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Il gabinetto del dottor Caligari e il cinema espressionista tedesco

Uno sguardo d'insieme sulla stagione del cinema espressionista tedesco, cercando soprattutto di osservare il contesto del suo sviluppo

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cinema espressionista tedesco

Nel 2020 è ricorso il centenario dell’uscita del celebre film tedesco Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene, uno tra i primi grandi capolavori della storia cinematografica.

Venne proiettato per la prima volta in pubblico il 26 febbraio del 1920 al Marmorhaus di Berlino, dopo una massiccia e duratura campagna promozionale fatta di manifesti, volantini e pubblicità su giornali. Campeggiava l’enigmatica scritta presente anche nel film, “Du musst Caligari werden!” – “Devi diventare Caligari!”. La prima fu un successo e il film continuò ad attrarre pubblico e ad essere proiettato per diverse settimane.

Si è imposto come pietra miliare, influenzando sin da subito i cineasti tedeschi ed allargando in seguito la propria influenza oltre i confini nazionali, con una introiezione stilistica tuttora vivida. Viene considerato soprattutto come il film-manifesto del cinema espressionista tedesco e come iniziatore di quella fervida stagione comprendente alcuni dei più noti ed importanti film degli anni ’20 e non solo.

Il gabinetto del dottor Caligari è la emanazione cinematografica dell’Espressionismo artistico, diffusosi nei primi anni del Novecento nelle arti figurative, nel teatro e nella letteratura, soprattutto in Germania.

Ma cos’è il cinema espressionista? Quali film sono da includervi oltre a Il gabinetto del dottor Caligari?

Domande che vengono ormai poste da quasi un secolo e a cui viene data risposta in ogni libro, saggio, articolo sull’argomento. Tuttavia non hanno perso il loro fascino e la controversia che le ha sempre contraddistinte. Poiché, soprattutto la seconda, sono fondamentalmente domande aperte, a cui possono essere e sono state date risposte differenti.

Secondo alcuni storici, come Lotte Eisner, esiste solo un film rappresentativo del cinema espressionista in senso pieno, e cioè il Caligari. Rudolf Kurtz, il primo a redigere un’analisi critica del cinema espressionista, si soffermò invece anche su Genuine (1920) e Delitto e Castigo (1923), sempre di Wiene, Von Morgen bis mitternachts (1920) e Das Haus zum Mond (1920) di Karl Heinz Martin e Il gabinetto delle figure di cera (1924) di Paul Leni. Secondo altri ancora, l’Espressionismo è uno stile diffuso in quel periodo in Germania e caratterizza anche svariati film diversi tra loro come Destino (1921), Il dottor Mabuse (1922), Metropolis (1927) di Fritz Lang, Nosferatu (1922) di Murnau, Il golem (1921) di Paul Wegeren e non solo.

Prendendo in prestito la definizione che Alberto Farassino coniò per il neorealismo italiano, possiamo considerare il cinema espressionista come un universo diffuso che si concentra maggiormente in alcune opere ad alta densità e in una in particolare, il Caligari. Ma che può anche presentarsi come fenomeno vagante e trasversale e includere, per alcuni temi, caratteristiche o anche solo per singole sequenze, molti dei film realizzati in Germania negli anni ’20. Alle due domande poste in precedenza se ne può aggiungere una terza, ancor più importante.

Com’è nato il cinema espressionista? Genesi del cinema espressionista tedesco

Era l’alba degli anni ’20, uno dei decenni più importanti per lo sviluppo del cinema, il periodo in cui soprattutto in Europa primeggiava la volontà di sperimentare in un mezzo che era ancora nuovo e che aveva appena raggiunto il quarto di secolo di vita. Una piena e totale affermazione artistica del cinema non era ancora avvenuta e proprio in quegli anni iniziarono le prime riflessioni per arrivare ad un riconoscimento ed un uso più consapevoli del mezzo. Si giunse a questo soprattutto negli anni ’20, quando il ribollire artistico-culturale portò le avanguardie e i movimenti a trovare sbocco anche nel cinema, seguendo l’onda del Futurismo che nel decennio precedente aveva tracciato la strada, non riuscendo a creare film all’altezza dei propositi ma lasciando una grande influenza per tutte le avanguardie successive.

