Presentata alla 70esima Berlinale – dove ha vinto il Teddy Award – e al Festival del Cinema Tedesco 2021, No Hard Feelings è un’opera prima pregevole e toccante, dalla quale emergono riflessioni intime e questioni sociali.
No Hard Feelings | Tra opera prima e diario personale
Faraz Shariat, classe 1994, originario di Colonia, la scrive e la dirige, mettendoci dentro molto di suo. Figlio di due iraniani in esilio, omosessuale, il giovane cineasta sfrutta la sua predisposizione alle arti sceniche (studiate all’Università di Hildesheim) per dare forma alla sua esistenza, a ciò che lo ha turbato, colpito, emozionato.
No Hard Feelings somiglia a una specie di diario personale, che ci viene concesso di spiare. Lo scopo può essere semplicemente quello di condividere, e così metabolizzare, oppure quello di trasmettere un messaggio, dei più importanti.
Parvis (Benjamin Radjapour) è un ragazzo come tanti; vive apertamente la sua omosessualità in Germania, anche se le sue radici sono iraniane. Quando i servizi sociali gli impongono di lavorare come interprete in un centro di accoglienza per rifugiati, i suoi orizzonti prendono una nuova piega. L’incontro con Amon (Eidin Jalali) e con la sorella Banfshe (Banafshe Hourmazdi) sarà determinante ai fini della sua crescita.
Un bambino col costume di Sailor Moon balla spensierato davanti alla videocamera di qualche parente. Eppure dallo sguardo traspare già quasi una consapevolezza, come se intuisse che la sua vita non sarà come un cartone animato, per quanto possa impegnarsi.
Proprio come la paladina in stile marinaretto, Parvis tenta di interpretare il ruolo di “guardiano dell’amore e della giustizia”. Ma ciò che funziona nella finzione, non sempre lo fa nella realtà. Anzi, è molto raro.
Ecco perché la sua storia con Amon non fa presuporre il classico lieto fine. I due dovranno scontrarsi con l’intolleranza, l’incomprensione, l’incombere delle responsabilità. Il fatto di essere entrambi trapiantati in un luogo altro ed essere lontani da casa li costringe spesso a nascondersi, a tenere segrete le loro reali intenzioni.
Alla ricerca della propria identità
Il tema dell’identità e della ricerca di quest’ultima appare cruciale man mano che la storia prosegue. No Hard Feelings racconta alcune delle tappe che compongono il percorso di formazione di giovani immigrati. Se già in condizioni ottimali non sono poche le difficoltà da affrontare, proviamo a immaginarci nei loro panni.
Senza avere una rete di sicurezza, o la percezione di essere accettati, protetti, amati, ogni passo porta con sé la possibilità concreta di fallire. Anche per questo motivo Amon impiega molto tempo a lasciarsi andare, a fidarsi, a provare emozioni reali.
Dal canto suo, Banafshe sembra invece più lucida, centrata. Non a caso troverà un canale privilegiato di comunicazione con Parvis, a cui permetterà di prendersi cura del fratello, sostituendola nel compito che lei ha avuto sin da bambina.
L’elemento autobiografico è la chiave di No Hard Feelings
Elemento cardine resta ovviamente il protagonista, sospeso tra le sue origini iraniane e la nuova esistenza tedesca. Numerosi dettagli ne definiscono la personalità: gli orecchini a cerchietto, la tinta biondo platino, le tute firmate, i rave, gli incontri casuali.
Ma l’appartenenza non è qualcosa che si ottiene col denaro, o con i compromessi. I suoi tentativi mostrano un desiderio di integrarsi e, al tempo stesso, mimetizzarsi, nascondersi.
Pur essendo nato in Germania, il ragazzo sente un legame atavico con l’Iran. E questo lo conduce a sperimentare una sorta di sdoppiamento, simbolizzato anche dalla conoscenza della doppia lingua (tedesco e Farsi), difficile da spiegare e, soprattutto, da gestire. L’unica che in qualche modo riesce a tranquillizzarlo è la sorella maggiore.
L’amore ai tempi dell’immigrazione
Con Amon arriva uno spiraglio di pace, di serenità, di quiete. Proprio perché riconosce nell’altro radici che lui non ha mai sentito così salde. Può essere se stesso, senza sovrastrutture o ipocrisie.
Il rapporto tra Amon e Parvis diventa il fulcro della pellicola. Il futuro non appare più così buio, ma è quasi alla loro portata. Per quanto spaventati, inesperti, vulnerabili, i giovani protagonisti si lanciano in una folle corsa, che sa tanto di liberatorio quanto di disperato. Non hanno nulla da perdere, o meglio, hanno molto di più da guadagnare.
«Il futuro è nostro.»
No Hard Feelings presenta un talento innato, oltre che una vistosa sensibilità, che risponde al nome di Faraz Shariat. Se narrativamente la sua forza è da ricercarsi nel tema autobiografico, stilisticamente ha una marcia in più.
L’alternanza di filmini privati, sequenze psichedeliche, montaggi bucolici e pieni di poesia, fa pensare al miglior Xavier Dolan. Con punte di Gaspar Noé. Per non parlare infine dell’utilizzo della musica e delle canzoni, vero e proprio valore aggiunto al progetto.
*Futur Drei– titolo originale di No Hard Feelings – nasce dalla collaborazione tra Faraz Shariat, Paulina Lorenz e Raquel Molt, riuniti nel collettivo cinematografico chiamato Jünglinge.