Esordisce contemporaneamente nei teatri cinesi e americani Cliff Walkers di Zhang Yimou (Lanterne Rosse, La foresta dei pugnali volanti), una produzione Emperor Motion Pictures, che rappresenta il primo spy-thriller del maestro cinese, nonché la prima grande produzione a tentare una distribuzione diffusa anche fuori dalla Cina.
Ne avevamo parlato qualche settimana qui, torniamo questa volta con la recensione dopo aver visto il film in Cina.
Cliff Walkers di Zhang Yimou è un film che scaturisce dal talento del maestro e dalla sua dimostrata consapevolezza. Ci delizia con una sottilissima sperimentazione, pur muovendosi su dinamiche commerciali, e si rivolgere contemporaneamente al pubblico orientale e occidentale. Per questo, potrebbe generare una netta spaccatura tra sostenitori e delusi.
Cliff Walkers di Zhang Yimou la trama
Dopo un intenso addestramento in Russia, quattro spie comuniste vengono paracadutate segretamente in Manciuria, negli anni 30, durante l’occupazione giapponese. La loro missione, Utrennya, consiste nel portare in salvo l’unico sopravvissuto dai tremendi campi di prigionia costruiti dai Giapponesi.
I quattro agenti si trovano immediatamente costretti a prendere strade diverse sulla rotta verso Harbin, dal momento che è evidente una fuga di informazioni che rischia di compromettere la loro identità e missione . A quel punto, gli agenti Yu (Qin Hailu), Zhang (Yi Zhang), Chuliang (Zhu Yawen) e Lan (Liu Haocun) si destreggiano in un sottile passaggio di informazioni e codici nascosti, mentre sempre più si infittisce la trama di tradimenti e infiltrati.
Motivati a far conoscere al mondo le atrocità compiute dai Giapponesi nel Machukuo, loro, e il sistema di agenti che li sostiene, saranno disposti a tutto pur di portare a termine la missione.
La neve e la costruzione visiva
Una coltre di neve così fitta e così ben filmata, si era vista solo in The revenant e The hateful eight. Un candore quasi surreale. I fiocchi cadono incessantemente per tutto il tempo; si arrestano chiaramente solo sul finale, a fronte del contemporaneo disgelo narrativo. Visivamente, quindi, le vicende sono ambientate in interni, oppure nel gelo.
Merito del direttore alla fotografia Zhao Xiaoding se questo insolito concepimento visivo funziona e si arricchisce nel riflesso e nei fiocchi sferzanti i volti.
La sceneggiatura di Quan Yongxian e la regia di Zhang dimostrano di volere proporre una visione atipica di film di spionaggio: compete egregiamente con L’impero delle ombre di Kim Jee-won da una parte, e con gli ultimi grandi da Hollywood come La Talpa e Il ponte delle spie. Ma in un modo completamente diverso.
Ellissi e storie sospese
Cliff Walkers di Zhang Yimou è un film estremamente ellittico, i cui tagli di montaggio e i singhiozzi narrativi sono così ben calibrati da diventare una tipicità del racconto. Zhang ne approfitta e fa di questa frammentazione un motivo per omettere certe spiegazioni, certa dovuta verisimiglianza che si perde tra le pieghe dei vestiti pesanti.
Allo stesso tempo, queste ellissi esaltano ritmo e tensione, permettendo al regista di mantenere lo spettatore nel flow, senza cadute. L’ambizione sta nel fatto che nel favorire l’intreccio, le sue spie rimangono inesplorate, non raccontate. È una consapevole scelta narrativa, un gioco di intese che si avvantaggia dell’anonimato dei personaggi. E così, protagonisti, non lo sono quasi mai: lo sono piuttosto le scelte, lo sconvolgimento delle certezze, i doppi giochi e le torture. L’immagine e il montaggio.
Sulla scia di questo omaggio al cinema in cui ci aveva già condotto poeticamente con One Second, Zhang Yimou torna con un esercizio di stile in cui riecheggia nuovamente la magia della settima arte. Ma lo fa con arte propria. E, parallelamente, sublima il genere, lo trascina in Cina, dedica un omaggio ai propri eroi e denuncia il passato più sofferto.
Politicamente corretto, visivamente assoluto, e narrativamente temerario.