Monster è il primo lungometraggio del regista di videoclip Anthony Mandler, tratto dal romanzo di Walter Dean Myers e presentato nel 2018 al Sundance. Prodotto da Tonya Lewis Lee, p.g.a., Nikki Silver p.g.a., Aaron Gilbert p.g.a., Mike Jackson e Edward Tyler Nahem. Disponibile dal 7 maggio sul catalogo di Netflix.
Trama
Monster narra la storia di Steve Harmon, un brillante studente di diciassette anni a cui crolla il mondo addosso quando viene accusato di omicidio. Il film segue la traiettoria drammatica dell’intelligente e affabile studente di cinema di Harlem in una scuola superiore d’élite, attraverso battaglie legali complesse che potrebbero condannarlo a una vita in carcere.
Curiosità
Monster è l’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato nel 1999 e scritto dallo statunitense Walter Dean Myers, un romanzo di genere Young Adult che ha ricevuto diversi riconoscimenti; nel 2020 ha vinto il Michael L. Printz Award.
La sceneggiatura è stata scritta da Radha Blank insieme agli esordienti Cole C. Wiley e Janece Shaffer. Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta nell’aprile del 1999 da HarperCollins, ed è tornato nelle librerie italiane il 26 maggio, edito da Marcos y Marcos.
Alla regia c’è il già citato Anthony Mandler, che si è fatto le ossa dirigendo videoclip musicali per artisti del calibro di Eminem, Mary J. Blidge, Rihanna, Drake, Beyoncé, Muse, Taylor Swift.
Il protagonista Steve Harmon è interpretato da Kelvin Harrison Jr., che abbiamo già visto nei panni del leader delle Pantere Nere Fred Hampton nel Processo ai Chicago 7. È figlio di Jennifer Hudson (premio Oscar per ‘Dreamgirls’) e Jeffrey Wright (premio Emmy per ‘Angels in America’ e tre volte candidato grazie a ‘Westworld’). Gli altri interpreti: Jennifer Ehle, Tim Blake Nelson, Nasir ‘Nas’ Jones, John David Washington, Rakim Mayers, e Paul Ben-Victor.
Trailer
“Ragazzo, uomo, essere umano, mostro…bellissima sensazione. Voi cosa vedete quando mi guardate?”
Recensione di Monster
Steve è un diciassettenne che finisce in carcere, accusato di aver fatto da palo durante una rapina, prima entrando in un negozio per controllare che non ci fosse nessuno e segnalando poi con un cenno il via libera. Ci sono anche testimoni che lo hanno visto sul luogo del crimine.
Già dai primi fotogrammi, e spesso durante il film, Steve viene considerato un Mostro, così come lo definisce l’accusa nell’arringa iniziale.
“Interno aula di tribunale, i neon illuminano i bianchi e i neri che inghiottono i grigi, non c’è spazio per il grigio in un tribunale”
Steve Harmon è un ragazzo di buona famiglia, vive ad Harlem e studia in una prestigiosa scuola di cinema, sognando di diventare un filmmaker. Ha un grande talento, come ci racconta durante il processo il suo stesso insegnate (Tim Blake Nelson). Alla ricerca della sua storia da raccontare, si imbatte nella gang che gioca nel campo da basket sotto casa. Non può fare a meno di fotografarla e filmarla, perché, se pur distante da lui, lo attrae come una calamita.
Monster si snoda attraverso continui salti temporali, con momenti prima, durante il processo e in carcere. Come il regista ci narra in alcuni frammenti iniziali del film, sarà Steve, l’aspirante regista, a raccontarla dall’interno: “Con la luce durante il giorno sembrava un film, questo è quel film, la mia storia, scritta, diretta e interpretata da Steve Harmon”.
Il regista Anthony Mandler, con estrema fragilità, emotività e consapevolezza, inserisce una realtà attuale e racconta in parte il movimento Black Lives Matter, ovvero carceri piene di ragazzi afroamericani che ingiustamente vengono accusati di crimini vari. Così è Steve, un ragazzo nero strappato dalla vita di tutti i giorni e inserito in un sistema penale che lo cambierà per sempre, facendogli perdere la sua adolescenza, diventando in un lampo un uomo adulto.