Tuttavia, l’Espressionismo cinematografico gravita attorno alla corrente artistica senza esserne risucchiato e senza farne parte totalmente.

Come accade quasi sempre, il cinema attua un processo di ibridazione assorbendo varie anime per poi rimodularle.

D’altronde per il cinema espressionista non fu scritto un manifesto, come invece accadde nei casi di altre avanguardie o successivamente per il Nuovo cinema tedesco, ed è anche per questo che non è semplice definirlo ed individuarne i confini.

Altrettanto importante è delineare il contesto sociale e culturale di quel periodo, in cui gli schermi cinematografici si popolarono di spettri, ombre, sonnambuli, vampiri, Morte, castelli e foreste. Sono gli anni della neonata Repubblica di Weimar, sorta alla fine del 1918 dopo la conclusione della Prima Guerra Mondiale. La disastrosa esperienza in guerra, la violenta crisi economica postbellica, i conflitti interni con tentativi rivoluzionari e scontri ad opera di estremisti di destra e di sinistra portarono ad un periodo di grandi tensioni e sofferenze per il popolo tedesco, con prospettive, a posteriori, tutt’altro che rosee. Il cinema tedesco degli anni ’20 sembra originarsi proprio dal tormento e dall’oscurità che ammantavano la Germania.

Un risveglio del recondito che ha permesso alle creature del sogno e dell’incubo di prendere vita, con la creazione di mondi fantasmatici in cui il reale è ribaltato e messo in dubbio.

Tali atmosfere e sentimenti, certamente acuiti dagli avvenimenti, sono però atavicamente radicati nel popolo tedesco. I racconti e i fantasmi del Romanticismo non si sono mai assopiti del tutto. Anzi, a inizio Novecento trovarono un rinnovato vigore, traendo nuova linfa e portando alla rinascita dell’eterna attrazione verso ciò che è oscuro e indeterminato. Percezioni definite e rispecchiate anche dal pensiero di filosofi come Kierkegaard e Nietzsche. Il concetto di demoniaco di cui parlava il filosofo danese, inteso come generazione di precarietà, insicurezza, squilibrio nel soggetto, così come la riflessione di Nietzsche sulla crisi dell’oggettività a favore della soggettività, sulla perdita del mondo reale a favore dell’apparenza, si sono diffusi enormemente nel Novecento nella cultura tedesca e soprattutto hanno fatto da base per avanguardie come l’Espressionismo. E, insieme ai temi freudiani della psicoanalisi, dell’inconscio e del perturbante, danno forma e prendono vita in molti dei film espressionisti e nei personaggi che li incarnano.

È proprio in tale contesto che fu realizzato Il gabinetto del dottor Caligari che convenzionalmente è considerato il caposcuola della stagione del cinema espressionista. Un film che si lega all’Espressionismo, l’orientamento artistico che andava ad opporsi all’Impressionismo e al Naturalismo, proponendo l’esaltazione della soggettività e della ri-creazione di un mondo altro, staccato dal reale ed improntato sulla visione, sull’astrazione e sull’espressività.

Tuttavia, nonostante la sua elevazione a “film d’arte”, non si deve pensare al Caligari come a un film di nicchia, opposto alle logiche commerciali. Perché se da una parte effettivamente c’era l’intenzione di produrre film culturalmente “alti”, per raggiungere anche un pubblico colto e più variegato, il Caligari rientra a tutti gli effetti in quella che possiamo considerare una grande produzione, in un paese, la Germania, che rappresentava il secondo mercato cinematografico mondiale più importante dopo gli Stati Uniti. Ne è prova la grande campagna promozionale che precedette la première.

