Il terzo e ultimo titolo in programma all’Irish Film Festa Silver Stream è Arracht (Monster), un’opera prima particolarmente suggestiva e di non facile appeal, che richiama il cinema d’autore e se ne fa vanto.
Tom Sullivan sembra confezionare il suo lungometraggio d’esordio seguendo l’esempio di Martin Scorsese e del suo Silence. Ma durante lo scorrere della narrazione, viene da pensare anche a Terrence Malick e ai suoi capolavori immersi nella Natura.
Arracht | La trama e il passaggio ai Festival
Colmán Sharkey (Dara Devaney) vive nella selvaggia regione del Connemara, dove trascorre un’esistenza dedita alla pesca e alla famiglia. Quando la grande carestia si abbatte sulla popolazione irlandese, colpendo in particolar modo la sua piccola comunità, cercherà di ergersi a paladino dei diritti di quest’ultima. Con scarso successo.
Dopo aver deciso di incontrare il lord che riscuote gli affitti, con l’obiettivo di trattare sui prezzi e sulle pretese, si ritrova coinvolto in una notte di violenza e omicidi. Costretto a scappare, perché ingiustamente accusato di crimini che non ha commesso, Colmán si allontana dalla comunità e inizia una vita in solitaria. Sino all’incontro con qualcuno che lo riporterà a contatto con la socialità e le emozioni.
Selezionato anche tra le proposte del 66esimo Taormina Film Festival, Arracht ha vinto l’Audience Award presso il Glasgow Film Festival.
La release ufficiale ha ovviamente subito ritardi a causa dello scoppio della pandemia, per cui è stata spostata al 6 novembre 2020. È stato inoltre scelto come candidato irlandese per partecipare alla rush line dell’Oscar come Miglior Film Straniero.
Le suggestioni dell’Irlanda vivono nell’intimità del protagonista
I paesaggi freddi, incontaminati, duri di quella parte di Irlanda – il film è stato girato lungo le coste della contea di Galway – fanno eco alle vicende del protagonista.
Regna un’atmosfera quasi lugubre, sebbene gli ampi spazi e le larghe vedute suggeriscano invece l’idea di possibilità. La libertà offerta dal mare aperto è infatti insidiosa, richiede sacrifici e sofferenze. Ma è anche piena di insegnamenti, che permettono di crescere, di farsi le ossa, di svelare una parte di se stessi mai immaginata.
Colmán intraprende un viaggio, intimo, personale, difficile. Lo spettatore ne segue le tappe, ma resta in qualche modo fuori. L’animo spezzato dell’uomo trapela da ogni più piccolo dettaglio. Un muro invisibile, invalicabile, lo separa dal resto dell’umanità.
Il meccanismo di empatizzazione incontra così numerosi ostacoli e fa sì che Arracht si rivolga solo a un pubblico più preparato. A ciò si aggiunga il fatto che è tutto recitato in irlandese.
Visivamente fascinoso e notevole, il film gode di una regia in grado di sottolineare, con le immagini e le inquadrature, ciò che si agita dentro il protagonista. Una poesia d’altri tempi.
Un merito a parte lo merita il gruppo folk Kila, che compone la colonna sonora e caratterizza il mood della pellicola.
*Qui la recensione di Wildfire.
*Qui la recensione di The Hunger – The Story of the Irish Famine.
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