Dal palco allo schermo: il teatro al cinema è ancora possibile?
Dal Kammerspiel tedesco al recente fenomeno che risponde al nome di Hamilton, passando per la tradizione nostrana, andiamo a scoprire quanto il cinema e il teatro abbiano in comune e a quali forme artistiche "ibride" abbiano dato inizio.
Cinema e teatro sono due forme di arte fondamentali per la crescita di una cultura. Specchio di qualsiasi realtà e contesto, entrambi hanno origini lontane. Ed è anche grazie alla loro evoluzione se oggi possiamo vantare una storia collettiva dal valore inestimabile.
Cinema e teatro | Similitudini e differenze
Simili per certi versi, seppur assolutamente indipendenti l’uno dall’altro, il cinema e il teatro hanno dato il via a uno scambio continuo, dal quale ne sono usciti arricchiti e, in qualche modo, trasformati.
Ciò non vuol dire che abbiano perso la loro autonomia o l’identità, ma semplicemente che i parametri su cui valutare un prodotto fanno oggi riferimento anche al confronto tra i due mezzi.
Ecco allora che si sente parlare di pellicole dall’impianto teatrale e spettacoli piuttosto cinematografici. Pensiamo a Carnage(2011) di Roman Polanski o a un qualsiasi musical di Broadway. Proprio in questi casi la commistione appare più evidente, poiché alcuni rifacimenti sono la copia esatta di quanto esibito sul palco. Ma come cambia la fruizione?
Un conto è il pubblico dal vivo, con gli applausi, le risate, i sospiri, l’energia che continuamente stimola gli attori in scena. Un altro è il tempo del grande schermo, per così dire sospeso, solitario, impossibilitato a modificare null’altro se non le proprie sensazioni.
Tutto ciò non inficia però il valore o la portata di un’opera, teatrale o cinematografica che sia, ne definisce solamente i tratti.
Esempi di teatro al cinema: Carnage, The Party e La cena dei cretini
Ma torniamo alla questione principale, ossia se il teatro al cinema sia ancora possibile. Di esempi utili e imprescindibili ce ne sono numerosi.
Lo stesso Carnage, di cui sopra, mostra in maniera lampante che la risposa al quesito sarebbe SÌ. Polanski è infatti riuscito a convogliare in 80 minuti di durata tutti quegli elementi facenti parte del mezzo teatrale: una location fissa (per quanto composta di varie stanze), un piccolo gruppo di attori e una serie incessante di dialoghi. Girato in tempo reale e quasi fosse un unico piano sequenza, il film simula la fruizione teatrale, dal momento che lo spettatore si trova a concentrare tutta la sua attenzione solo ed esclusivamente sui discorsi e sulle dinamiche interpersonali.
Discorso simile vale per il più recente The Party (2017) di Sally Potter. Cambiano la trama e i rapporti tra i protagonisti, ma non la sostanza del progetto. Al centro di entrambi stanno infatti la parola, i gesti, i personaggi.
Esistono poi casi in cui la pellicola non è altro se non la mera trasposizione della pièce teatrale, come per esempio La cena dei cretini (1998) di Francis Veber, ispirato a un’opera dello stesso regista. Le dîner des cons ha trovato larga fortuna anche in altre nazioni, venendo adattato sui palchi d’Irlanda, di Londra, e sugli schermi statunitensi, cinesi, cechi, greci e indiani. Si tratta però di un’operazione nata sulla spinta del successo dello spettacolo teatrale. Un’operazione di sfruttamento commerciale piuttosto che di pura vena artistica.
Il Kammerspiel come fonte di ispirazione
Pare che l’ispirazione provenga da un movimento artistico (circoscritto al cinema e al teatro) tedesco degli anni Venti, il Kammerspiel. Il significato letterale del termine è “recitazione da camera” ed è l’antitesi dell’Espressionismo.
L’attenzione si concentra su un’analisi intimistica e psicologica, e richiede una vicinanza fisica tra attori e spettatori. La macchina da presa in questo può e aiuta moltissimo, avendo la possibilità di seguire, anche da vicino, le figure in campo.
Altri elementi fondanti e fondamentali sono la verosomiglianza, la semplicità – per cui sono banditi eccessi ed esagerazioni sceniche – le sfumature.
Un impianto teatrale per le nevrosi di Woody Allen
Il cinema di Woody Allen presenta alcune delle suddette caratteristiche, forte della precedente esperienza dell’autore in ambito teatrale.
