Adam, il primo lungometraggio della regista marocchina Maryam Touzani, è stato presentato in concorso al 30° FESCAAAL nella sezione “Finestre sul mondo/Donne sull’orlo di cambiare il mondo”.
Adam: la trama
Samia (Nisrin Erradi) è una giovane donna incinta. Sola, senza una casa, a poche settimane dal parto, bussa alle porte offrendosi per dei lavoretti in cambio di ospitalità.
Anche Abla (Lubna Azabal), una vedova con una figlia di otto anni che gestisce un negozio di pane, inizialmente rifiuterà di accogliere Samia anche solo per una notte. Poi, dietro insistenza della figlioletta Warda (Douae Belkhaouda) e colta da un moto di pietà nei confronti della ragazza, accetterà di ospitarla per una notte presso la sua dimora.
Il carattere di Abla si è indurito nel corso degli anni. Da quando ha perduto il marito per un incidente sul lavoro. Anche per questo non riesce ad accettare la presenza di Samia. Se le consente di trascorrere qualche giorno in più a casa sua è solo perché, anche se non lo manifesta esteriormente, è mossa da compassione nei confronti della giovane.
Samia, dal canto suo, attende la nascita del figlio già sapendo che lo darà in adozione subito dopo il parto. Perché non vuole condannare il nascituro a una vita da reietto in una società piena di pregiudizi, che gli apporrebbe il marchio di figlio senza padre nato da una relazione peccaminosa.
Tra donne sole
Tutto il film è giocato sul rapporto e sui caratteri opposti delle due donne. Abla è una persona richiusa in sé stessa, sola e ferita dalla morte del marito. Tutta la sua vita ruota ormai intorno alla panetteria e alla figlia Warda. Respinge chiunque possa scardinare la corazza che si è costruita addosso. Tenta di respingere Samia, così come, allo stesso modo, fa con un uomo che la corteggia in maniera gentile.
Poi, lentamente, la tensione fra Abla e Samia inizierà a sciogliersi in un rapporto di reciproco rispetto che sfocia ben presto in amicizia.
Tutto questo grazie alla piccola Warda che, con il suo sguardo, il sorriso e la complicità che da subito instaura con Samia, permetterà alle due donne di stabilire un contatto.
Warda è il personaggio chiave del racconto. I suoi occhi sono, di fatto, gli occhi della regista che, con questo film scritto in prima persona insieme al marito Nabil Ayouch, propone al pubblico un episodio realmente accadutole da bambina, quando la madre aveva accolto in casa una donna incinta di otto mesi, sola e disperata.
Quando Abla inizierà a rendersi conto del dramma interiore che sta affrontando Samia, combattuta fra la maternità che volge al termine e la prospettiva di abbandonare il figlio appena nato, farà di tutto per convincere la ragazza a tenersi il figlio.
Ma la decisione spetterà solo a Samia. In ogni caso, qualunque sarà, entrambe si ritroveranno arricchite da un profondo sentimento di solidarietà e affetto, sancito dallo sguardo di tenerezza, riconoscenza e amore che Samia lancerà ad Abla e a Warda che dormono abbracciate nello stesso letto.
La regista confeziona un film drammatico ed emotivamente coinvolgente
Maryam Touzani è abile a confezionare un film drammaticamente vero senza mai scadere nel melodramma. Inserendo alcune scene che colgono in pieno il tormento interiore delle protagoniste e che toccano profondamente lo spettatore
Piccole cose che rendono estremamente poetica – e molto femminile – l’opera della Touzani.
Samia che si spalma di olio il pancione. La piccola Warda che le chiede di poter mettere l’orecchio sul ventre per ascoltare il bambino scalciare e che, così facendo, fa nascere in Samia la reale consapevolezza della vita che porta in grembo.
Le mani di Abla e Samia che si toccano impastando il pane.
O, ancora, una vecchia canzone riprodotta da una musicassetta che Abla non aveva più ascoltato dai tempi della morte del marito e che le permetterà di diradare la cappa di dolore che la avvolge.
Adam, che prende il titolo dal nome dato al figlio di Samia, è un film sulla forza delle donne nell’affrontare la difficoltà a essere madri e sole in un una realtà estremamente maschilista e piena di pregiudizi come quella marocchina. Esaltando il valore dell’amicizia e della solidarietà femminile.
La fotografia di Virginie Surdej ammanta di una luce calda e poetica i vicoli della Medina di Casablanca, dove il film è girato.
La macchina da presa indugia sui volti e sugli sguardi delle due protagoniste, impegnate a donare ai loro personaggi quella forza interiore che le caratterizza.
Lubna Azabal (Exils, Paradise Now, La donna che canta) è molto brava a esternare sul proprio viso la durezza di Abla che, piano piano, si trasforma nella dolcezza scaturita dal rispetto e dalla riconoscenza nei confronti di Samia.
La giovane Nisrin Erradi è altrettanto capace a dare al proprio personaggio la paura e la tristezza derivanti dall’angosciosa decisione che dovrà prendere.
Un bel film su due donne in fuga: dalla vita e dalla ingiustizia nei confronti delle donne radicata nella società marocchina.
Abla e Samia riusciranno a superare il dolore e a tornare a vivere grazie alla loro forza e alla loro profonda umanità.