A Roma il Nuovo Cinema Aquila è pronto a riaprire con tanti nuovi progetti (qui per la notizia sulla riapertura). E tutto grazie al suo direttore artistico Mimmo Calopresti. “Sfruttando” l’occasione abbiamo fatto qualche domanda al regista e sceneggiatore, sia su questa realtà importante per il territorio romano e non solo, sia sul suo ruolo sempre più a 360°.
Come vede la riapertura del Nuovo Cinema Aquila Mimmo Calopresti
Il Nuovo Cinema Aquila aveva già subito varie vicissitudini nel corso della sua storia. Essendo riuscito sempre a rialzarsi, si può dire che la pandemia è solo l’ennesima “pausa” che forse darà anche un input in più a questo cinema? Come dimostra la volontà di voler comunque andare avanti e promuovere iniziative e rassegne anche a distanza.
Sì, io credo e spero che sia l’ennesima pausa. Noi stiamo facendo di tutto perché lo sia. Crediamo anche di fare un tipo di cinema che ha le sue possibilità di avere il suo proprio pubblico. Abbiamo la fortuna di averne uno nostro molto particolare che abbiamo sempre coinvolto. Speriamo di farcela ancora, anche se sappiamo che quest’anno ci saranno di mezzo l’estate e il prodotto generalista che manca. Ma noi al nostro arco abbiamo la nostra identità, molto diversa.
Quali sono le proposte del Nuovo Cinema Aquila?
Siamo pronti a partire con una serie di festival. Avevamo in programma di partire con delle masterclass, ma l’incertezza di quando riaprire un po’ ci taglia le gambe perché non possiamo bloccare gli autori. Speriamo di poterle fare anche più avanti. Sarebbero state con Mario Martone, Abel Ferrara. Crediamo molto che il nostro cinema si sta trasformando in un luogo dove il cinema è vissuto non solo come visione, ma come luogo di incontro tra il pubblico e gli autori. E anche come luogo di conoscenza, come posto dove il quartiere si apre al resto della città in un interscambio. Può essere una porta tra il quartiere e la città. Stiamo lavorando molto in questa direzione. L’altro giorno col festival Free Aquila dei cortometraggi facevamo dirette nelle quali presentavamo gli autori che sarebbero andati sul web. Ho guardato la sala e, per un attimo, mi sono detto “non mi ricordo nemmeno più com’è fatta”. Noi, da questo punto di vista, per riabituarci alla sala, abbiamo qualche idea.
Che idee? Ci puoi anticipare qualcosa?
L’Anec parla di riaprire a metà maggio e in tal caso le prime cose che ospiteremo, al di là di un minimo di programmazione, saranno i festival “esterni” (Fantafestival, Immaginaria, Tulipani). L’unica cosa certa è la rassegna calcistica che però non sarà più un’arena. Prima di agosto e di “Binario V” l’unica altra cosa possibile sarebbe la masterclass con Martone. In ogni caso dobbiamo aspettare i film che usciranno e quelli collegati ai festival. Faremo anche una cosa che riguarda lo sport collegata ai campionati europei cercando di vivere la sala in altri modi. L’arena calcistica potrebbe essere incentrata su un numero ridotto di film più recenti da proporre anche in più proiezioni. Proporremo alcune partite e alcuni film a tema con le Olimpiadi. La cosa che ci fa più male, però, è l’incertezza sulla data di riapertura. Anche perché noi dobbiamo programmare. Però siamo ottimisti. Fino ad ora ce l’abbiamo sempre fatta.
Le differenze tra il Nuovo Cinema Aquila e il resto
Come si può differenziare la proposta del Nuovo Cinema Aquila da quelle di tanti altri festival analoghi che hanno proposto titoli (lunghi e cortometraggi) anche “a distanza”?
Noi abbiamo la fortuna di avere già ospiti, durante l’anno, una serie di festival importanti. Alcuni sono stati obbligati a passare attraverso le piattaforme. Ad esempio Free aquila è stato un grande successo, anche se non è stato in sala con i cortometraggi. Anche perché gli spettatori sono quelli a noi fedeli che ci vogliono vedere riaprire. Io, ad esempio, faccio un festival che si chiama Tulipani di seta nera, dove ci sono cortometraggi e c’è una parte di documentari importante, internazionale. Cercheremo di creare intorno a ciò, tre o quattro eventi dei cortometraggi selezionati. Noi siamo, poi, molto legati al sociale. C’è un documentario in cui ci sono i due fratelli Bennato che durante la pandemia a Napoli hanno fatto un concerto e ne è venuto fuori un documentario.