Quante volte i film di Allen sono stati considerati cervellotici o troppo parlati. Niente è un caso, soprattutto quando si tratta del cineasta originario di Brooklyn.
Le sue opere rispecchiano il suo essere, desideroso (e avido) com’è di dare libero sfogo alle paure, alle nevrosi, ai pensieri che lo attanagliano.
È così che trova un suo spazio, creandoselo personalmente, scegliendosi una sua incarnazione sullo schermo e, talvolta, sfondando la cosiddetta quarta parete.
Le figure di Allen parlano, parlano e parlano. E nel mentre passeggiano. La macchina da presa le segue, spesso da vicino, canalizzando l’attenzione sui loro dialoghi e sui monologhi e non disperdendo energie altrove. Poco contano le ambientazioni, a meno che non fungano in qualche modo da spunto per la conversazione. Pensiamo a Io e Annie (1977), a Mariti e mogli (1992) o a Melinda e Melinda (2004).
Originali e a loro modo unici sono invece Birdman(2014) e Dogville (2003). Sia il lungometraggio scritto e diretto da Alejandro González Iñárritu, sia il lavoro di Lars Von Trier assumono le sembianze di una sorta di living stage. Seppur in maniera totalmente agli antipodi, il set diventa un palcoscenico “vivente” nel quale agiscono i personaggi, relazionandosi tra loro o con lo stesso pubblico.
Variante sul tema: il musical
Un’altra variante sul tema è invece rappresentata dai musical. Oggi più che mai, i celebri spettacoli di Broadway (e non solo) hanno ottenuto i loro rifacimenti cinematografici.
Ne bastano un paio per dare l’idea: Les Miserables (2012) di Tom Hooper e West Side Story (1961) di Jerome Robbins e Robert Wise – del quale addirittura Steven Spielberg sta lavorando a un remake (qui la news). Se nel primo titolo possiamo trovare reminiscenze dell’opera lirica classica, nel secondo è l’opera contemporanea a venire in mente.
Cambiano quindi un bel po’ di cose, a partire dal lavoro sulle scenografie, sino ad arrivare all’utilizzo di coreografie elaborate e canzoni che mandano avanti la narrazione.
Scompare ovviamente quell’imprinting minimalista e naturale, lasciando il posto allo sfarzo, alla spettacolarità, alla musica.
Quali siano i motivi per cui un musical a teatro funziona e uno al cinema no, dipende da tanti, troppi fattori e variabili. Uno su tutti sicuramente la percezione che si ha e si può avere dal vivo, profondamente differente da quella filtrata da uno schermo. L’energia si trasmette dal palco alla platea in maniera così potente e ramificata da non poter eguagliare le sensazioni regalate da uno schermo, soprattutto quando si è davanti ad artisti e a spettacoli che ne fanno tesoro.
Interessante però osservare come il passaggio tra l’uno e l’altro mezzo sia a doppio senso, per cui è accaduto anche il contrario, ossia che la pellicola abbia ispirato il musical.
Billy Elliot (2000) di Stephen Daldry ha dato vita a una serie di show di enorme successo, tanto che sono giunte sino a noi, quando il Teatro Sistina ha ospitato il musical firmato da Massimo Romeo Piparo.
Da Orson Welles a William Shakespeare
Uno degli elementi imprescindibili del teatro, spesso trasposto sul grande schermo, è la maschera. Giungiamo così a un tipo di cinema diverso, incredibilmente a metà strada tra l’intimismo e l’espressionismo.
Orson Welles ne è uno dei massimi rappresentanti. Il camuffamento e il trucco eccessivo fanno parte di un suo percorso identitario. L’obiettivo è quello di nascondere se stesso per far emergere il personaggio. Da Quarto potere (1941) a Macbeth (1948) e a Otello(1952).
Ecco allora che un impareggiabile autore quale William Shakespeare irrompe tra le nostre pagine, come è giusto che sia, essendo una delle più importanti fonti di ispirazione per i posteri.
Gli adattamenti delle sue opere non si contano. Dalle teen comedy stile 10 cose che odio di te (1999) ai film d’animazione (Gnomeo eGiulietta, 2011), dai documentari alla Cesare deve morire (2012) a titoli più “convenzionali” e commerciali (Il re, 2019).
Kenneth Branagh si piazza in pole position con i suoi cinque lavori da regista basati sulle opere shakespeariane, e altrettanti da solo interprete. L’influenza che su di lui ha esercitato il bardo emerge addirittura in un cinecomic Marvel come Thor (2011).
