L’apparenza delle cose, i dogmi dell’occulto in un horror atipico
L'ambiguità della condizione umana si svela prepotentemente in un horror con la facciata del thriller. La regia di Shari Spinger Berman e Robert Pulcini anima una storia di misteri irrisolti , tipici della provincia americana, rimestando nelle suggestioni legate allo spiritismo
L’apparenza delle cose (in streaming su Netflix) trae spunto da una sceneggiatura non originale legata al romanzo omonimo di Elizabeth Brundage. Una storia per lunghi tratti avvincente, sceneggiata con tocco lieve dagli stessi registi, Shari Springer Berman e Robert Pulcini, che proprio nel finale sfugge alla sua epica. Emanuel Swedenborg e l’opera pittorica di GeorgeInnes sono le chiavi di lettura sulle quali soffermarsi. Titolo originale: Things Heard & Seen. Produzione: Likely Story.
Una superlativa Amanda Seyfried
Trama
Nella primavera del 1980 George, Catherine e la loro figlioletta Franny lascianno Manhattan per andare a vivere nella provincia a Nord, in un paesino della Hudson Valley. George ha ottenuto una cattedra in storia dell’arte nel vicino college e per seguirlo Catherine ha rinunciato al suo lavoro di restauratrice di grande talento. Non tutto però va come dovrebbe e ben presto la vecchia casa dove risiedono svela i suoi misteri. Una nuova prospettiva nella quale è compresa anche la figura di George.
L’apparenza delle cose: i dialoghi della macchina da presa
Il lavoro diretto da Shari Springer Berman e Robert Pulcini usa con abilità gli stereotipi tipici dell’horror spiritista. Da subito individua in alcuni dettagli i loro punti cardine. Le sequenze con l’immancabile vecchio libro, la lampada a forma di pupazzo, le foto dei primi abitanti della casa, gli odori del passato cruento, le diapositive che scorrono. Tutto è incastonato nelle inquadrature della macchina da presa e nei suoi primi piani. Tuttavia, una volta condotto lo spettatore nelle arie classiche del genere la vicenda si adagia nella sua cornice thriller e le scene di terrore, fatta un’unica eccezione, non appaiono mai tali.
Ciò che è certo è che le cose del cielo sono più reali di quelle che esistono al mondo
Emanuel Swedenborg
Inness e Swedenborg
L’apparenza delle cose ha un suo tratto distintivo nelle citazioni artistiche che compaiono all’interno della storia. Non a caso il racconto è ambientato nella regione della HudsonValley. È questa la terra d’elezione di George Inness, pittore paesaggista dell’800 americano dalla vena intimista e crepuscolare. Le sue tele scenografano gli spazi aperti e i campi lunghi della pellicola acuendone la percezione del dramma imminente. Su questa falsariga capostipite diventa la figura di Emanuel Swedenborg, filosofo, mistico e teologo svedese, che ne L’apparenza delle cose rappresenta il punto di vista fondante delle dinamiche relazionali dei personaggi. I suoi dogmi sullo spiritismo, uno spirito malvagio comunica soltanto conuna persona malvagia, sono le sottolineature continue di un racconto filmico elegante e mai banale, fatto salvo l’inciampo nel finale.
L’apparenza delle cose: Amanda Seyfried e David Lynch
L’intero cast fornisce una prova di grande livello con i due protagonisti principali sugli scudi: James Norton nei panni di George e Amanda Seyfried in quelli di Catherine. Quest’ultima sostiene con grande sensibilità una parte nei fatti piuttosto complessa e sottilmente raffinata. La Seyfried risulta perfettamente a suo agio in una storia in cui Shari Springer Berman e Robert Pulcini distribuiscono presagi miscelando i generi e svelando progressivamente la natura delle cose. Dalla citazione di Lost Horizon alle parole della canzone Hotel California degli Eagles, la pellicola risulta stretta in una morsa incontrovertibilmente surrealista di lynchiane evocazioni. Da encomio la fotografia di Larry Smith e la musica di Peter Raeburn.
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