Simon Calls è in concorso, nella sezione Nuove Impronte, allo Shorts International Film Festival a Trieste. Il film con Simon Langlois, Mariana Achega e Rita Martins, è scritto e diretto da Marta Sousa Ribeiro, al suo primo lungometraggio. Prima di questo, aveva girato due mini serie TV e un cortometraggio. La produzione è di Videolotion.
Simon Calls è un affresco sulla ricerca di libertà di un adolescente che vuole diventare adulto.
La trama di Simon Calls
Simon Calls racconta la storia di Simon che vive insieme a sua sorella Mariana e sua madre Rita, divorziata e sola con i due figli. Il ragazzo deve affrontare gli esami dopo l’ultima settimana di scuola, nella quale, dice, contano solo le statistiche, e lui non si sta preparando. Ha un sogno: acquistare un biglietto di sola andata per gli Stati Uniti.
Una storia di formazione perché della vicenda di Simon viene narrato il tanto rincorso passaggio all’età adulta. Ma Simon resta un ragazzino che, come tutti, veste con camicie coloratissime, cappellini con la visiera indietro e gioca con la fionda, che presto sarà proprio lo strumento della sua ribellione. Già, perché Simon cerca di esprimerla in attesa di un cambiamento, che dopo la separazione dei suoi genitori tarda ad arrivare. Così prende in mano la sua vita e gioca a fare l’adulto. Conservando tutto lo sguardo dell’ innocenza, sempre a un passo dall’ingenuità.
Il personaggio di Mariana sembra essere persino più consapevole di lui nonostante sia molto più piccola. La vediamo in atteggiamento di donna già in apertura del film, mentre davanti allo specchio della camera è intenta a truccarsi, quando suo fratello si è appena alzato e ancora sonnecchia per casa. Lui si ferma davanti allo specchio, si tocca il viso con una mano come fa un adulto per soppesare la possibilità di non farsi la barba per una mattina, ma trova solo un brufolo adolescenziale da spremere.
La struttura del film
Il racconto in Simon Calls si muove tra il presente, mostrato nel formato pieno dell’immagine, e il passato in un formato molto ridotto e spesso fatto di immagini documentarie, amatoriali, filmate dal vero. Così siamo in grado di ricostruire la vita del ragazzo. Lo vediamo in un crescendo di complessità sottolineata dalla struttura del film, che inizia dal piccolo Simon che fa giochi con le mani dal finestrino dell’automobile in corsa, contro il vento, fino al ragazzo che si confronta con il padre, su vicende molto più grandi di lui.
Il padre è una figura assente e lo vediamo davvero poco. La madre è apprensiva; fa l’attrice e cerca di stare addosso il più possibile ai suoi ragazzi. È una madre come tutte: cerca suo figlio per chiedere se è arrivato dopo un viaggio, gli suggerisce di fare cose e lo infastidisce fino a sfinirlo.
Il ragazzo è fondamentalmente solo, anche se ci sono la sorella e un amico con i quali condivide pensieri e propositi. Ma lo vediamo distaccato dai suoi coetanei che parlano di approcci sentimentali: lui forse non sta nemmeno ascoltando quello che si dicono. Sembra interessato ad altro, interessato solo a se stesso.
I riferimenti di Simon Calls
Il film è chiaramente ispirato a Boyhood di Linklater che riprende in diretta la vita di un ragazzo tra il 2015 e il 2019.
La regia di Simon Calls ricorda molto l’opera del cineasta iraniano Kiarostami. Lo ricorda quando Simon è in viaggio sul bus che viene inquadrato in campo lunghissimo, richiamando la sequenza di apertura di Il vento ci porterà via, in cui c’è un interessante lavoro di Kiarostami sul sonoro in rapporto al visivo. Si possono ascoltare le voci e vedere la macchina che ospita chi sta parlando, in campo lunghissimo, appunto. È quanto avviene anche in Simon Calls nella scena di Miguel, l’amico di Simon, che sta chiedendo informazioni in una agenzia viaggi: lui è dentro con la commessa, ma sentiamo benissimo le loro parole. E vediamo le immagini, sempre impallate da mezzi che attraversano il campo, come in apertura di E la vita continua di Kiarostami. Si può pensare a questo film anche osservando la sequenza iniziale di Simon Calls, in cui il ragazzo è in automobile con la madre, come in Kiarostami Puya è con suo padre, e osserva quanto scorre di fianco alla macchina in corsa, dal finestrino.
La regia in Simon Calls
Al di là di questi riferimenti, lo stile di Marta Sousa Ribeiro in Simon Calls si caratterizza per una forte percezione della macchina da presa, che spesso compie movimenti antropomorfi elevandosi a personaggio implicito del racconto. Spesso, quindi, è una macchina a mano e altrettanto spesso ricorre il pianosequenza, soprattutto negli spostamenti in macchina dei personaggi. Vediamo anche qualche esperimento stilistico dal sapore avanguardista con l’uso del ralenti. Ma non ci sono grandi virtuosismi registici.
La musica è utilizzata per lo più in corrispondenza di momenti in cui va sostenuta l’azione di Simon, al presente o al passato. Per il resto solo suoni ambientali e diegetici in generale.
Simon Calls è un film che riesce a raccontare il tormento interiore di un ragazzo ansioso di diventare adulto e il rapporto genitoriale, in particolare quello madre-figlio, in toni che sono spesso vicini allo sguardo adulto più che a quello adolescenziale. Ma il ritratto della contraddizione di Simon, stretto tra l’esigenza di essere adulto e la spensieratezza di essere ancora adolescente, è di grande forza e riuscito senza fronzoli.