di me dice Lei), il film afferma non solo la superiorità del corpo/vita e delle sue manifestazioni rispetto alle sovrastruttura/morte e dei suoi rappresentanti, ma anche la possibilità di una famiglia in un cui la mancata diversità dei sessi, come succede a quella nata spontaneamente dalla condivisione tra Agata e Lince, non preclude, ma, anzi, favorisce il compiersi del miracolo della vita che muore per poi rinascere.
Prodotto dalla Nefertiti Film di Nadia Trevisan e Alberto Fasulo, (Menocchio) e presentato fuori concorso alla 60a Semaine de la Critique di Cannes 2021 e al 39° Torino Film Festival, Piccolo corpo ha dalla sua una capacità rara, che è quella di trovare la bellezza nella complessità delle cose umane.
Piccolo Corpo La convincente opera prima di Laura Samani