Six Feet Under è una serie disponibile su Disney Plus, creata nel 2003 da Alan Ball. Considerata da molti uno dei risultati più alti all’interno dell’universo delle serie, ha un impianto classico ma contenuti forti e mai visti prima in televisione.
La ditta Fisher&Sons si occupa di onoranze funebri: quindi tragedie, funerali e veglie. Il padre Nathaniel muore improvvisamente schiacciato da un autobus -da questo tragico avvenimento che funge da vaso di Pandora, prende il via una serie di reazioni a catena che si innescano all’interno dei componenti della famiglia, scoprendo bugie, segreti e sentimenti nascosti.
Six Feet Under parla, senza parafrasi o circonlocuzioni, di morte: la morte “vera”, quella che, come diceva Shakespeare, è fatta di sangue e mosche. Ogni episodio parte con una decesso, dalla situazione più classica (il gatto che fa cadere nella vasca un apparecchio elettrico) a quella più demenziale (un semaforo che ti strappa via la faccia): in seguito, il deceduto parlerà e discuterà amenamente con i vari personaggi- anche il padre (Richard Jenkins) tornerà in ogni episodio a chiarire punti rimasti in sospeso con i suoi familiari.
Six Feet Under: un capolavoro irripetibile
Anche se può sembrare così, Six Feet Under non è però una serie demenziale (i Fisher non sono assolutamente i “nuovi Addams”) né grottesca; o perlomeno, è grottesca nei limiti in cui la vita reale lo diventa. I Fisher hanno la sala da pranzo accanto al salone per le veglie, sono cresciuti a contatto con morti, dipartite e persone in lutto: è da questa situazione paradossale che nascono sbigottimento e uno humor nero e lucido, sapido condimento di personaggi in continua evoluzione.
Come persone vere, i Fisher cambiano e maturano di episodio in episodio.
Se la morte di Nathaniel li lascia sbigottiti, l’aria che respiriamo nelle prime storie è gelida, rarefatta, in attesa. La madre Ruth (una eccezionale Francis Conroy) e il figlio David (Michael C. Hall) sono soverchiati dai segreti che nascondono (lei ha tradito il marito, lui è omosessuale non dichiarato, fidanzato con un poliziotto di colore, Keith), il “figliol prodigo” Nate (Peter Krause) è dapprima riluttante a tornare in provincia e seguire le orme del padre, ma un particolare percorso intimo lo spingerà a restare.
Nate conosce poi Brenda (Rachel Griffith) che da semplice avventura estemporanea in aereoporto diventerà sua compagna; ma anche lei avrà un suo mondo da scoprire, tra genitori scoppiati e nevrotici e un fratello schizzato e morbosamente geloso.
La dissolvenza, in Six Feet Under, non è in nero, ma in bianco: l’ultimo tabù è definitivamente infranto, il tema è la fine della vita. E paradossalmente, come i Fisher, anche noi dopo una manciata di episodi facciamo l’abitudine alla morte -perché quello che risulterà trascinante sarà il modo sincero, appassionato e incredibilmente realistico con cui il produttore Alan Ball (quello di American Beauty) tratta la vita dei suoi personaggi.
Romanzo americano e Commedia Umana (e mortale)
Accanto ad una umanità varia e brillocca, teneri amanti, madri che maldestramente tentano di ricucire il rapporto perso con la propria figlia, fratelli che scoprono di volersi bene, parenti che tentano di ritagliarsi una loro identità al di fuori degli schemi prestabiliti della famiglia castrante; e ancora becchini, imbalsamatori, necrofili, spacciatori.
Il campionario è vasto e poliedrico; eppure il tono è sempre accondiscendente, sempre ad accarezzare le storie e i protagonisti con malinconia, dolcezza, delicata e intensa poesia. Sotto la patina di disincantato cinismo e lucido sarcasmo, Six Feet Under usa la morte “vera” per parlare della vita “vera”, con cinematografica attenzione per i dettagli e autentica ispirazione d’autore (a partire dalla siglia, splendida).
Six Feet Under
Anno: 2003
Durata: 5 stagioni, 63 episodi
Distribuzione: Disney Plus
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