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Rubriche

Moto, alcool, strada ed amicizia. Tutto il mondo di Sons of Anarchy

Televisione come cosa seria(l). Le serie tv raccontate da Taxidrivers. Rubrica a cura di Michelangelo Pasini. Featuring Francesco Massaccesi

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Quando nei primi giorni di Settembre 2008 il canale televisivo satellitare americano Fx ha mandato in onda la prima puntata di Sons of Anarchy l’hype mediatico era alto già da parecchi mesi. Ai responsabili marketing della serie televisiva era infatti stato sufficiente far circolare il nome di Kurt Sutter come creatore, produttore esecutivo e sceneggiatore dell’intero progetto. Gli aficionados della serialità americana già lo apprezzavano per essere una delle geniali penne al servizio di The Shield, la serie televisiva poliziesca più amara e spietata degli ultimi vent’anni. La sceneggiatura di Kurt Sutter (che in S.o.A. si ritaglia il piccolo ruolo di Otto), il logo della serie che ritrae il corpo incappucciato della morte con in mano l’immancabile falce insanguinata e qualche indicazione sul concept hanno fatto il resto. Fin dai primissimi episodi le aspettative vengono certamente deluse: la serie mette in scena le vicende di una banda di biker che opera nella più totale illegalità (traffico d’armi in primis) utilizzando come copertura la gestione di un’autorimessa.

Gli elementi che hanno reso Sons of Anarchy una delle serie migliori dell’intero panorama televisivo del 2008 sono di duplice natura: da una parte l’inevitabile attrazione del pubblico per il mondo delle gang di motociclisti, fatto di alcool, puttane, strada ed amicizia; dall’altra un lavoro di scrittura perfettamente cucito sopra al concept. S.o.A. non è semplicemente un gruppo di biker, ma è un club i cui membri sono legati da lavoro, passione, amore, rispetto, onore e tradimenti. Per questo la serie è fatta di personaggi prima che di azioni (può sembrare paradossale, ma molto spesso i frangenti più adrenalinici dove i protagonisti imbracciano il fucile passano in secondo piano), di relazioni (affettive, materne, amicali) che travalicano la necessità del cliffangher teso e spesso poco verosimile.

Sons of Anarchy è la serie in cui le affascinanti avventure di un gruppo motociclisti tatuati, ubriachi e sempre pronti a menar le mani, sono solo le fondamenta sopra cui costruire un impianto corale, in cui personaggi e cast costituiscono la vera forza motrice. Un cast fatto di vecchie glorie come Ron Perlman, attore feticcio di Jean-Jacques Annaud (chi non ricorda la sua sbilenca interpretazione di Salvatore ne Il Nome della Rosa?), di un’icona femminile come Katey Sagal (i più giovani la ricorderanno esclusivamente come l’ex compagna di John Locke in Lost, i più attenti in una puntata di Colombo nei primi anni Settanta) e di Charlie Hunnam (il Llyod di Undeclared), personaggio che nella definizione di bello e dannato sta decisamente stretto. Quando lui stesso, che nella serie interpreta il biondo Jax, figliastro di Clay Morrow, presidente e amico fraterno del suo defunto padre, trova le memorie del suo “vecchio”, l’atmosfera all’interno del club inizia a cambiare: nella prima stagione un crescendo di incomprensioni, tradimenti e scelte azzardate, causa l’incrinatura dei rapporti tra Jax e Clay, mentre nella seconda la situazione degenera quando una minaccia esterna mina la sopravvivenza dei S.o.A.

 

Michelangelo Pasini

 

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