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‘Shiva Baby’ la black comedy in stile Woody Allen

Una commedia brillante e sorprendente, dal ritmo “nervoso” e sincopato, dove si passa bruscamente dalle risate al gelo

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Emma Seligman, giovanissima regista canadese classe ‘95, debutta nel lungometraggio adattando il suo corto omonimo di un paio d’anni prima, ovvero il suo progetto di laurea alla New York University. Shiva Baby, scritto e sceneggiato dalla regista, è in parte ispirato a esperienze autobiografiche, in primis per quanto riguarda il difficile e complicato rapporto con la piccola comunità ebraica in cui è cresciuta.

Il film è ambientato in un’unica giornata e, prologo a parte, in un unico luogo. Danielle, interpretata da un’amica e coetanea della Seligman, la bravissima Rachel Sennott già protagonista del cortometraggio, si ritrova a partecipare a uno shiva ebraico, una veglia funebre indetta per celebrare un parente defunto a cui viene trascinata dai suoi genitori.

Lì, oltre a incontrare Maya, sua amica d’infanzia nonché ex fiamma amorosa, s’imbatte suo malgrado in Max, accompagnato da moglie e figlia in fasce, uno degli uomini con cui Danielle intrattiene una relazione sessuale in cambio di denaro. In preda all’ansia, all’imbarazzo e allo spaesamento più totali, assillata dai genitori e assalita dalle domande di conoscenti e parenti pettegoli e invadenti, in perenne e costante tensione a causa della presenza di Maya e Max, per Danielle lo shiva si trasformerà in un vero e proprio girone dantesco da cui sarà difficile uscire incolume e indenne.

Una commedia brillante e sorprendente, dal ritmo “nervoso” e sincopato (funzionale e azzeccatissimo l’accompagnamento musicale), dove si passa bruscamente dalle risate al gelo, scritta e diretta con grande acume e intelligenza, capace di affrontare diversi argomenti spinosi e delicati senza pontificare e senza prendersi mai troppo sul serio.

Se la cornice ebraica e i dialoghi – fitti e frenetici – rimandano inevitabilmente in alcuni passaggi al cinema di Woody Allen, il punto di vista e la sensibilità sono prettamente e autenticamente femminili. C’è una piena identificazione tra la giovane autrice canadese e la protagonista, una ragazza irrequieta, confusa e insoddisfatta, dal rapporto conflittuale con la madre, in cerca di una sua identità e di una strada da percorrere.

Lo sguardo dell’autrice nei confronti del suo alter ego è complice e partecipe, mai moralista o giudicante. Le sferzate e le stoccate velenose sono riservate alla piccola comunità di conoscenti e parenti, di un’altra generazione rispetto alle due giovani, Danielle e Maya, che si ritrovano e dopo i battibecchi e le tensioni iniziali finiscono col riavvicinarsi e fare fronte comune per difendersi dagli sguardi maliziosi e giudicanti di persone piuttosto ottuse e dalle vedute ristrette, madri comprese, timorose che le ragazze riprendano una relazione considerata come il peggiore dei tabù, vergognoso e innominabile.

Girato con grande economia di mezzi e con una troupe quasi tutta al femminile composta in prevalenza da persone amiche, Shiva Baby appartiene al miglior cinema indie americano. Grazie alla partecipazione a diversi festival cinematografici, a partire dal Toronto Film Festival dove la Seligman si è formata come spettatrice attenta e curiosa prima di cimentarsi con la regia, il film sta ottenendo una buona visibilità a livello internazionale e sta regalando delle belle soddisfazioni alla sua autrice.

Uscito su Mubi l’11 giugno in lingua originale con sottotitoli in italiano, è accompagnato da un’intervista, breve ma interessante, alla regista subito dopo i titoli di coda.

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