Dice Mandler: “Volevo entrare in tutte le sfumature di chi è Steve, come è arrivato qui e cosa ha fatto o non ha fatto. Oggi più che mai è fondamentale vedere il viaggio di un ragazzo in modo più emotivamente dettagliato. Quindi, come spettatore, puoi prendere la tua decisione e scegliere cosa significa giustizia”.
Questa storia era qualcosa di speciale che andava raccontata, continua: “Ho passato molto tempo a visitare le prigioni e quello che succede a Steve succede frequentemente. Ultimamente in America si parla molto di giustizia e di come trasformarla in un sistema più equo, ma la soluzione è ancora lontana. Dobbiamo decidere che tipo di società vogliamo essere: vogliamo essere quella più punitiva del mondo o quella che investe sui propri giovani?”
Ed infine, Mandler. “Mi sento vicino a Steve, al suo desiderio di sperimentare tutto camminando sempre su un filo del rasoio. Una specie di Icaro che vola troppo vicino al sole bruciandosi e che allo stesso tempo impara. Penso sia questo il normale processo di un artista”.
Mostro o Essere umano
Importante in questo film è il punto di vista, fondamentale in qualsiasi lezione cinematografica. Un concetto per niente banale, apparentemente poco innovativo, con il quale è stato raccontato Monster.
Steve Harmon è un ragazzo per bene, di buona famiglia, ha un luminoso futuro che lo attende, fatto di ottimi voti, università, soddisfazioni e amori, ma tutto questo viene ingiustamente stroncato. Il mondo di Steve viene capovolto; il processo deciderà se è un Mostro, come dice il titolo del film, oppure un Essere Umano che si è ritrovato in una situazione scomoda per puro caso. Molti testimoni confermano di averlo visto partecipare alla rapina, e lui non ha un alibi che può scagionarlo. Ma è davvero innocente? Questo dubbio accompagna tutto l’arco narrativo fino al finale, fino all’ultima scena del verdetto.
Lo sguardo della giuria, composta di varie etnie e culture, determinerà il futuro di Steve, già spacciato visto il colore della sua pelle, la sua età e il suo essere sotto processo.
Una sequenza finale molto interessante, un gioco tra sonoro e visivo che in alcuni frammenti ci mostra immagini mute, dimostrando ancora una volta l’utilizzo di varie tecniche cinematografiche già portato avanti per tutta la durata del film, come se Steve avesse messo in luce le proprie potenzialità da regista esordiente creando la sua opera a sua misura e somiglianza.
È evidente che il film gioca per tutto il tempo sulla capacità di poter plasmare e manipolare la verità, e non tanto sulla realtà dei fatti. Una scena fondamentale è la lezione del professore di linguaggio cinematografico sul film Rashomon, diretto da Akira Kurosawa, dove i personaggi raccontano la vicenda, ognuno a modo suo, con il proprio punto di vista, con il proprio sguardo e con la propria verità, così da trascinare lo spettatore fuori strada, perdendo la chiarezza sulla vicenda fino alla fine del film.
In modo molto meno dettagliato lo stesso processo avviene in Monster, con varie versioni della vicenda. La giuria darà il suo giudizio, l’avvocato dell’accusa avrà la sua visione dei fatti, gli stessi accusati porteranno la propria verità, come i testimoni, e così via. Ogni personaggio racconterà la propria versione, così da non farci più distinguere la verità dalla menzogna.
Il regista racconta in maniera un po’ troppo didascalica. La voce fuori campo di Steve, per esempio, molto presente come un flusso di coscienza, rende il film meno potente rispetto alla tematica trattata. In certe occasioni avrebbe potuto scegliere la soluzione del non detto, rafforzando così ancora di più le situazioni che il protagonista affronta e dando spazio alle emozioni che, pur presenti, non sono sempre abbastanza incisive.
“L’arte può sollevare qualcuno da una situazione senza speranza”.
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