Anna è una miniserie Sky in sei puntate disponibile dal 23 aprile, tratta dal romanzo di Niccolò Ammaniti, anche regista (con una sceneggiatura firmata insieme a Francesca Manieri).
Il libro è edito da Einaudi; il serial è prodotto da Sky Original e da Wildside, società del gruppo Fremantle, in coproduzione con ARTE France, The New Life Company e Kwaï.
No, Anna di Niccolò Ammaniti non è stato scritto dopo la pandemia Covid che ha sconvolto equilibri e psicologie di tutti; e no, il serial Anna di Sky non è stato girato durante i vari lockdown.
È questo uno (ma solo uno) dei motivi per cui questa nuova serie spaventa nel profondo, ma anche getta una luce di inquietante speranza su un modo di vivere necessariamente più eco-friendly a cui -non- siamo abituati.

E ancora: no, Anna non è il solito thriller post-apocalittico. È un dramma doloroso, straziante e straziato che prende il meglio da La Strada di McCarthy e Il Signore Delle Mosche di Golding, ampliando gli orizzonti di partenza e migliorando gli sviluppi, utilizzando gli scenari à la Walking Dead (assolutamente distante nei toni e nella sostanza) per raccontare una storia adulta con i bambini protagonisti, che diventano lenti di ingrandimento per scrutare nell’abisso di ognuno.
La trama
Un’epidemia causata da un virus, “La Rossa”, proveniente dal Belgio, ha causato la morte di tutti gli adulti, solo i bambini ne sono immuni fino alla pubertà. Anna è una ragazzina tredicenne, dopo la morte della madre, cerca di proteggere in ogni modo il fratellino Astor.
Lo tiene isolato nella casa di famiglia, per proteggerlo dai pericoli esterni, mentre lei si allontana in cerca di cibo e provviste.
La recensione
Ad un certo punto, fa male guardare Anna: fa male perché usa senza timore i bambini e sporca la loro innocenza, perché Ammaniti è lui stesso un regista “innocente” e va dritto al cuore, rimanendo miracolosamente in equilibrio tra l’essenzialità del linguaggio e l’estrema complessità della materia, perché è sempre il linguaggio di Ammaniti (tornato alla regia dopo il già bellissimo Miracolo, sempre distribuito da Sky) che sa essere fresco e sconvolgente come i suoi capolavori letterari degli esordi, e che torna ad avere una verità dolorosa e struggente nel suo essere cannibale.

Cannibale nel suo fagocitare sé stesso e lo stesso mondo che descrive e abita, percependo in anticipo i cambiamenti sociali e culturali, con una rappresentazione sistematica della violenza insita in piccole rivoluzioni così come nei gesti, esponendo i propri personaggi senza tabù.
Silenzio, fame, orrore: sono queste le caratteristiche del mondo esistenziale, letterario, artistico e adesso anche cinefilo dell’autore, abitato da un ordine umano diviso rigidamente in adulti e bambini.
Una divisione fisica e spirituale, visiva e materica, che in Io Non Ho Paura ad esempio si riflette in un mondo di sopra e uno di sotto, ma anche in tutte le sue altre opere diventa scontro e contraddizione di una società ideologicamente alla deriva, privilegiando un linguaggio sempre crudo e crudele con una lucidità che non lascia scampo.

Quello di Ammaniti, quello di Anna, è un mondo impregnato e spaventato da un’immanenza divina che scivola in ogni interstizio ma non si manifesta mai, che osserva tutto e probabilmente si ritrova, a posteriori, in quel qualcosa che supera le differenze e unisce i poli opposti, la -purtroppo rara- solidarietà tra esseri umani (sentimento che non a caso i bambini riescono a sentire meglio degli adulti: all’inizio del secondo episodio, addirittura una piccola protagonista ha un terzo occhio disegnato sulla fronte).
Molto spesso il gesto solidale comporta però un prezzo da pagare: etico o fisico che sia, è un dazio che riconduce tutto alla frase che la protagonista della serie ripete, ovvero
“la vita non ci appartiene, ci attraversa”.
In Anna, ancor più che in opere simili sull’infanzia e sull’adolescenza, il percorso di crescita diventa più marcato con il sovrapporsi del survival: l’evoluzione verso la maturità è dolorosa e impervia, piena di dolore e che va dritta da un’iniziazione ad una scoperta.

ANNA come romanzo di formazione
È la forma tipica del romanzo di formazione, articolato come una fiaba, perché in entrambi i generi si rispecchiano i riti di passaggio che vanno avanti dalle società primitive. Ma la cosa più straordinaria di Ammaniti è che il suo romanzo di formazione non lascia lo spettatore (o il lettore che sia) puro spettatore del processo di maturazione, né tantomeno giudice morale degli eventi: perché lo spettatore stesso sarà “educato” nel senso più strettamente etimologico (ex duco, conduco fuori).
Tutte caratteristiche che sono riversate in Anna: che per di più, come nel Miracolo, come in L’Ultimo Capodanno, dà sfogo alla tensione dell’autore verso il genere, che viene usato per avvolgere la storia in spire concentriche sempre più strette, legando chi guarda con un’atmosfera vischiosa e quasi materica, che non si fa scrupolo di contagiare i ricordi d’infanzia di ognuno con piccoli segni e segnali, riportandoci in una dimensione ancestrale fatta di archetipi ed emozioni istintuali, primigenie e primitive.
Quindi fortissime.
Le sei puntate di Anna mostrano, forse ancora di più dell’altro serial Sky citato, quanto però il linguaggio di Ammaniti sappia trasformarsi da letterario in cinematografico senza perdere ma anzi arricchendosi: con dialoghi asciutti, interpretazioni totemiche, e alcune sequenze che lasciano senza fiato.
Che non hanno pudicizia di mostrare ciò che si mostra: come la morte di un bambino, osservata e descritta con una leggerezza di macchina invidiabile, che sa indugiare nei momenti giusti dilatandoli e valorizzandoli, dando un ritmo specifico ad ogni storia e ad ogni tono.
Padroneggiando l’intreccio dei piani temporali, messi in scena senza filtro, spingendo ancora di più sulla consapevolezza del fruitore di dover intervenire in prima persona per decodificare il racconto, per assorbirne le suggestioni e seguirne le tracce fino al magmatico cuore emotivo. Che rimane sospeso, meravigliosamente, tra la bellezza e l’orrore.
Tra gli interpreti, Roberta Mattei, Giulia Dragotto, Alessandro Pecorella.
