Al Bergamo Film Meeting e disponibile online dal 27 al 29 aprile su MYmovies.it Ghost Tropic, un film di Bas Devos
Dopo una lunga giornata di lavoro, Khadija, donna delle pulizie di cinquantotto anni, si addormenta sull’ultima corsa della metropolitana. Quando si sveglia è al capolinea, dall’altra parte della città, e non ha scelta: deve ritornare a casa a piedi. Durante il tragitto, la donna si ritrova a chiedere e a dare aiuto alle varie persone che incontra sul suo cammino nella notte di Bruxelles.
Già vincitore di numerosi premi internazionali fra cui la Piramide d’argento per il miglior regista a Bas Devos al Festival Internazionale del Cairo e presentato alla Giornate degli autori del Festival di Cannes nel 2019, arriva ora in concorso al 39° Bergamo Film Meeting Ghost Tropic (t. l. Tropico Fantasma), terzo lungometraggio del regista dopo Violet (2014) e Hellhole (2019), ritratto di un personaggio che si trova per caso ad esplorare e scoprire la propria città e i suoi abitanti da un’ottica nuova e inconsueta.
Quelli sintetizzati dal titolo gli elementi fondanti di questo dramma: a parte il prologo e l’epilogo, il film rispetta le unità canoniche di spazio, di tempo e di luogo: infatti, il viaggio di ritorno della protagonista si racchiude nel volgere di poche ore, durante le quali però avrà modo d’imbattersi in situazioni e personaggi fra i più disparati, spesso soli e in difficoltà come lei. In tal senso, mutatis mutandis, è assimilabile al nostos di Odisseo per raggiungere Itaca (qui condensato- come detto-, in una sola notte) con le sue prove da superare e i differenti personaggi che s’incontrano lungo la peregrinazione verso casa.
La regia privilegia lunghi piani fissi, con al più movimenti di macchina appena accennati, tanto da riuscire quasi inavvertibili. Frequente è anche l’uso del campo vuoto, sia esso un interno o un esterno (questi ultimi di gran lunga prevalenti sui primi), funzionale ad evidenziare la solitudine di Khadija, il suo muoversi in luoghi privi di presenza umana, o dove questa è ridotta- come si diceva-, a pochi altri personaggi che di tanto in tanto incrociano il suo cammino nella notte di Bruxelles. La fotografia in notturna, rischiarata dalla fredda luce al neon dei caseggiati e dei locali della periferia, accresce la solitudine e lo spaesamento di Khadija- spesso inquadrata in campo lungo o comunque in figura intera-, e al contempo mostrandone la tenacia e la determinazione nel perseguire il suo fine.
Anche la musica, usata come tappeto sonoro lungo il quale si snoda il percorso della protagonista, ha una presenza estremamente limitata, quasi impercettibile; e così pure i dialoghi, rari e brevi, svolti fra estranei costretti da un caso sfortunato come quello di Khadija o dalla necessità economica a lavorare di notte, quando la città si svuota della gran parte dei suoi abitanti divenendo quasi un deserto freddo e persino pericoloso.
La protagonista, pur abitando nella capitale belga da anni e parlandone la lingua, è un’immigrata che ha portato con sé le tradizioni della terra d’origine: quest’aspetto del personaggio rende il suo viaggio verso casa ancor più arduo e solitario; dall’altro, proprio questa sua caratteristica la porta ad una spontanea generosità e altruismo verso chi come lei è in difficoltà, reciprocato proprio da quei personaggi collocati ai margini della società, belgi o stranieri. Sono dunque gli umili come Khadija- ognuno con la propria e diversa storia-, i più disponibili verso il prossimo, accomunati come sono dalla difficoltà del vivere.
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Le dichiarazioni del regista
«Ho voluto raccontare una “donna di Bruxelles” come quelle che incontro a La Cité, a Molenbeek o in metropolitana. Attraverso il ritratto di questa donna, credo di essere riuscito a parlare un po’ di una generazione di donne sottoesposte e sottorappresentate.
Lo scopo del film è anche quello di discostarsi dalla natura frammentaria dei miei due film precedenti. Dopo Violet e Hellhole, volevo realizzare un film che può essere visto come un’istantanea. In questo caso, una fotografia di una sola notte. Con un breve epilogo che si svolge in tempi e luoghi diversi. La sequenza temporale è lineare. Le scene si fondono l’una nell’altra. E infine, il punto di partenza della trama doveva essere un contrattempo semplice, quasi banale: una donna, Khadija, si addormenta sull’ultimo treno dopo il lavoro ed è costretta a tornare a casa attraverso Bruxelles di notte.
Creando un ritratto minimalista, sia in termini di contenuto sia di forma, credo di aver ridotto la distanza tra lo spettatore e il personaggio di Khadija, rendendola visibile e tangibile. Per raggiungere questo obiettivo, ho creato più spazio possibile attorno a lei per poterla guardare. La semplicità è fondamentale per poterla mostrare in tutta la sua complessità.»
Un film dunque connotato da uno stile scarno ed essenziale che evita qualunque concessione al melodramma e al patetismo, sorretto da precise scelte formali che ne fanno un’opera consapevole e rigorosa, prova della compiuta maturità raggiunta dal regista e autore. Il finale aperto lasciato volutamente in sospeso- che stacca nettamente sia sul piano estetico sia tematico dalla forma di messinscena che caratterizza il film-, ne arricchisce la visione, permettendo allo spettatore d’interpretare l’ultima sequenza secondo la propria prospettiva e chiamandolo ad una lettura dell’opera attenta e personale.
Nel cast del film
Saadia Bentaïeb, Maaike Neuville, Stefan Gota, Cédric Luvuezo, Willy Thomas, Nora Dari