Uno dei produttori decise di ricorrere a scenografie eccentriche per sottolineare maggiormente la follia del film. Fu così che si legarono all’Espressionismo, realizzando fondali disegnati in stampo pittorico e teatrale. Nondimeno, una scelta di questo tipo permetteva di ridurre i costi, e nel periodo della forte crisi economica che attanagliava il paese, non era certamente un aspetto di poco conto.

il gabinetto del dottor Caligari

Influenze e caratteristiche del cinema espressionista

I film di questo periodo inevitabilmente finirono con l’approssimarsi all’Espressionismo, riprendendone soprattutto la forte distorsione del segno. Dell’inquadratura, in questo caso. Per le scenografie e la composizione dell’immagine, Kirchner e il movimento del Die Brücke rappresentarono un importante modello. Così come il teatro espressionista, i cui spettacoli negli anni ’10 divennero molto frequenti e rilevanti. In particolare nel Caligari e nei film che gli sono stilisticamente più vicini, il profilmico è sottoposto ad una continua opera di manipolazione. Un lavoro che non consiste solo nella creazione di scenografie asimmetriche, deformate e antinaturalistiche ma che carica fino al parossismo tutti gli elementi che si trovano di fronte alla camera. Lo spazio, la recitazione, le luci.

I volti appaiono spesso truccati in modo marcato e la recitazione evita del tutto il naturalismo per caricarsi di espressività. Ne sono esempi indicativi Werner Krauss e Max Schreck, nei panni di Caligari e Nosferatu, personaggi assorti ad icone e attori abilissimi nel dar vita a figure provenienti dalle tenebre più profonde. Ma è soprattutto l’illuminazione a caratterizzare trasversalmente i film espressionisti. L’uso esasperato delle luci, spesso orizzontali e poste in basso, crea forti contrasti tra luce e ombra, che diventano quasi un problema metafisico. Simbolo del bene che soccombe di fronte al male. Un’illuminazione che viene sottratta a un impiego meramente funzionale per acquisire un forte potere di astrazione, diventando un fattore di formazione dello spazio.

La penombra e i contrasti del chiaroscuro, elementi ricorrenti nell’Espressionismo e nella cultura tedesca, vengono così esaltati ancor più attraverso il cinema, con la creazione di ombre correlate alla plasticità degli oggetti e al dinamismo di linee e superfici. L’immagine diventa un elemento totalmente espressivo, proveniente dall’inconscio e dal tormento interiore per esteriorizzarsi in una totale soggettività, in un mondo fantasmatico plasmato e rimodellato. Permeata di quel simbolismo e astrattismo a cui tendeva in precedenza l’Espressionismo nelle sue altre forme.

Le storie attingono a piene mani dalla categoria del fantastico e sono spesso misteriose, allusive, simboliche, in alcuni casi raccontate come gigantesche allucinazioni (Caligari, Il gabinetto delle figure di cera) o come maledizioni (Nosferatu). I personaggi vanno incontro a un destino di infelicità o morte, sono avvolti in atmosfere ossessive e irrequiete nel loro incedere stralunato, delirante o tormentato. Quasi tutti i film espressionisti sono profondamente segnati dalla morte, che appare sotto svariate forme, anche tramite personificazione, come in Destino di Fritz Lang. Così come viene sviluppato frequentemente il tema del doppelgänger, del doppio, che emerge molto spesso.

Sono storie ed elementi narrativi che provengono in larga parte da racconti e romanzi ottocenteschi, in particolare connessi al Romanticismo. Parte integrante ormai del bagaglio culturale del popolo tedesco. Goethe, ma soprattutto E.T.A. Hoffmann, sono due tra i padri del racconto espressionista, a cui molti film fanno riferimento. Così come la pittura di Caspar David Friedrich riecheggia principalmente nel Nosferatu di Murnau. Il cinema è apparso come lo strumento per eccellenza dell’angoscia romantica tedesca, capace di rendere il clima fantastico di visioni evanescenti nello spazio irreale dello schermo.

