Il dramma, i cattivi maestri e la risata: incontro con Christian De Sica
In sala con Comedians di Salvatores, Christian De Sica è ormai in totem del cinema italiano, proteiforme nonostante venga identificato solo con la commedia. L'abbiamo incontrato per parlare del suo passato, del presente e del futuro
La vis comica di Christian De Sica è probabilmente un unicum in Italia: la sfrontatezza del dialetto romano che si unisce a una fortissima fisicità da smorfia napoletana, il tutto intriso da un irresistibile aria snob nel senso etimologico (sine nobilitate, senza nobiltà) che si spande anche in un vocabolario estraneo al comico puro, e che dona al personaggio una sua precisa, riconoscibile identità.
Christian è da sempre alla ricerca della risata per nascondere sotto il tappeto malinconie e dolori troppo grandi da sopportare: dal primo premio vinto con Giovannino, fino a Sono Solo Fantasmi, commedia orrorifica che celava neanche troppo un omaggio e un confronto emotivo con l’ingombrante ombra del padre.
Il tutto mentre il mondo costringe i clown a ridere senza pensieri: lo abbiamo incontrato adesso che esce con Comedias di Gabriele Salvatores, dove interpreta il ruolo di un “cattivo maestro” della commedia ridanciana e frivola, per parlare con lui della commedia e della sua carriera, in un ritratto sincero.
Il nuovo film di Gabriele Salvatores, Comedians, ha tra gli interpreti Christian De Sica in un ruolo che sembra molto metanarrativo: nel film ci sono sei personaggi in cerca d’autore che devono scegliere quale strada prendere per interpretare la commedia. Inevitabile riportare tutto al De Sica moloch della commedia italiana, che però si è anche speso, sempre a latitudini altissime (ricordiamo il Nastro d’Argento come miglior attore per il ruolo nel Figlio Più Piccolo di Avati) anche in film drammatici. Perché allora la critica non perdona a un interprete, a un artista, di saper far ridere? Dimenticando che, a parte che ridere è bellissimo, far ridere è difficilissimo…
Mah, questa è una storia antica, è sempre stato così. Perché chi fa il comico strizza l’occhio al demonio, e vuol dire certe volte esser pronti a tutto, anche alla gag più bassa, ma è la pura comicità. Poi c’è la comicità aristocratica, che è quella di Chaplin…
…che però non fa ridere tutti…
Noi siamo più dalla parte di Stanlio e Ollio – e anche mio padre, quando faceva Pane Amore e Fantasia, veniva criticato da chi storceva il naso perché faceva il clown. Ma come ti dicevo, è sempre stato così: i comici non vengono premiati, non vengono riconosciuti, anche se poi molto spesso gli attori comici sono degli straordinari attori drammatici. Mi vengono ad esempio in mente Leo Gullotta o Lino Banfi.
Cosa che al contrario è più rara. È stato un bellissimo regalo poter lavorare con Gabriele Salvatores che, oltre ad essere un grande amico, è un regista altissimo, e quindi quando mi ha chiamato per fare questo ruolo sono stato più che contento e ho accettato di corsa. Lo avrei fatto anche gratis: il personaggio che mi ha affidato lo ha dato a me naturalmente perché sono un comico nazionalpopolare.
Io interpreto un capocomico particolare, un cattivo maestro, cioè quello che va ad intaccare il lavoro che fa un ex mio amico, un ex mio compagno di lavoro, su alcuni attori. E allora c’è questa specie di diatriba tra di noi perché io ad un certo punto molti di loro li stravolgerò e non gli farò seguire gli insegnamenti del loro insegnante.
Comunque il personaggio che interpreto io, è vero che è uno che ha venduto l’anima al diavolo, come dicevo prima, ma è anche vero che dice delle cose reali, ed ecco perché alcuni di loro cambiano idea.
Non dimentichiamo che la comicità nel Medioevo era l’arma più affilata, e i giullari di corte erano i personaggi più temuti…
Con l’ironia puoi essere tragico e spietato, molto di più che se ti metti su una cattedra e dici cosa si può fare e cosa no.
