Nell’edizione numero settantasette della Mostra del cinema di Venezia, dove era stato presentato in anteprima mondiale, aveva vinto il gran premio della Giuria, dividendo critica e pubblico nella maniera in cui di solito fanno le grandi opere cinematografiche. Arrivato nelle sale grazie alla distribuzione di I Wonder Pictures, Nuevo Orden racconta i meccanismi del Potere attraverso la rappresentazione di un futuro che è già presente. Di seguito la conversazione con il regista Michel Franco.
Il dipinto su cui si apre Nuevo Orden – caratterizzato da una composizione astratta di linee e di colori -, sembra prefigurare la spirale di violenza in cui di lì a poco saranno coinvolti i protagonisti della storia.
Non stavo cercando un quadro. Nella preparazione di un film ci sono alcuni elementi a cui arrivi in maniera indiretta. Succede se tu sei aperto a riceverli. Ho un amico pittore e una sera stavo cenando a casa sua. Per farmi rilassare dal cattivo umore mi portò nel suo atelier per mostrami i nuovi dipinti. Vedendo quello che poi ho utilizzato in Nuevo Orden, gli dissi subito che il disegno rappresentava esattamente quello di cui parlava il mio film: innanzitutto, perché essendo un quadro molto costoso rispecchiava lo spirito della storia. Quando gli spiegai che sarebbe stato distrutto perché simboleggiava il lusso e il benessere fu d’accordo con me. Tanto che se il suo titolo non fosse stato così lungo sarebbe potuto diventare anche quello del film. D’altronde, come succede nel quadro, anche nel film i filoni narrativi non sono lineari e finalizzati a raccontare solo una cosa, perché nella realtà accadono più fatti nello stesso momento.
Peraltro i frame che seguono, montati a ritmo vertiginoso, testimoniano questo corto circuito psicologico. Si tratta di una vera e propria frantumazione dell’io e della stessa realtà in cui assistiamo alla profezia di quanto sta per accadere.
Il montaggio iniziale, subito dopo la visione del quadro, è, nella maggior parte, astratto. Si tratta di un modo per mettere in allerta gli spettatori, facendogli vedere cosa sta per succedere in una maniera irreale, senza dirgli niente che non sia una comunicazione sensoriale. Inoltre, viene introdotto il riferimento al colore verde che sarà elemento importante nel corso della storia.
Da quel momento in poi il nuovo ordine non è solo quello istituito al termine della rivolta, ma anche un altro: quest’ultimo si riferisce all’ordine logico con cui film e spettatori sono chiamati a ricostruire la linearità della storia, compromessa dalla decostruzione dell’inserto introduttivo.
Mi piace quello che dici riferendoti alla storia, ma anche agli elementi cinematici; sul modo in cui sono organizzati o meno. Dunque, sì, sono d’accordo con te, è una buona lettura del mio film.
Nuevo Orden è attraversato da un ambiguità e da una reticenza di fondo. Esemplare, a tal proposito, è la valenza del rosso presente sul vestito di Marianne. All’inizio lo spettatore è portato a pensare che si tratti di un presagio relativo al destino della ragazza. In realtà, il colore è anche un monito per i detentori del potere, del pericolo che le idee e le azioni della ragazza possono rappresentare per il sistema costituito. È una giusta lettura?
Sì, certo, ed è anche il rosso presente nella bandiera messicana, come pure in quella italiana. Si tratta di un colore molto forte, che dice tanto sulla personalità della protagonista, ma anche di quello che potrebbe accaderle. I colori in questo film sono usati in maniera molto precisa. Inoltre, il rosso mostra come Marianne sia una ribelle: lei non vuole essere la tipica appartenente alla classe conservatrice. Ma il rosso è anche l’elemento che innesca molti dei fatti che si verificheranno nel corso della storia.
Da questo punto di vista Nuevo Orden è espressione di un paradosso: si potrebbe dire, infatti, che rivolte e proteste popolari siano funzionali al potere, perché facendo venire alla luce le idee che ne minacciano le fondamenta gli permettono di individuarle e sopprimerle prima del loro diffondersi.
Sì, come abbiamo visto prima, senza essere espresso in maniera evidente, c’è sempre un presagio dietro il comportamento dei personaggi. In generale le persone credono di essere libere solo perché possono lottare per l’affermazione dei propri principi. In realtà, dietro, c’è sempre un potere che trae beneficio dalle nostre azioni.
