Piola, il film su Netflix parla di due giovani che trovano riparo dalle loro vite nel rap, fra precarietà e disagio urbano, sopravvivono con la musica.
Siamo a Quilicura, una cittadina alla periferia della regione metropolitana di Santiago. Dopo una notte brava, trovano un’arma, carica, che sembra pronta all’ennesimo dramma. Dall’altro lato della città, una giovane ragazza di nome Sol smarrisce il suo cane. Nella ricerca di “Cannella”, il suo boxer, vedrà la sua via incrociare quella dei due ragazzi. In un incontro magico che sembrava scritto dal destino.
“Piola” finisce con l’inizio di un’amicizia o di un amore, non si sa come andrà a finire, finisce con l’esplosione di un’affinità fra tre giovani. Con una magia tanto attesa e mai riuscita che alla fine si palesa, chi vedrà il film capirà perché.
La strada è dura
In questo esordio al lungometraggio, Luis Pérez García si cimenta con un film di strada: “crew” più o meno estreme, votate alla cultura hip-hop, fra rime in freestyle e beatbox. Il sogno è vivere di musica. Martin (Max Salgado) e Charly (René Miranda) compongono nuovi pezzi, presiedono interviste a radio indipendenti e perdono i pomeriggi a fumare e a girare videoclip autoprodotti. Questo accade in una zona che sconta tutte le tipicità di un sobborgo della metropoli. A Quilicura “le strade non sono belle”, la strada è dura: droga, rapine, armi e sbandati. Le bande sembrano quelle della città dei “guerrieri della notte”, ma soprattutto a tratti ritroviamo le situazioni della “City of God”, o in “salsa latina” del recente “I Miserabili” e del film di culto “L’Odio”. Sono gli stessi giovani perduti, magari non nell’estremo di una favela. Non c’è la stessa densità demografica, non c’è la stessa varietà etnica, ma vi è certamente lo stesso disagio. Siamo in provincia, anche se a ridosso della città “leviatano”, ma le storie analoghe. Con la componente del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con il difficile percorso verso la maturità.
Abbiamo due ragazzi, i loro amici, e poi una giovane ragazza incompresa che vaga da sola, che cerca sè stessa, il suo cane e l’amore. Tutti sono accumunati dall’incomunicabilità con gli adulti. Con una madre esausta o con un padre che chiede supporto per un trasloco. In questo, Sol (Ignacia Uribe), sembra avere una missione, che non è solo quella di ritrovare “Cannella”, ma anche quello di salvare qualcuno. Sicuramente di redimere i giovani allo sbando che troverà nel suo tragitto. Alla fine un cane si sarà perso ma qualcuno, o qualche altro, troverà un padrone, troverà una salvezza.
Due giorni a Quilicura
Il tutto si svolge in due giorni, storie di vita lontane e vicine che si incrociano, persone che si incontrano. In una magia romantica. Il plot narrativo ancorato sull’intreccio e sul montaggio alternato, mette in serie accadimenti, più o meno normali ad episodi al limite, in un cosmo d’attualità molto reale. Il giovane regista cileno porta il racconto ai bordi della metropoli cilena, riprendendo con stile e intensità la storia di questi ragazzi interrotti, addensando molte delle scene nella strada: camera car, diner, tavole calde, auto, stazioni di servizio. Sta vicino ai volti, ai suoi personaggi, che reggono bene la macchina da presa addosso. Tutti volti con una grande potenza, e lui valorizza i suoi personaggi con efficacia. In questo il cast di giovani attori merita una menzione speciale.
La storia non è nuova, ed è di un modello economico non inclusivo che ancora una volta ha fallito. Ci sono le nuove generazioni che non vengono ascoltate. Gli adulti sono in difficoltà tra case pignorate e lavori sottopagati che li rendono esausti, così come anche i loro figli. Charly, giovane padre, va al lavoro e va a scuola per pagare gli alimenti al figlio. Poi vi è un’altra componente, quella del disincanto, dell’assenza di futuro per questi giovani che saranno sicuramente ai margini, ma non sono rappresentazione estreme della sottocultura, sono ragazzi che tuttavia non vedono gettoni da giocare.
Conflitto generazionale
Si respira la crisi, il Cile non è fra i Paesi più poveri dell’America Latina, ma la difficoltà è davvero globale. In questo viene filtrata dal mondo giovanile, dalla speranza dei loro sogni e dalla ribellione a ciò che è degli adulti, dell’autorità. Le famiglie in difficoltà, il rapporto conflittuale fra padri e figli. Genitori stanchi. Perché effettivamente è l’assenza d’ascolto, anche reciproco, un altro cuore pulsante della problematica. Del conflitto generazionale, qui giace la grande metafora.
Piola è un film sull’incomunicabilità, sulla necessità di un’alternativa, racconta di vite vicine e storie lontane che in realtà sono comuni in altri paesi del mondo. Storie che sembrano legate da sempre, come quelle dei tre protagonisti. Storie destinate ad unirsi in una magia che porta alla ragione e alla maturità. Come quella della giovane Sol, una ragazza solitaria, che porta la luce della ragione fra un gruppo di ragazzi disadattati “in cerca d’autore”.