Nei tuoi ruoli, poi, almeno in quelli più importanti (penso al tuo Ricky e Barabba, piuttosto che Amici Come Prima, o anche ai verdoniani Borotalco o Compagni Di Scuola) c’è sempre un doppio fondo, un risvolto malinconico o dolciastro…
La nota amara, alle fine di ogni risata, è quello che troviamo sempre nella vita. San Francesco non fa ridere, il demonio sì. Quante volte mi hanno poi accusato delle cose più brutte, mi hanno detto di essere fascista, misogino, volgare: non è così.
Io interpreto dei personaggi che sono così per prenderli in giro. Nella vita non penso di essere né fascista, né misogino, né volgare; quindi si prendono di punta quei caratteri, quelle deformazioni caratteriali, un po’ come facevaAlberto Sordi.
Lui portava sullo schermo personaggi terribili, ha fatto ridere con personaggi terribili: pensa a quel film, Piccola Posta di Steno, dove lui si arricchiva alle spalle delle vecchiette, era intriso di una cattiveria fine a sé stessa; eppure ti faceva ridere.
Tipi atroci nella loro cattiveria, perché come dicevi tu la cattiveria fa ridere: c’è il gusto per il contrasto. Oltretutto, una tua altra caratteristica è aver messo vicino ad una comicità fisica e prorompente scenicamente un certo piacere per un vocabolario raffinato e altisonante, che stonano in bocca ai tuoi tipi…
C’è il contrasto dell’altoborghese che si trasforma in burino.
In Siamo Solo Fantasmi hai consacrato una “nuova” fase, perché non dobbiamo dimenticare che tu hai sempre provato a diversificarti.
Sei partito dal citato Giovannino vincendo un David di Donatello, e non ti sei più fermato. Giusto a memoria ricordo tre David, un Globo d’Oro e un Nastro D’Argento, e ancora 90 film da attore, 9 da regista, quattro cd, tanti spettacoli a teatro e con la musica…
Eh sì, ma sono tanti anni… io son famoso per i cinepanettoni che mi hanno dato la grande notorietà, mi hanno dato il successo popolare, ma ho sempre cercato di fare tanto altro, dal teatro alla televisione. Ho fatto fiction, ho fatto film drammatici, ho fatto una commedia americana, ho cercato sempre di cambiare perché è nella mia natura.
Sono ormai decenni che riesci a sfornare successi: ma nella tua formazione credi abbia influito la genetica, essere cresciuto in una famiglia d’arte?
Mah, io intanto ho voluto fin dall’inizio prendere una strada diversa, perché se avessi voluto fare l’autore come mio padre, sarebbe stato un fallimento annunciato.
A me piaceva il varietà, e ho provato quel tipo di spettacolo, credo di esserci riuscito.
Perché ho fatto sempre e solo quello che mi piaceva fare, non ho mai accettato dei ruoli né per denaro né per altro che non fosse la mia passione.
Dal cinepanettone al musical jazzato c’è sempre la vena di spontaneità in quello che fai. Come fai a trovare ancora ruoli diversi, rinascendo e reinventarti continuamente?
In questo mese inizio un film che è un remake di un vecchio film di Bud Spencer e Terence Hill, con Pesce e Roia, dove interpreto un cattivo a tutto tondo, tout court, ed è per me la prima volta. Mi piaceva provare questa nuova esperienza.
Durante il lockdown che ci siamo lasciati alle spalle, sembra che il sistema distributivo in Italia abbia trovato un nuovo assetto: sei uscito in streaming con in Vacanza su Marte, ora con Comedians di Salvatores torni in sala… credi che il cinema potrà trarre giovamento da questa fase?
Il cinema non morirà mai. Pensa a quando guardi una vecchia fotografia, pensa quando guardi un vecchio film su grande schermo: credo che il cinema non finirà mai, e ne trarrà giovamento, alla fine ci si stuferà di guardare tutto in home video e si tornerà in massa in sala.
C’è ancora qualche ruolo che non hai mai interpretato?
Guarda, io posso dirmi fortunato e ringrazio Dio ogni mattina di poter aprire la finestra e dire grazie di aver fatto sempre una cosa che amo, spero di poterlo fare ancora qualche anno… e magari poi più in là aprire un’accademia di recitazione per i giovani.
Stai scrivendo qualcosa attualmente?
Sì, ho appena scritto una cosa a cui tengo molto, un soggetto che è l’adattamento deiFannullonidi Marco Lodoli. È una cosa che vorrei realizzare sia come attore che come regista, e adesso sto cercando la strada da prendere per portare a termine il film.