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Dopo Mezzanotte

Fulci talks è l’indispensabile aggiornamento de La notte americana.

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FULCI TALKS

Il mio negozio, primo, vero pomeriggio di primavera.

Colonna sonora sonora: Send me a postcard degli Shocking Blue.

Si, lo ammetto, in questi ultimi mesi sono un po’ una primula rossa!

Al di là della mia naturale attitudine al ritardo che cerco sempre di giustificare malamente con impegni di lavoro, devo proprio dirlo che il Covid-19 è stata una vera mazzata per le mie velleità giornalistiche.

Insomma, moltissimi miei colleghi si trovano a loro agio con il lavoro a distanza, alcuni lo preferiscono addirittura, potendo visionare nell’intimità della loro casa il materiale da recensire.

Ma per me, redattore della vecchia scuola che oltre a non avere né social, né smartphone, prende ancora gli appunti delle interviste sul caro vecchio taccuino, la chiusura dei cinema, la sospensione di ogni evento in presenza e l’impossibilità di andare a cercare persone e fatti assurdi di persona è stata una vera catastrofe.

In fin dei conti guardare attraverso il filtro di uno schermo un lavoro, un evento o una qualunque situazione che in altri contesti avrei giudicato più che interessanti è un autentico ragnarok per la mia creatività.

Insomma, come faccio ad asfaltare un film se non sento gli umori della sala?

Per non parlare delle interviste!

Prendere in contropiede qualcuno via mail (no… vabbè, la videoconferenza è oltre Giove per me!) è praticamente impossibile.

Per quanto tu possa affilare le tue domande il tizio dall’altra parte dello schermo avrà sempre il tempo di sistemarsi la risposta in modo da uscirne bene.

E questa è una vera iattura per un animo maligno come il mio, sempre in cerca di personaggi e situazioni assurde da dare in pasto al popolo bruto (cioè voi) per sentirsi un uomo migliore.

E anche a voler parlare bene di qualcuno o qualcosa, la distanza è un moltiplicatore di scuse che annichilisce i miei buoni propositi.

Insomma tutto questo per dire che in tempi di pandemia trovare l’ispirazione giusta è una vera impresa.

Ci vorrebbe qualcosa a cui non riesco proprio a dire di no!

E giustamente il grande capo che conosce bene i suoi polli sa come solleticare i miei bassi istinti e mi propone qualcosa a cui non posso resistere.

E cosa può smuovermi dal pacifico nirvana intellettuale in cui stabulo praticamente dall’inizio dell’apocalisse più noiosa della storia delle apocalissi?

Ma parliamo di Lucio Fulci ovviamente!

Con l’ottimo lavoro Fulci talks della veterana Antonietta De Lillo, che gli amanti del poeta del macabro hanno imparato a conoscere ed apprezzare per l’imprescindibile La notte americana del Dottor Fulci del 1994.

Va detto che questo è uno di quei casi di cui parlavo prima, in cui maledico le restrizioni al movimento, per non avere la possibilità di un faccia a faccia diretto con la regista e tempestarla di domande.

Quindi ho il dovere di avvisarvi che molte delle cose che dirò saranno mie deduzioni estrapolate in parte dalla mia (sempre troppo povera) conoscenza dello scibile fulciano e in parte dalla memoria che ho de La notte americana.

Già all’epoca quello fu certamente il documentario più completo e sincero su Fulci.

A 25 anni dalla scomparsa di Lucio, la De Lillo torna alla carica e ci stupisce tirando fuori dal cilindro un lungometraggio di un’ora e venti che completa e amplia il precedente lavoro, con estratti e integrazioni del precedente girato.

Gli appassionati potranno desumerlo dal fatto che la location è la stessa e Fulci appare sempre in sedia a rotelle, quindi è lo stesso anche il periodo.

In mancanza di una scheda tecnica del film posso fare sfoggio delle mie reminiscenze accademiche per azzardare il formato, un betacam riversato in digitale.

Ma non tragga in inganno l’essenzialità delle riprese che sono compensate dalla ricchezza delle risposte che arrivano dirette alle domande poste da voci fuori campo.

Appollaiato sul suo trono d’acciaio, tipico del periodo post-intervento chirurgico, ci appare un Fulci senza filtri che come un oracolo spazia in argomenti che vanno dalla concezione estetica pura, alla musica, fino alla navigazione a vela.

Il tutto senza risparmiare ferocissime stoccate ai colleghi e soprattutto a quella critica che all’epoca fece di tutto per demolirlo e che ora non può che soccombere agli strali della vendetta postuma e della giusta nemesi artistica che Lucio il Truce scaglia come Giove Tonante, assiso sull’Olimpo del suo ormai Intoccabile mito.

Non nego che non sono riuscito a trattenere le lacrime pensando alla bile di tutta quell’intellighenzia radical chic per la quale un film era da considerarsi autoriale solo se palloso (si! Ho detto proprio palloso! E allora?).

Figlia degenere di una pessima sinistra degenerata, troppo spesso immemore dell’assunto gramsciano che definisce la verità come atto rivoluzionario e pone come primo dovere di chi vuole spiegare il reale, come l’arte, quello di dire appunto la verità.

Senza il comodo paravento di una male interpretata ideologia.

E questo al pari di Fulci, non lo dico da persona di sinistra, ma di estrema sinistra!

È colpa di questi Soloni troppo delicati per occuparsi di un cinema di genere che consideravano troppo popolare se oggi ci ritroviamo con le lagne di Pieraccioni e le trivialità gratuite (e bollite) dei Boldi come massima espressione di quello che una volta era il Cinema Italiano.

Il momento in cui il lavoro della De Lillo mi fa però tremare le vene dall’emozione è nel duello a distanza e postumo con l’eterno rivale.

Quel Dario Argento, una volta immenso e che ironia della sorte doveva essere il produttore del suo ultimo film: La maschera di cera.

Matrimonio che destino non volle fosse consumato.

Ad una domanda diretta su Argento, la camera si stringe sul sorriso sornione, appena intellegibile da sotto il barbone di Lucio il Truce e secca arriva la sentenza: “Io non posso copiare Argento… perchè io sono una leggenda”.

La digressione continua con un’esposizione confusa solo all’apparenza dalla quale emerge il manifesto politico, estetico e intellettuale della poetica fulciana, steso nella forma più confacente a questo genio controverso, quella dell’aneddoto.

E il filo dei ricordi si annoda in una sequela di piccole storie che vanno a comporre lo sfaccettato mosaico di una personalità complessa, raccontata dalla viva voce del protagonista, con lucidità, tanta autoironia e un pizzico di indulgenza verso se stesso.

Intendiamoci, quando Fulci dice che abbandonò il set di Zombi 3 per il modo in cui la produzione trattava le maestranze filippine, io ci credo pure.

Però per amor di verità avrebbe anche dovuto aggiungere che mollò il film perché era una boiata pazzesca che a girarla avrebbe svilito qualunque regista.

Figuriamoci una leggenda!

Nessuno gli avrebbe dato torto.

In conclusione se La notte americana fu per completezza la Treccani sull’universo del poeta del macabro, questo bellissimo Fulci talks ne è l’indispensabile aggiornamento di lusso da guardare tutto d’un fiato in successione con il precedente.

Da redattore e da sincero ammiratore di Fulci non posso che essere felice di aver avuto l’opportunità di guardare in anteprima questo lavoro di Antonietta De Lillo, augurandomi di avere la possibilità, quando sarà nuovamente possibile, di incontrarla di persona per parlare del suo lavoro con l’approfondimento che merita.

Colonna sonora: Revolution Action dei Atari Teenage Riot.