Quali sono le modalità e lo spirito con i quali il Nuovo Cinema Aquila ha riaperto?
Stiamo lavorando nella direzione di creare degli eventi dove c’è il cinema, ma c’è il sociale e c’è anche il teatro. Portiamo avanti questa idea del Cinema Aquila come luogo dove non solo fai il film, ma fai anche un concerto. Fare un po’ di teatro insieme al film che facciamo vedere è una cosa che funziona. Quella è una strada che vorremmo ampliare proprio nell’idea di pensare alla sala come un luogo dove possono arrivare più persone con interessi diversi. Cerchiamo di far tornare la sala come luogo in cui il cinema incontra di nuovo il mondo. Abbiamo molto quest’idea degli incontri e delle persone che vengono a parlare con qualcuno proprio per ridargli quella cosa che forse gli è mancata in questo periodo. Gli è mancato il momento collettivo. Questa è la nostra diversità.
Le scelte del Nuovo Cinema Aquila
Hai avuto anche esperienze come giurato in festival e rassegne importanti, quindi conosci bene il valore di tutti i film, anche “minori”. Come valuti i prodotti che ti vengono presentati?
Con il programmatore del cinema Domenico Vitucci lavoriamo quest’anno sulla produzione femminile intesa anche come produzione intellettuale. Nel cinema ci sono poche presenze di registe donne e quest’anno volevamo provare a metterle al centro dandogli molto spazio. Le scelte, poi, sono in parte legate a quello che succede intorno a noi anche politicamente. Cerchiamo, quindi, di scardinare questa egemonia maschile del cinema dall’interno. Ovviamente noi abbiamo la pretesa e la voglia di fare anche dei film che vengono definiti “di mercato”, cioè quelli per un pubblico più vasto. L’anno scorso, per esempio, abbiamo fatto molti film di mercato che hanno funzionato. Poi la nostra proposta spazia anche su film in versione originale o documentari. E abbiamo sempre avuto la fortuna di avere la fila a vederli.
Questa pandemia ci ha aiutato a capire molte cose. Quando abbiamo riaperto abbiamo programmato Le mépris (Il disprezzo) di Godard che è stato restaurato. Lo avevamo programmato per due giorni e abbiamo dovuto riprogrammarlo perché avevamo una richiesta enorme. Grazie a questo cercheremo di trovare dei film che la gente vuole vedere e che non trova da nessun’altra parte. Vedere questi film al cinema è un servizio che possiamo dare alle persone e lo facciamo sempre volentieri.
Che tipo di pubblico è quello del Nuovo Cinema Aquila?
È un pubblico esigente, tra studenti e bambini. E il cinema è un luogo del quartiere che deve vivere. Noi cerchiamo di essere anche servizio perché è un quartiere che ci ama e ci vuole vedere attivi, anche semplicemente per ragioni economiche. Quindi il nostro cinema torna ad essere quello che era stato storicamente. Nonostante sia eterogeneo, abbiamo dentro una cinefilia anche esasperata legata al pubblico. A volte ci dilettiamo anche a far vedere una cosa che forse piace solo a noi. Altre volte si creano delle sfide tra chi fa le proposte e chi le guarda. A volte facciamo un buco nell’acqua, altre volte no. In ogni caso siamo contenti quando creiamo pubblico intorno ad un film che non ne aveva. Quello per me è come produrre un film. Lavoriamo anche con le opere prime perché ci interessa far arrivare film che sono stati nei festival e hanno difficoltà ad uscire. E comunque ci sono sempre buoni risultati.
Mimmo Calopresti: regista e direttore artistico
Vorrei approfondire il rapporto tra l’essere regista e l’essere il direttore artistico di un cinema. “Dirigere” un cinema così importante, sotto tanti punti di vista cosa significa? Come si coniugano questi due aspetti?
