Katsu Kanai è il cineasta più bizzarro del cinema sperimentale giapponese. Soprattutto nell’ambito del corto e del mediometraggio, con ampie incursioni nel video, Kanai ha espresso il suo demone visionario e selvaggio, le arditezze della contaminazione tra cultura alta e basso consumo, tra gusto pop e iconoclastia viscerale, tra fisicità dello sguardo ed esistenzialismo politico. Nel 1960 Kanai entra a far parte della divisione fotografica della compagnia Daiei e dal 1964 inizia a lavorare come regista indipendente ricoprendo numerosi ruoli all’interno del cinema commerciale. Nel 1968 fonda la casa di produzione Kanai Katsumaru che produrrà i suoi primi lavori, soprattutto la trilogia che lo renderà uno tra i massimi esponenti del cinema d’avanguardia. Di seguito lavora come produttore per la televisione e concepisce numerose opere di poesia visiva. Attualmente insegna presso l’Università di Tokyo Zokei e l’Imagine Forum dell’Istituto di Immagini in Movimento.
Il primo film di Kanai è l’oltraggioso Mujin rettô (1969), opera scritta, prodotta e diretta dallo stesso regista, che ottiene un notevole riconoscimento sia in patria che all’estero vincendo il Grand Prize all’International Film Festival di Nyon del 1970. Il film, definito “un poema visivo grottesco e surreale”, racconta di un ragazzo la cui maturazione personale è dominata da alcune suore; su questo pretesto narrativo, Kanai narra le sue personali esperienze, radicalizzando i deliri del proprio immaginario occulto, inquietante e perverso, in relazione soprattutto ai traumi della gioventù giapponese del dopoguerra in seguito al Trattato di Sicurezza Nippo-Americano, svolgendo quello stile surrealistico e stratigrafico che per influenza dell’opera di Albert Camus lo stesso Kanai definirà “esistenzialista”.
L’opera seconda, Good-bye (1971), è stata girata nel 1970, proprio nel momento dell’incidente di Yodo, quando l’Armata Rossa Giapponese dirottò un aereo della Japan Airlines volando per la Corea del Nord. Noto come il primo film giapponese del dopoguerra girato in Corea del Sud, negli anni del fortissimo conflitto coreano contro i giapponesi a causa della loro esperienza coloniale, racconta come un road movie di un ragazzo afasico alla ricerca delle proprie radici coreane.
Ultimo capitolo della trilogia, Ôkoku (1973) è il più delirante e adopera numerose tecniche del pinku eiga, non per ultime le repentine inversioni tra bianco e nero e lampi di colore . Se, come ha dichiarato il regista, il suo primo film emerse dalle intersezioni tra le sue esperienze, fantasie e la storia del Giappone del dopoguerra, e il secondo dalla ricerca di una lontana terra d’origine, il terzo muove dal dominio di quel solo dio che non si può rifiutare: il dio del tempo. È la storia di un poeta popolare, Goku Katsumaru, e dei suoi tentativi di fondersi con la natura per liberarsi dai vincoli del tempo attraverso le conoscenze acquisite da un gruppo di “borseggiatori del tempo” (tra cui “un disturbato ornitologo che deve passare attraverso l’ano di un’anatra per sconfiggere la sua nemesi, re Chronos”) per la ricerca della trascendenza totale. Come ha scritto Kanai
il film è sia una storia di avventura incredibile che la formulazione kitsch di un nuovo “mito”
Lasciato il cinema per la produzione televisiva, Kanai lavora in seguito alla realizzazione di alcuni poemi visivi girati prima col 16mm e poi col nuovo mezzo tecnico del video. Il suo primo lavoro, del 1991, è Toki ga fubuku, “storia della lotta tra l’età e la gioventù nelle arene del cinema e dell’amore” con stupefacenti effetti cinematografici. Seguono: A Haiku Film, piano sequenza in giro per le stanze della casa di Kanai per catturare il “quotidiano e il fantastico”; e A Poetic Film, sull’opera poetica di Jônouchi Motoharu, intimo amico del regista e attore in due suoi film. Il primo lavoro in video, Sei naru gekijo (1998), “film in evoluzione”, come lo definisce il regista, è un omaggio a quattro suoi fedeli amici che hanno recitato nel terzo film della trilogia: Jônouchi Motoharu, pioniere del cinema giapponese d’avanguardia; Osaka Toku, barista; Satoh Jyushin, critico cinematografico; e Yamatoya Atsushi, regista e sceneggiatore assai vicino a Wakamatsu e Adachi.
L’ultimo lavoro di Kanai, in video, è Super Documentario: La Zenei senjutsu (2003), sul tema di un doppio che vive dentro l’essere umano negli anni in cui invecchia e che per contrasto sviluppa i poteri di un mistico d’avanguardia che trascorre i suoi giorni e le sue notti praticando le sue tecniche.
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