Cinema e teatro | Il National Theatre Live
Sul palcoscenico Shakespeare l’ha sempre fatta da padrone, ma di particolare rilevanza ed interesse è il caso del National Theatre Live. Il Royal National Theatre di Londra ha istituito nel giugno del 2009 il progetto.
Mentre sul palcoscenico prende forma la storia, le performance degli attori vengono riprese live, per poi essere mandate in onda successivamente, su precisi canali e palinsesti.
Il Coriolanus(2014) con Tom Hiddleston e il Frankeinstein (2011) con Benedict Cumberbatch e Johnny Lee Miller sono infatti stati distribuiti da Nexo Digital al cinema, per due uscite evento. Le registrazioni avvengono anche in altri teatri, non solo nel National Theatre.
Credit: Pete Jones/ArenaPAL
E intanto si va avanti con il nuovo Romeo e Giulietta (2021), in programma su Sky Arts (4 aprile) e PBS (23 aprile). A vestire i panni degli innamorati, il Principe Carlo di The Crown (qui la recensione della quarta stagione), Josh O’Connor, e la protagonista di Sto pensando di finirla qui, Jessie Buckley.
Lin-Manuel Miranda e il fenomeno di Hamilton
Un’occasione unica e imperdibile per chiunque ami il teatro e non abbia la possibilità di recarsi fisicamente nei luoghi degli spettacoli.
Per questo dobbiamo ringraziare anche la Disney che ha deciso di distribuire un fenomeno quale Hamilton (2020) di Lin-Manuel Miranda, comprandone i diritti per una cifra che si aggira attorno ai 75 milioni di dollari.
A causa dello scoppio della pandemia, il musical – vincitore del Premio Pulitzer per la drammaturgia e integralmente registrato dal vivo – ha visto la luce sulla piattaforma Disney+.
E ora si attende il prossimo appassionante lavoro di Miranda, In the Heights – Sognando a New York, di cui è stato rilasciato il primo trailer.
Anche il piccolo schermo attinge dal teatro
Da non sottovalutare anche l’apporto dato dalle serie televisive all’argomentazione cinema-teatro. Osserviamo in particolare le caratteristiche della sitcom: pochi ambienti (per lo più fissi) e un tornado di battute, da cui derivano il divertimento e l’attaccamento ai personaggi.
Inoltre la struttura con gli attori su un palcoscenico e un pubblico dal vivo che fornisce applausi e risate corrobora questa tesi della commistione tra i mezzi.
Tanto per citare alcuni titoli, Lucy e io, The Big Bang Theory, Friends, 2 Broke Girls. Lo stesso amatissimo WandaVision ha permesso a tanti appassionati e curiosi di partecipare alla registrazione del primo episodio. Viene così replicato un meccanismo teatrale che dà vita a un vero e proprio genere televisivo.
Citiamo infine il caso di Glee, in quanto il gruppo di giovani protagonisti calca la scena in numerose occasioni, portando il musical sul piccolo schermo. Lo stesso hanno osato prodotti seriali come Buffy – L’ammazzavampirie Grey’s Anatomy (qui la recensione della sedicesima stagione), seppur non in maniera reiterata ma per un singolo (memorabile) episodio.
Ma anche per i più piccoli abbiamo esempi simili – soprattutto tra i palinsesti Disney e Nickelodeon – cosicchè entrino inconsapevolmente a contatto con un tipo di fruizione che ha che fare col teatro. La presenza di quest’ultimo si può percepire quindi in una infinità di situazioni, anche quando non sussiste un collegamento diretto.
Dal palco allo schermo | Capitolo Italia
Per quanto riguarda l’Italia, ricordiamo che il nostro Bel Paese ha una tradizione secolare in ambito teatrale. Motivo per cui la preparazione di un grande attore non può prescindere da un percorso che abbia almeno un paio di tappe sul palcoscenico.
Non a caso esistono tantissime scuole, accademie, pensate e strutturate apposta per dare una formazione quanto più completa possibile. Particolarmente rinomati sono l’Accademia Silvio D’Amico e il Centro Sperimentale di Cinematografia, ma il territorio italiano è costellato di ottimi centri per la recitazione. Come la scuola Tutti in scena, fondata da Claudio e Pino Insegno a Roma, e la Civica scuola di teatro Luchino Visconti, a Milano.
L’insegnamento dei grandi
Tra i più grandi nomi che saltano alla mente, citiamo Vittorio Gassman, mattatore supremo della scena, Antonio De Curtis in arte Totò, la cui mimica è assolutamente irreplicabile, Alberto Sordi, imitatore e comico di altissimo livello. Tre artisti in rappresentanza di quella che è forse la fucina culturale più prolifica al mondo.
Da loro hanno tratto insegnamenti, gestualità, caratteristiche numerosi attori a venire, da Carlo Verdone a Sergio Castellitto, passando per Toni Servillo.
Se per alcuni il passaggio dal palco allo schermo è avvenuto in maniera fluida, naturale, per altri non è stato così immediato. Le ragioni possono variare ed essere imprevedibili, ma non inficiano certo il valore di un artista.
Differente è invece il caso in cui nomi noti nel panorama cinematografico si cimentino col teatro, fungendo spesso anche da traino per il pubblico che già li conosce. Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Anna Foglietta, Valentina Lodovini, Ambra Angiolini.
Presenze forti e costanti della cinematografia italiana, capaci di sorprendere ed emozionare grazie all’energia e alla passione, che possono sprigionarsi solo dal vivo.
Cinema e teatro: da Alessandro Gassman a Mario Martone
Spesso poi l’impostazione derivante dal teatro emerge nella costruzione e nella resa dei personaggi. Ne sono un esempio i lavori e le prove di Lina Wertmüller, Mariangela Melato, Lina Sastri e Laura Morante.
Ma anche lo stesso Alessandro Gassman, con quel tono di voce e quella presenza scenica così imponenti. E proprio da Gassman “junior” è partita una collaborazione importante e pregevole, con il Teatro Bellini di Napoli.
Da Nord a Sud, i palcoscenici d’Italia hanno ospitato alcuni degli spettacoli più emozionanti di sempre, basati su capolavori del cinema quali Qualcuno volò sul nido del cuculo e Fronte del porto. Protagonista di entrambe le pièce, Daniele Russo, talento indiscusso e co-direttore artistico del Bellini (assieme ai fratelli Gabriele e Roberta).
Mario Martone è un altro grande autore che si muove agilmente tra i due mezzi, avendo diretto numerosi lungometraggi, e opere come La traviata, andata in onda in prima serata su Rai 3 e disponibile su RaiPlay (clicca qui per vederla).
Il palcoscenico è il nido di alcune star della tv
Con l’occasione, citiamo anche alcune star del piccolo schermo, distintesi per le loro performance teatrali. Marco Rossetti e Giulia Fiume hanno portato in scena l’intenso Love’s Kamikaze: oggi sono rispettivamente nel cast di Speravo de morì prima, nei panni niente meno che di Daniele De Rossi, e Le indagini di Lolita Lobosco, in quelli della sorella della protagonista (interpretata da Luisa Ranieri).
In quest’ultimo ha un ruolo importante anche Camilla Diana, vista sul palco ne Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij. E per chi ricordasse la mitica Stefania de I Cesaroni, al secolo Elda Alvigini, sappia che ha dato vita a una serie di show divertenti e originali dal titolo Inutilmentefiga.
Infine poniamo l’attenzione su un’artista poliedrica e stupefacente come Paola Lavini – anche autrice di una sua personale rubrica su TaxiDrivers (clicca qui per leggere l’intervista) – di recente apparsa in Volevo solo nascondermi (202) di Giorgio Diritti.
L’attrice modenese ha al suo attivo un carnet quanto mai variegato. Da I promessi sposi – Opera moderna di Michele Guardì ad Anime nere (2014) di Francesco Munzi, passando per la serie tv Il miracolo. Tra le doti che rendono unica la Lavini, c’è questa sua incredibile padronanza dei dialetti italiani.
Gabriele Muccino e i Manetti Bros.
Il discorso sarebbe molto più ampio e articolato, ma appare abbastanza chiaro quanto il teatro e il cinema siano connessi, oggi più che mai.
Volendo si potrebbe trovare influsso del primo sul secondo addirittura nella filmografia di uno come Gabriele Muccino. I suoi celebri “urlati” ne sono diventati ormai un tratto distintivo e stracopiato.
In fondo la scelta di alzare la voce, tanto da far arrivare anche a quelli in ultima fila tutta una gamma di emozioni, trainate dalla rabbia, dalla gelosia, dall’amore, potrebbe benissimo provenire da un contesto teatrale.
In chiusura, vi lasciamo con una clip di Ammore e malavita (2017) dei Manetti Bros., autori anche di Song’e Napule (2014). Due musical cinematografici debitori di tutta una poetica teatrale (e non solo), a dimostrazione di quanto sin qui illustrato.
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