Spiazzante è anche il sottotesto del film: a essere pericoloso per il sistema non è, come si crede, lo scontro tra ricchi e poveri, bensì la possibile alleanza tra le parti. Non è un caso che a morire sarà proprio chi si è fatto carico di dialogare invece che dividere. Mi riferisco a Marianne e alla madre, ma anche all’ex domestico che chiede aiuto alla famiglia di Marianne; alla cameriera e al figlio rimasti fedeli fino all’ultimo ai loro datori di lavoro.
Sì, esatto. I militari permettono al conflitto di crescere fino a quando si creano le premesse per l’intervento che gli consente di prendere il controllo. Tutti i personaggi presenti al matrimonio rappresentano la parte più benestante della società, quella priva di empatia verso i bisogni come quello dell’ex domestico che si presenta alla festa in cerca di aiuto. Potrebbero aiutarlo senza fare alcuno sforzo, ma continuano a trattarlo come un loro dipendente: lo ascoltano senza farsi carico del suo problema.
Non a caso, alla fine, la conta dei morti vede tra le vittime tutti quei personaggi che, pur appartenendo a classi sociali opposte, erano stati capaci di fraternizzare, di stabilire un ponte tra le parti in causa. Anche questo lo mostri tra le righe e nelle ultime sequenze, come se fosse una verità che lo spettatore deve scoprire da sé.
Questa è la ragione per cui dicevo di come tutti ignorano quello che sta realmente succedendo. Daniel pensa di operare a favore della sorella morta, mentre in realtà fa il contrario, diventando strumento di un proposito più grande e peggiore; un obiettivo oscuro che gli fa uccidere le persone schierate dalla parte del bene. Così, sì, sono d’accordo con te, questo ponte è perverso per quello che produce.
E questa è una caratteristica di Nuevo Orden, perché a un primo livello si tratta di un film capace di raccontare una storia. Poi, però, tu lo stratifichi con idee, concetti e situazioni allegoriche che però, per il modo in cui le metti in scena, non appesantiscono il ritmo della narrazione e non forzano le convezioni di genere.
È quello a cui miravo, per cui ti ringrazio per le tue parole. Ho cercato di imitare la vita, la quale di solito è fatta di più livelli. Essa non è mai semplice, e d’altronde io amo quei film in grado di restituirne la complessità. Non è facile riuscirci, ed è per questo che apprezzo la tua analisi rispetto alla messinscena di Nuevo Orden.
La conservazione dello status quo è, per antonomasia, qualcosa che si rivolge al passato anziché al futuro. Per questo in Nuevo Orden il potere è disposto a sacrificare i propri figli (come succede nel film, ndr), pur di continuare a esercitare il controllo sociale. In questo senso la scena finale è il suggello di tale concetto.
Sì, alla fine il nuovo ordine è il vecchio ordine o persino peggiore. Sì, assolutamente. Nel film le cose non cambiano ma tornano indietro. All’inizio le persone cercano di cambiare lo stato delle cose. Per questo esplode la violenza, ma il nuovo ordine corrisponde al vecchio, e una volta ristabilito si rivela ancora peggiore di quello preesistente.
È impressionante, a un certo punto, l’immagine della bandiera messicana sovraimpressa alle facce di politici e generali schierati in parata. Con questa scena sembri volerci dire quanto sangue e violenza ci sia dietro i valori della bandiera nazionale.
Sì, ma penso che ogni bandiera sia stata macchiata dal sangue delle vittime. Non è mai immacolata e pura, ma l’opposto. In nome della bandiera e del suo patriottismo si compiono molte nefandezze.
Nuevo Orden si nuove tra realtà e utopia. Nel suo sembrare la rappresentazione di una mondo distopico, il film ci mostra una realtà molto simile alla nostra. Era questo un modo per dirci che il futuro è già adesso, e che quindi quello che vediamo succede già ai nostri giorni?
Sì, io credo di sì. Se rifletti, le cose che accadono oggi erano successe già nel passato. Nel lungo processo resosi necessario per la realizzazione del film, ne sono accadute molte nel mondo e ancora di più ne succederanno. Quello di Nuevo Orden è come un mondo parallelo ma davvero molto simile al nostro. L’ho girato in Messico perché è il mio paese, ma la storia poteva essere ambientata ovunque.
In Italia la visione della violenza presente in Nuevo Orden ha fatto molto discutere, dividendo critica e spettatori. Immagino che il modo di mostrarla sia stata per una questione centrale. Rispetto alla storia la durezza di certe scene, la violenza, era un elemento imprescindibile, ma tu non ne fai mai una questione voyeuristica. Questo perché l’atto di uccidere rimane sempre fuori campo, con le immagini che agiscono più sulla psicologia che sulla vista dello spettatore.
