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Interviews

La sfida di diventare Machiavelli. Intervista a Davide Iacopini

Classe 1984, originario di Genova, Davide Iacopini è approdato al set internazionale della serie Rai Leonardo, dove interpreta Niccolò Machiavelli. In questa intervista ci racconta quali sono state le sfide più grandi e quali lezioni porta con sé.

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davide iacopini intervista

Classe 1984, originario di Genova, Davide Iacopini veste i panni di Niccolò Machiavelli in un episodio (il numero 6 per l’esattezza) della nuova serie Rai Leonardo*, dedicata all’eccezionale figura di Da Vinci.

Prima di approdare a questo set internazionale però, il giovane attore ligure si è fatto notare in più di un’occasione e mai per caso.

Dopo aver studiato al Teatro Stabile di Genova – oggi noto come Teatro Nazionale – Davide è stato infatti scelto tra i protagonisti di uno dei più importanti titoli italiani di tutti i tempi: Diaz – Don’t Clean Up This Blood.

Il lavoro di Daniele Vicari (leggi qui l’intervista con il regista) non è solo fondamentale perché racconta un pezzo della nostra storia, ma perché ci mette tutti davanti a un’analisi di coscienza tanto necessaria quanto determinante. La pellicola è stata presentata in anteprima mondiale alla 62esima edizione del Festival di Berlino, dove ha vinto il Premio del Pubblico nella sezione Panorama.

A seguire ci sono numerosi progetti e alcuni portano nomi del calibro di Nanni Moretti e Stefano Sollima. Con il primo ha lavorato in Mia madre, mentre il secondo lo ha diretto in Suburra.

Ma anche sul piccolo schermo, Davide Iacopini sa come lasciare il segno. Due ruoli minori, ma comunque nevralgici all’interno della narrazione, a cui dona un’anima e una sensibilità indelebili. Due fratelli senza i quali i protagonisti delle serie in questione sarebbero persi. Stiamo parlando di Non uccidere, in cui interpreta Giacomo Ferro, e Fabrizio De André – Il principe libero, dove porta in scena Mauro De André, fratello maggiore del mitico cantautore.

Tra gli ultimi progetti che lo hanno visto impegnato, Vera de Verdad di Beniamino Catena, presentato al 38esimo Torino Film Festival e ambientato tra l’Italia e il Cile.

In attesa di ritrovarlo quindi alla corte di Cesare Borgia e al fianco di Leonardo Da Vinci, ecco cosa ci ha raccontato Davide, al telefono dalla terrazza di casa sua a Roma, sulla serie Rai e non solo…

 

Ognuno di noi, durante gli studi, si fa delle idee sui personaggi storici che incontra tra le pagine dei libri. Tu che ricordo hai di Machiavelli quando lo hai studiato?

Appena ho preso il ruolo ho ripensato a quando l’ho studiato all’università. Facevo scienze politiche e avevo un professore di storia politica davvero bravo. Mi ricordo che non provavo una particolare simpatia per Machiavelli. Un po’ per il suo doppiogiochismo, un po’ per questo suo andare oltre la morale col fine di raggiungere uno scopo.

Machiavelli è una figura molto interessante perché non si capisce mai da che parte stia, ma puoi star sicuro che abbia un suo obiettivo. Non è un personaggio di facile lettura, ma ciò ha rappresentato una sfida. Non condivido pienamente il detto “il fine giustifica i mezzi”, anche se mi rendo conto che spesso può essere molto utile. Comunque dopo averlo interpretato non è cambiata la mia opinione su di lui, sebbene lo capisca.

Davide Iacopini Machiavelli

Cr. Fabio Lovino

Come sei approdato alla serie Leonardo e al tuo Machiavelli? E avresti forse preferito interpretare un altro personaggio della serie?

Tramite la mia agenzia ho fatto il provino con il regista Dan Percival ed era per un altro ruolo. Mi hanno poi chiesto di vestire i panni di Machiavelli e ho deciso di accettare, perchè quando un personaggio è così diverso da te, come Machiavelli nel mio caso, ti giudichi meno e diventa di più un “gioco”. Per cui no, non mi sarebbe piaciuto interpretare nessun altro.

 

Nella serie Leonardo Da Vinci impara parte del mestiere alla bottega del suo maestro, Il Verrocchio. Quale è la lezione più importante che tu hai ricevuto sul set o a teatro, che sono in un certo senso gli atelier di un attore?

Una delle lezioni più grandi che ho ricevuto è stata all’inizio del mio percorso. Ed è un concetto che cerco di seguire ancora oggi, anche se a volte è difficile. Era il 2006 e frequentavo l’Accademia a Genova (qui il sito ufficiale). Tra gli insegnanti c’era Valerio Binasco.

Mi ricordo che ci diceva sempre di non temere l’horror vacui, la paura del vuoto, l’assenza delle parole, dei movimenti, delle azioni. Non dovevamo avere fretta di far arrivare le cose, ma prenderci invece i nostri tempi, in qualche modo goderci il momento, affinchè il tutto avvenisse in maniera naturale, e quindi più potente.

Ovviamente il discorso vale al cinema, dove col montaggio si possono tagliare i cosiddetti “tempi morti”. Non ho mai avuto occasione di lavorare con Binasco in seguito, ma mi sarebbe piaciuto perché lui ti spinge a dare il massimo.

 

È la prima volta che affronti un set internazionale? Che esperienza è stata?