È molto divertente questa cosa perché a volte porta a discussioni. Una cosa bella è la presentazione al pubblico dei miei colleghi o degli attori che vengono a presentare i film perché spesso si ritrovano con qualcuno che li apprezza e li programma e diventa uno scambio interessante. Anche per me è interessante perché a volte vedo film che non sarei mai andato a vedere. Poi c’è la possibilità di avere l’incontro con gli autori. E poi c’è da dire che al cinema vengono tutti coloro che sono coinvolti nel cinema, non solo registi e attori. Da questo punto di vista essere direttore artistico è funzionale anche per il mio lavoro di regista perché ho possibilità di avere contatti con persone con cui lavoro. Con i ragazzi che lavorano dentro il cinema insieme a me a volte ho delle discussioni perché a loro piacciono delle cose che a me non piacciono. Ma insieme e con utili discussioni scegliamo i titoli.
Inoltre questo lavoro mi obbliga a fare i conti con la realtà di quello che c’è oggi nel cinema italiano. La cosa più difficile oggi è scegliere il cinema italiano che c’è e capire quello che bisogna proporre al pubblico. Non è un momento facile questo. I film escono tutti insieme, le distribuzioni non li rilasciano o li danno ad altri. E si finisce per litigare molto su questo. Ma in questo modo sono obbligato a occuparmi di cinema in tutte le sue parti.
Da La seconda volta al Nuovo Cinema Aquila
Il tuo primo film La seconda volta è un film che, come suggerisce anche il titolo, cerca di dare una seconda possibilità. Ed è un po’ quello che hai vissuto nel senso che l’impegno di direttore artistico arrivato nel momento in cui eri (e sei) comunque un regista affermato è come una seconda vita, una seconda opportunità, una seconda volta appunto.
Questa seconda possibilità è una cosa che mi piace particolarmente. In questo mondo in cui c’è l’idea che se nasci così devi finire così, La seconda volta è un modo per rompere la rigidità della società. E a me il cinema l’ha permesso. La seconda volta è l’idea di avere molte possibilità di fare quello che vogliamo. Questa cosa di lavorare nella sala mi ha fatto tornare indietro al cineclub, quando ero spettatore. Mi ha riportato a quel clima della mia vita. Avere il coraggio di pensare che una cosa così difficile è una cosa così bella mi fa pensare e riflettere.
Rimanendo sempre sul film e sul tuo “ruolo” di regista quello che fa Alberto (Nanni Moretti) è una ricerca di vendetta, mentre quello di Lisa è una sorta di redenzione. Si tratta quindi di una storia che punta in primo luogo sull’impatto sociale. Si può dire che è anche quello che tenti di fare con il tuo cinema e con queste rassegne?
Per me l’idea del cinema come luogo di civiltà dove si risolvono le cose si lega perfettamente con quello che faccio nel cinema. Il cinema ti permette molto di più, di raccontare. Potrei, per esempio, fare un film sul “viaggio” di questo cinema. Noi siamo una struttura sociale, da noi lavorano anche delle persone che assumiamo perché hanno avuto problemi. In questo modo il cinema dà grandi idee e possibilità.
Il cinema indipendente italiano
Circa il 90% dei film italiani che vengono distribuiti nelle sale oggi sono coprodotti da Rai Cinema, che cos’è per te il cinema indipendente in Italia oggi e quali sono gli autori che ancora lo rappresentano?
Qualche giorno fa c’è stata questa cosa della fine della censura, ma in realtà non è finita l’autocensura. Tutti noi siamo sotto un’idea strana di un paese strano. Il posto dove adesso si vede più pubblico insieme a vedere un prodotto sono le fiction di Rai1 che, tutto sommato, si possono definire poco coraggiose, poco creative. L’Italia è un paese che vive sull’autocensura da anni per cui l’indipendenza è una grande complicazione e limitazione. Oggi è il finanziamento che toglie l’indipendenza, i fondi. Quello che il cinema indipendente sta soffrendo oggi è il non avere dentro produttori indipendenti.
La forza di aver fatto un film come La seconda volta è aver avuto Nanni Moretti come produttore indipendente. Qui in Italia è sempre più difficile trovare il produttore indipendente. In qualche maniera questa cosa la stanno riscoprendo le piattaforme che hanno meno legami e sono più libere su cosa raccontare. Non hanno il prospetto del pubblico della tv generalista. Il problema nostro è che tutti pensano a questo famoso pubblico di prima serata o quello che deve riempire le sale. Ma con la pandemia abbiamo capito che c’è un altro tipo di pubblico e che forse ci sarà un altro modo per andare al cinema.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli