Silenzio e riflessione sono le due parole che descrivono al meglio Ton-Kaka-Ton, il film di Teppe Kohira in concorso all’Asian Film Festival.
Ton-Kaka-Ton: la trama
Il film ruota attorno al rapporto particolare tra Novu Matsuura e Shinji Takenaka, rispettivamente nipote e zio. È quasi come se i due fossero estranei, e si ritrovano poi improvvisamente vicini. Shinji, infatti, è molto malato e ha ormai poco tempo da vivere. Per questo, una volta superato il diploma da parte del giovane, lo zio gli chiede di “vivere insieme” per potergli insegnare il proprio lavoro e poter lasciare qualcosa alla sua morte. Nobu accetta la proposta e si ritrova, quindi, a trascorrere più tempo con lo zio, che è un tipo alquanto impacciato.
La famiglia e i legami in Ton-Kaka-Ton
Una storia che ha al centro i rapporti personali e interpersonali. Ton-Kaka-Ton cerca di far riflettere sui legami che si instaurano in una famiglia, ma non solo. È bella soprattutto l’evoluzione che entrambi i personaggi vivono nel corso della vicenda. Da una parte Nobu, timido e riservato, goffo e silenzioso. Dall’altra Shinji, più intraprendente, ma anche maldestro. Entrambi, però, nonostante la consapevolezza di sé, accettano la “sfida”: il giovane di vivere con lo zio, mentre lo zio accetta la propria vita.
Due personaggi diversi ma uguali
L’abilità di Teppe Kohira, il regista, è quella di aver mostrato due protagonisti veri e autentici, con i quali chiunque può entrare in relazione. Sono facilmente comprensibili e condivisibili le scelte compiute da entrambi. Proprio perché lo spettatore medio può identificarsi con uno o con l’altro. Si possono giustificare certe scelte, provando a interrogarsi, ma non c’è niente di eccessivo o sopra le righe. Ed è un grande insegnamento quello di Ton-Kaka-Ton: qualunque situazione si può sempre e comunque affrontare. Si può scegliere come e con chi, ma è importante fronteggiarla a testa alta.
Un film “pulito”
Dal punto di vista registico e stilistico, Ton-Kaka-Ton è impeccabile. Il silenzio, come detto inizialmente, è il punto di forza di un film che deve far riflettere sia lo spettatore che i personaggi stessi. E per farlo ha proprio bisogno di silenzio. Un silenzio che va di pari passo alle inquadrature sempre ferme, “tradizionali” e mai ricercate, a colpire o far risaltare qualcosa o qualcuno in più rispetto ad altro. Una su tutte, la scena in cui Shinji rivela per la prima volta la sua malattia. Ne parla seduto a un tavolo. Lui e la sua interlocutrice sono uno di fronte all’altro, mentre la macchina da presa rimane quasi estranea. Non va a insinuarsi nel discorso o a sottolinearne la portata. Si limita a rimanere esterna e neutrale.
Legami familiari e silenzio, in questo film che guida tutti verso la quotidianità.
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