Questo non è il mio primo set internazionale, perché anche Vera de Verdad (seppur in una scala più piccola) e Diaz lo erano, ma è la prima volta che recito in inglese. Con accento British. Il discorso per la lingua è lo stesso come per i personaggi: fare qualcosa di diverso è una sfida, ma anche uno stimolo.

Cr. Francesco Baudo

Nonostante io abbia un buon inglese, il livello di concentrazione era altissimo sul set. Un set enorme, con centinaia di persone al lavoro, trenta camion di attrezzature e materiali. Inoltre ho impiegato del tempo per doppiarmi, non essendo un professionista. È stata una bellissima esperienza anche quella.

 

In Leonardo viene espresso un concetto molto bello, sul “trasformare in artista un sognatore”. Chi ha trasformato in artista il sognatore che era Davide?

La noia, o meglio la nebbia. (ride, ndr) Considera che facevo il pendolare a Pavia, dove studiavo. Ogni giorno mi facevo un’ora e mezza per andare e un’ora e mezza per tornare. E nel tragitto vedevo solo nebbia. Stavo diventando grigio anche io, fino a quando una mia amica mi ha suggerito di tentare la recitazione. E così ho iniziato. Nel recitare per me la cosa fondamentale, la base vera, è l’ascolto. Perché poi è un lavoro di collaborazione.

 

Leonardo Da Vinci dipinge Ginevra de’ Benci con dei libri in mano, perché sono l’unica cosa che la rende felice. C’è qualcosa, qualche oggetto, che rende felice te?

Non sono un amante degli oggetti, sono molto specifico quando compro qualcosa. Ma c’è un libro che vorrei tanto rileggere e che penso sia tra i miei preferiti in assoluto: Il vagabondo delle stelle di Jack London. Mi ricordo che quando lo lessi la prima volta mi trasmise tanta ansia quanta felicità. La storia di questo uomo imprigionato che viaggia con l’immaginazione, uscendo dal suo stesso corpo e vivendo altre avventure, mi colpì tantissimo. E credo si adatti anche molto bene alla situazione che stiamo attualmente vivendo.

Davide Iacopini Machiavelli

Cr. Fabio Lovino

So che ami viaggiare, che sia per lavoro o per piacere. Qual è il viaggio che ti ha arricchito di più e quello che tieni ancora nel cassetto?

Tra i viaggi che mi sono rimasti nel cuore ce ne sono sicuramente due, fatti insieme alla mia compagna e ad altri amici. Il primo è quello in Messico, nella Penisola dello Yucatan, dove a livello umano sembra di stare in Sud Italia. La gente è calorosa e accogliente e ho visto dei luoghi che non dimenticherò mai.

E il secondo è il Giappone, i cui abitanti sono forse proprio agli antipodi rispetto ai messicani. Gentilissimi ed educati, ma in qualche modo chiusi in loro stessi, per così dire sempre “a braccia conserte”. Ricordo che, anche quando camminavi in mezzo alla folla, nessuno ti sfiorava e avevi come la percezione di essere solo, seppur circondato da esseri umani. Una sensazione stranissima. E proprio in Giappone ho conosciuto un uomo a cui mi sono molto affezionato e a cui ho “preso in prestito” il nome per darlo a mio figlio (come secondo nome). Quando lo ha saputo si è commosso.

Invece tra le prossime mete che mi piacerebbe raggiungere c’è senza dubbio la Scozia. Anche se adesso, a dire il vero, vorrei viaggiare e basta… Me ne andrei anche a Terracina! (ride, ndr.)

 

La tua è una filmografia molto ricca e variegata, ma puoi svelarci quali sono stati per te il set più divertente e quello più difficile o impegnativo?

Il set più divertente credo sia stato quello di Volevo fare la rockstar, ero circondato da amici, come Valentina Bellè, con cui avevo lavorato poco tempo prima, e anche grazie all’ottimo rapporto che abbiamo instaurato con il regista, Matteo Oleotto. Mentre tra i set più impegnativi citerei senza dubbio Leonardo, per cui ha influito anche il fatto di esserci arrivato in corsa. Le riprese erano iniziate da un po’ e il gruppo si era già formato, ed entrare così “a gamba tesa” non è mai facile.

Ma anche Vera de Verdad, che al contrario è stato realizzato da una troupe piccolissima e, a differenza della maggior parte dei set in cui ognuno ha ruoli prestabiliti, qui tutti aiutavano nel lavoro degli altri reparti. Io per esempio mi sono ritrovato a guidare un pick-up carico di materiale nel deserto di Atacama (e mi è piaciuto molto!). È stata un’esperienza importante, lo abbiamo fatto con amore, per la passione e non per il compenso.

 

Per cosa vorresti essere ricordato, non a livello lavorativo?

Per aver lasciato le cose meglio di come le ho trovate. (ride, ndr.) Forse sulla Smemoranda lessi questo famoso detto dei nativi americani che recitava “Non ereditiamo la terra dai nostri avi, la prendiamo a prestito dai nostri figli. Nostro è il dovere di restituirgliela”. Ecco, oggi più che mai, dal momento che sono padre, mi ritrovo in questa affermazione.

 

*La foto in evidenza è di Luca Carlino.

*La serie Leonardo, composta da otto episodi, è stata creata da Frank Spotniz Steve Thompson. Prodotta da Lux Vide con Rai Fiction, Big Light Productions, in associazione con France Télévisions, RTVE e Alfresco Pictures, co-prodotta e distribuita nel mondo da Sony Pictures Television.

*Salve sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.

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