Calls, la nuova serie di Apple TV+, riprende le basi da una nota produzione francese creata da Timothée Hochet. La versione americana, prodotta da Studiocanal e Bad Hombre, è diretta invece da Fede Álvarez, conosciuto per il remake de La casa e per Man in the Dark.
Calls è una miniserie di nove episodi di circa 15-20 minuti ciascuno. Ogni storia viene narrata senza l’utilizzo di riprese reali, ma solo per mezzo delle conversazioni telefoniche tra i vari personaggi della serie. Calls li unisce in un unico grande racconto, dove il mistero e il caos si intrecceranno con i contrasti e le crisi di ognuno di loro. Le voci inglesi sono di attori conosciuti dal grande pubblico, da Lily Collins, Rosario Dawson, a Pedro Pascal e Aubrey Plaza, capaci di trasportare chiunque li ascolti nel proprio cerchio delle emozioni, usando solo il proprio timbro vocale.
Calls, la recensione
A questa serie è bastato il primo, breve, episodio per rivelare la sua vera natura. Calls è un prodotto che incalza e muta in continuazione,sfidando i suoi e i nostri limiti. Il primo impatto è soprattutto visivo, perché rinuncia subito a porre dei filtri all’immaginario del pubblico, che deve mettere in discussione per un momento il suo metodo di fruizione classico. Si è abituati a essere accompagnati dalle immagini quando si tratta di un film di finzione o degli episodi di una lunga e appassionante stagione, ma lo spazio, in questo caso, non è il centro gravitazionale della serie di Timothée Hochet, che ha deciso che le ambientazioni e i volti dei protagonisti possono fluttuare come i nostri pensieri, cambiando a seconda di un preciso punto di vista. Il tempo è invece il vero fulcro di tutto il racconto, dove si intrecciano storie apparentemente distanti, ma che in modo o nell’altro sembrano interconnesse da ciascun evento che si verrà a creare a seguito delle loro azioni.
La conversazione
Non poteva uscire in un momento migliore di questo, in cui lo spazio, concentrato su dei luoghi sempre più stretti, non è più determinante rispetto allo solo scorrere del tempo, che nel caso di Calls viene percorso lungo i segnali delle conversazioni dei singoli personaggi. E questo, inevitabilmente, va a influire sul carico di tensione che si viene a creare lungo tutto il racconto percependo tutta la carica emotiva che ognuna di queste voci riesce a trasmettere in ogni episodio. I dialoghi vengono ripetutamente interrotti da delle interferenze che avranno delle serie ripercussioni sulle loro vite, e lo spettatore diventa quasi co-partecipe di questo dramma non solo privato, ma anche esistenziale, visto che al centro non ci sono le singole vite, ma quelle degli altri. E l’utente, un po’ come Harry Caul all’inizio de La conversazione, ascolta senza mai agire.
Il tempo dell’ascolto
Calls prende a prestito il primo esperimento sociale avvenuto attraverso le onde sonore, il programma radiofonico La guerra dei mondi interpretato da Orson Welles, e lo trasla nel mondo moderno, dove i dialoghi realistici che mostrano ogni fragilità umana si uniscono a quello di un mondo surreale in cui più multiversi escono dai propri binari temporali, dove non importa più il dove, ma quando tutto questo accade, ispirandosi alla teoria del tempo ciclico o a spirale dove gli istanti si possono in qualche modo ripetere (come ben si è visto in tantissimi racconti come Tenet o Edge of Tomorrow). La novità, se si può definirla tale, è lo storytelling, dove l’ascolto viene prima della vista che qui serve solo da supporto con delle infografiche che emulano le onde elettromagnetiche e mutano insieme agli eventi. Da segnalare le interpretazioni degli attori, che dimostrano quanto sia importante la voce quando si tratta di esprimere i dolori e le sofferenze di una vita, che corre su un filo sottilissimo, quello del tempo.
Dove vedere Calls
Calls di Fede Álvarez si può vedere iscrivendosi alla nuova piattaforma streaming Apple TV+, che offre agli utenti una ricca selezione di prodotti originali che vanno dai film alle serie televisive.
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