Space Beyond è il documentario prodotto da Skylight Italia, Beagle Media, 8RoadFilm e LattePlus Berlin Film Production, costato due anni di lavoro. Una raccolta di fotogrammi sospesi, un’intervista tra l’astronauta e la sua coscienza. La suggestione delle riprese spaziali incontra la profondità di una riflessione laica sulla dimensione umana. L’opera risparmia la retorica sull’eroismo dei viaggi nello spazio e si cura invece di cogliere una testimonianza autentica.
I documenti
Il lungometraggio racconta la vita a bordo della Stazione spaziale internazionale nel corso della missione Beyond del 2019, che vede per la prima volta un italiano – Luca Parmitano – al comando. Inizia con il commiato dell’astronauta dalla propria famiglia, la quale paga inevitabilmente un prezzo – il sacrificio, il distacco – sul quale non ha alcun diritto di scelta. Per il protagonista l’esperienza della nostalgia rafforza «l’importanza del sentimento», il dolore conferma il valore dei legami. Nella testimonianza dell’astronauta «i giorni sono lunghi e le settimane sono corte». Il film di Cannavà documenta l’esperienza dei sei-nove membri dell’equipaggio, gli esperimenti condotti a bordo della struttura – tra tutti: lo studio sull’aggregazione dei peptidi e il loro legame con lo sviluppo dell’Alzheimer, le indagini sul cacciatore di particelle per comprendere le origini dell’universo –, la somma di test e prove fisiche ai quali i viaggiatori sono sottoposti, il lento adattamento del corpo umano alla vita spaziale; un ampio repertorio copre le passeggiate extraveicolari, alcune tra le mansioni più delicate dell’avventura orbitale perché rivolte alla calibrazione e riparazione dei sistemi esterni. La dimensione del racconto privilegiata è la meditazione di Parmitano sulla fragilità del cosmo e sulla finitezza umana.
«Un vero esploratore non si limita a trovare risposte ma va in cerca di nuove domande».
Luca Parmitano
Dall’immensità all’interiorità
Il cuore del documentario sono le confessioni del protagonista, la sua voce tenue al cospetto dello spettacolo del cielo. «Non si tratta di guardare l’infinitamente grande, ma l’infinitamente piccolo dentro di sé», dice il protagonista. Ragionare della condizione umana ha tutt’altro significato quando il punto di osservazione sta a oltre 400 chilometri di altezza. Così l’oblò diventa specchio. L’individuo dinnanzi alla telecamera, mentre scruta la Terra dalla sua posizione privilegiata, non pensa a Dio ma alla propria interiorità, alla sua esperienza biologica e morale. Mentre tutta la sua tecnica e il suo rigore scientifico sono rivolti al delicatissimo lavoro aerospaziale, l’intelletto contempla il proprio percorso esistenziale. Muovendosi in tre dimensioni, fluttuando negli ambienti della struttura orbitale, l’uomo cerca il suo posto nel mondo.
«Vedere il mondo in un granello di sabbia
e il paradiso in un fiore selvatico,
tenere l’infinito nel palmo della mano
e l’eternità in un’ora».
William Blake, Presagi d’innocenza
Il regista mette insieme una composizione di geometrie e angolazioni complesse tese a svelare l’equilibrio che regge il duro lavoro a bordo della stazione. È la ricerca di un ordine visivo laddove le normali regole non si applicano. Il montaggio del materiale raccolto illustra bene l’adattamento dell’astronauta al nuovo ambiente. Il registro linguistico del protagonista è coinvolgente, come nelle espressioni «prima di volare il cielo blu era il limite del desiderio» oppure «la Luna è un museo con quattro miliardi e mezzo di anni di storia». Come i corpi celesti osservati dalla stazione, anche le emozioni sembrano avere una loro particolare fisica.
Il documentario si chiude con il ritorno dell’equipaggio sulla Terra e la riabilitazione alla gravità normale. Nel corso di una conferenza stampa, a conclusione della missione, Parmitano afferma di rivivere quel desiderio di scoperta originario provato prima del decollo: secondo il miglior insegnamento d’Ismaele (Moby Dick) il viaggio si conclude esattamente là dove era cominciato.