Magazine

‘Occhi blu’ al Taormina Festival un film sperimentale

Un’opera che miscela soluzioni tecniche diverse

Published

on

Fuori concorso al Taormina Film Fest, Occhi blu di Michela Cescon è prodotto da Tempesta e Palomar con la partecipazione di Rai Cinema.

È il primo lungometraggio della regista, produttrice e attrice, Nastro d’Argento e David di Donatello come migliore interprete non protagonista in Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana (2012). Dopo numerosi ruoli e la direzione di diverse pièce, la Cescon consegna il suo film di esordio e afferma: «Se non ora, quando…?».

Occhi blu, la trama

Roma. Valeria (Valeria Golino) ha due vite: contabile di azienda di giorno e motociclista e rapinatrice di notte. Il commissario Murena (Ivano De Matteo) è sulle sue tracce e si avvale dell’aiuto del Francese (Jean-Hugues Anglade), brillante ex poliziotto, il quale a sua volta cerca il pirata della strada che uccise sua figlia adolescente anni prima. Il Francese rintraccia Valeria ma i due stipulano un patto.

«Sostengo che le idee sono eventi. È più difficile renderle interessanti, lo so, ma se non ci si riesce, la colpa è dello stile».

Gustave Flaubert

Occhi blu è una prova di regie diverse

La storia è divisa in capitoli eppure appare esile, sfuggente e passa in secondo piano;

«non serve vedere tutto, ma ciò che ci aiuta a creare la storia»,

sostiene la regista; i vuoti sarebbero quindi intenzionali, lasciati allo spettatore perché li riempia. C’è un sottofondo noir, ma molte scene suggeriscono un film di azione. Sequenze lunghe e brevissime, dialoghi posati e inseguimenti in moto, musica incalzante e momenti di riposo, interni ed esterni che si alternano freneticamente. L’ambientazione romana è in potenza trasfigurata, allucinata ma perde la sua composizione nella varietà delle riprese.

Nel complesso si ha l’impressione di un sovraccarico d’idee o di stimoli contenuti nel progetto. La Cescon gioca con soluzioni tecniche molto diverse: varietà di lunghezze focali, controluce e penombra, movimenti di camera liberi, campi e controcampi.

Nel corso della conferenza stampa ammette la difficoltà sua e della montatrice (Sara Petracca, amc) di mettere insieme approcci così diversi: un lavoro teso ad «asciugare» e «normalizzare» la pellicola; «il materiale va perdonato» aggiunge «perché dovevo sperimentare, adesso o mai più».

La regista ha riconosciuto una certa «prepotenza» nella direzione. La sperimentazione messa in atto risulta spavalda, più che audace, ed è difficile rintracciarne le coordinate. Se ne sarebbe potuto fare un pastiche cinematografico, ma non si desume un’idea chiara.

«Quando non sai cos’è, allora è jazz» direbbe Novecento, il protagonista dell’eponimo romanzo di Alessandro Baricco. E proprio dal jazz la Cescon afferma di cogliere lo spirito d’improvvisazione. Del jazz mancano però la lucidità e il rigore, in un’opera nondimeno originale e ricca di suggestioni tecniche.

 

Commenta
Exit mobile version