“Romain Goupil ‘abbassa’ il punto di vista all’altezza dei bambini per firmare un film politicamente impegnato, leggero nei modi e diretto nelle intenzioni provocatorie”.
Francia, anno 2067. Dalla villa Savoye di Le Corbusier l’anziana Milana ci racconta un momento chiave della sua vita risalente a molti decenni prima quando l’allora presidente, di cui non ricorda il nome, sosteneva una linea politica molto dura nei confronti dei sans-papiers. Il lungo flashback su cui è strutturato il film ci riporta al 2009, quando Milana era solo una bambina ma dalle idee chiare e dal carattere determinato. Sono momenti duri per la Francia (dell’innominato Sarkozy), la tolleranza e l’accoglienza sono ai minimi storici e i casi di rimpatrio coatto diventano sempre più frequenti e temuti. Nella scuola multietnica di Milana, parigina di origine cecena, Youssef viene rispedito al proprio Paese. I bambini si stringono immediatamente in un cerchio di solidarietà e, ancor prima degli adulti, prendono coscienza della necessità dell’azione. Si crea intorno a Milana, esposta alla stessa sorte toccata all’amico, un muro difensivo alzato dai compagni, in particolare da Blaise e Alice. Milana viene così accolta e protetta dalla famiglia dei due svegli e sensibili fratelli dove la comprensione e il sostegno della madre Cendrine (una luminosa Valeria Bruni Tedeschi) compensano l’ottusità dei decisori politici. In seguito alle discussioni domestiche tra Cendrine, il marito Luc (interpretato dallo stesso Romain Goupil) e il fratello Rodolphe (Hippolyte Girardot), i tre piccoli protagonisti realizzano l’urgenza di una presa di posizione attiva ed efficace.
Romain Goupil ‘abbassa’ il punto di vista all’altezza dei bambini per firmare un film politicamente impegnato, leggero nei modi e diretto nelle intenzioni provocatorie, che riesce a convogliare la spontaneità dei suoi enfants terribles nell’energico attacco alla politica del rimpatrio forzato portata avanti senza scrupoli da Sarkozy. I bambini incarnano l’occhio genuino in grado di analizzare con semplicità la criticità della situazione in cui vertono gli immigrati irregolari e di concentrare le forze in un atto concreto. Gli adulti, invece, seppur con diversi gradi di colpa, sono la parte sconfitta della storia, miopi nel guardare alla realtà e incapaci di agire tempestivamente. Mentre il mondo degli adulti è il luogo delle discussioni paralizzanti, della sopraffazione e dell’inadeguatezza, quello dei bambini è il regno dell’operatività guidata dalla sensibilità e votata alla sensibilizzazione. L’atteggiamento degli adulti si scompone nei tre personaggi principali Cendrine, Luc e Rodolphe, che rappresentano le voci della situazione francese: rispettivamente, la posizione in lotta a sostegno della causa senza compromessi, quella vicina ai problemi dei clandestini ma che intende procedere per riforme graduali e l’atteggiamento di quella inaccettabile fetta di popolazione favorevole alla rigida politica di chiusura all’altro. Solo nel personaggio interpretato dalla materna e rivoluzionaria Valeria Bruni Tedeschi possiamo intravedere il ponte tra una realtà fatta di coscienze anestetizzate – e da cui, invece, ci aspetteremmo uno senso critico e una combattività positivamente orientati – e la dimensione consapevole dei danni causati dalla legiferazione dissennata. Capace di parlare il linguaggio dei bambini, Cendrine è il sostegno alla rivoluzione dei piccoli nonché la speranza del risveglio delle masse. La dettagliata e genuina pianificazione dell’atto finale studiato dai piccoli sovversivi, alleggerito da momenti di puro divertimento e contenente una spiccata vocazione sociale, tuona come una tenera e irresistibile lezione di umanità ‘dal basso’. Interessante quanto fondamentale all’apertura verso il diverso da sé – che continua a generare paura invece di sollecitare la propensione all’arricchimento reciproco – è la prospettiva da cui Goupil racconta la storia. La collocazione in uno spazio temporale futuro è dettata dalla volontà di rapportarsi all’inaccettabilità del nostro presente con distacco, immaginando così di trasformare l’attualità in una pagina di storia conclusa e mai più attualizzabile.
Il titolo originale, Le mains en l’air, è il richiamo verbale di una delle immagini conclusive ricostruite dalla memorie divergenti di Milana e Blaise, soggette agli attacchi del tempo, ed è dichiaratamente ispirata alla eloquente foto del bambino deportato nel ghetto di Varsavia, icona dei maltrattamenti di una società che ha smarrito la ragione. Alla fine del film vorremmo immedesimarci con Milana/narratrice e considerare la nostra contemporaneità secondo la sua postazione privilegiata, quella dell’osservatore distante, per scoprire che l’affannosa lotta allo straniero è stata un evento passato irripetibile, ingiustificato e ingiustificabile, sostituito definitivamente dal ragionevole e fecondo spirito d’accoglienza.
Francesca Vantaggiato
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