Sono d’accordo. Quando presente, la violenza è fuori campo o restituita dai suoni e dalla musica. Talvolta, però, l’immaginazione dello spettatore prende il sopravvento e va oltre quello che vede. Per questo c’è più violenza quando non la si mostra in maniera diretta. Tieni conto che ho fatto molti tagli, proprio quando l’aggressività si sta per scatenare; ciononostante, la mente continua comunque ad andare in quella direzione. Se guardi alle dittature in Sudamerica o ricordi quanto successo a Sarajevo non molto tempo fa, le immagini relative ad esse sono molto più violente delle mie.
Senza essere un film di genere, l’angoscia e la paura prodotte dalle immagini di Nuevo Orden trasfigurano la realtà, facendone una specie di film dell’orrore. La costruzione di alcune scene, e anche il modo di riversarsi nelle strade da parte dei rivoltosi, ricorda Zombi (1978). L’opera di George A. Romero è stata un tuo riferimento?
Non volevo che le mie immagini ricordassero l’opera di Romero. Di sicuro ho flirtato con il genere, in special modo con quello distopico. Molte persone con cui ho parlato prima di te citavano l’horror. Io ti rispondo che la visione di grandi masse di persone mi mette sempre paura. Questo perché, quando le persone sono insieme, smettono di essere individui ed è facile che la violenza prenda il sopravvento. Nei grossi assembramenti esiste un processo di imitazione, per cui se alcuni individui iniziano a fare la stessa cosa, gli altri la percepiscono come un comportamento giusto e da imitare.
Attraverso l’uso di fuori campo, prospettive e campi lunghi sei riuscito con poche ma significative sequenze – realizzate a camera fissa -, a trasmettere l’idea di una dimensione apocalittica alla quale si riesce a credere. In qualche modo Nuevo Orden ha la forma del cinema mainstream costando infinitamente meno. Mi puoi parlare dei principi con cui hai costruito il film dal punto di vista visivo?
Quanto dici era esattamente il mio proposito. Volevo concentrarmi su pochi caratteri perché è sempre più interessante fare così. Dunque, ci sono circa otto punti di vista: quelli all’interno della famiglia, in cui distinguiamo tra politici e domestici; allo stesso tempo volevo che il pubblico credesse di vedere avvenimenti presenti su larga scala, ovvero che l’intero paese fosse caduto in preda a una violenza irrefrenabile. Per riuscirsi, ho mostrato strade e quartieri tra i più importanti ed emblematici del mio paese: anche in quel caso non mostro la violenza ma le sue conseguenze, e cioè il giorno dopo i tumulti. Il fatto di poter immaginare quanto successo crea un effetto disturbante dal punto di vista psicologico e non visivo. Nuevo Orden mostra le immagini del giorno dopo attraverso frame di pochi secondi, da cui lo spettatore può farsi un’idea generale dei fatti. Penso che il cinema debba essere sempre in grado di dire molto con poche risorse. Per me è questo il suo grande potere. Mostrare ogni cosa lo indebolisce. Bisogna ricorre al simbolo: non ci vogliono molti elementi, ma tutto dipende da come usi quelli messi in campo.
Quella di Nuevo Orden è una società maschile in cui sono soprattutto le donne a morire. Per contro, le figure in divisa sono sempre minacciose, indipendentemente dalla fazione nella quale sono schierate.
Sì, quello di Nuevo Orden è una specie di totalitarismo del futuro, in cui alle persone non è permesso di parlare. Molte sono le donne assassinate e questo, forse, coincide con la realtà del Messico, che è uno dei paesi peggiori in cui nascere donna. Da noi i casi di femminicidio sono ogni giorno molto alti.
Di solito, al termine delle conversazioni, chiedo agli interlocutori che tipo di cinema gli piace. Vorrei saperlo anche da te.
Amo molto Luis Buñuel e film come Veridiana: lui è forse il mio regista preferito. Amo molto gli autori italiani, e non lo dico solo perché sto parlando con te. Penso prima di tutto a Pier Paolo Pasolini, tanto che ho cambiato il nome alla mia casa di produzione, che ora si chiama Teorema. Amo Ermanno Olmi e tanto altro cinema italiano.
Il cinema americano? Te lo chiedo perché il tuo ha qualcosa di quello realizzato ai tempi della New Hollywood.
Infatti, di quel paese è il cinema che preferisco, e cioè amo quello realizzato negli anni Settanta. Penso a Hal Ashby, a film tipo Cinque pezzi facili e poi, certo, a Taxi Driver. Oggi per me è più difficile trovare negli Stati Uniti film titoli altrettanto interessanti, a parte alcuni firmati da giovani registi indipendenti.