Altrettanto o ancor più importanti sono i legami che riconducono al teatro di Max Reinhardt. Nel “suo” Deutsches Theater si formarono alcuni dei più grandi attori dell’epoca come Werner Krauss, Emil Jannings, Paul Wegener (anche regista delle due versioni de Il Golem), Conrad Veidt, Marlene Dietrich e moltissimi altri. Ma anche registi come Friedrich Wilhelm Murnau, Ernst Lubitsch, Georg Wilhelm Pabst, Fritz Lang, Leni Riefenstahl, Otto Preminger. A conti fatti si è rivelato uno dei più grandi maestri di sempre e punto di origine di gran parte del cinema tedesco. I cineasti misero in pratica i suoi insegnamenti e le sue trovate, soprattutto legate all’utilizzo della scenografia e all’illuminazione chiaroscurale. Fu proprio il suo lavoro, oltre all’impatto di pittori nordici, ad anticipare l’uso del chiaroscuro successivamente sviluppato nel cinema.

Cinema espressionista tedesco

Il gabinetto del dottor Caligari

Come detto, la caratteristica più evidente del film è il lavoro che fa sulle immagini, permeate di elementi scenografici, plastici, stilistici che si rifanno in maniera esplicita alla corrente artistica dell’Espressionismo. In quel periodo l’avanguardia espressionista si era trasformata in un fenomeno alla moda, noto e apprezzato da moltissime persone che non si trovarono così impreparate di fronte alle immagini del Caligari. Gli scenografi del film, Hermann Warm, Walter Reimann e Walter Röhrig, si basarono proprio sui modelli dei fondali teatrali dei drammaturghi espressionisti più rappresentativi e sulle immagini pittoriche antinaturalistiche e stilizzate di Kirchner e del Die Brücke, i massimi esponenti dell’Espressionismo pittorico.

Le scenografie esaltano dunque il tratto espressivo e interiore, producendo un mondo che si oppone alla realtà, in cui l’oggettivo viene ribaltato per dare spazio alla soggettività e in cui gli elementi della psiche si manifestano in un’atmosfera spettrale e fantasmatica. L’effetto pittorico pertanto non è assorbito e nascosto nell’illusione fotografica ma viene esibito e manifestato nel modo più plateale. Si palesa in sedie dallo schienale esageratamente alto, in strade disegnate a serpentina che non portano da nessuna parte, lampioni obliqui che illuminano a vuoto, finestre triangolari, edifici dalla forma strana, forme geometriche bizzarre e allucinate. Un ambiente completamente trasfigurato e frutto delle ossessioni più profonde della mente, con cui i personaggi devono fare i conti, adattandosi ad esso e al tempo stesso producendolo.

La distorsione dell’immagine non si limita alla scenografia ma comprende anche un uso esasperato delle luci, che creano forti contrasti e ombre spesso oblique che squarciano l’immagine. Gli attori, soprattutto coloro che interpretano Caligari e Cesare, sono truccati in modo marcato, esteriorizzando i loro tratti interiori, e la recitazione è esasperata. L’immagine prodotta è dunque fortemente artificiale, priva di profondità, distorta e avvolta su sé stessa. Una realtà deflagrata e ribaltata, che rispecchia il sentimento dell’Europa e della Germania, in particolare, del dopo guerra. Prevalgono inquadrature fisse e durature, organizzate come un mondo completo in sé stesso, disposte attorno alla figura degli attori.

Altra base di ispirazione furono le scenografie del pittore italiano Prampolini per Thaïs di Anton Giulio Bragaglia, l’unico film legato al movimento futurista, seppur non ne faccia pienamente parte, arrivato fino a noi. Non il solo legame del Caligari con l’Italia, in quanto le musiche originali furono realizzate da Giuseppe Becce, compositore italiano trasferitosi in Germania e attivo nell’ambito del cinema muto tedesco.

La sceneggiatura fu scritta da Hans Janowitz e Carl Mayer, ma la stesura da loro realizzata prevedeva delle significative variazioni rispetto a quella che fu messa in scena. Il prologo si sarebbe dovuto svolgere in una terrazza, alla presenza di Francis, Jane e alcuni amici a cui il protagonista avrebbe raccontato le malvagie azioni di Caligari. Il finale prevedeva unicamente la cattura del dottore, senza dubbi sulla sua doppia identità o riferimenti alla pazzia di Francis.

Non vi è certezza su chi sia stato l’autore di tali modifiche, ma molto probabilmente sono da ascrivere a Robert Wiene, che mutò il finale rassicurante della versione originale così come il suo carattere netto e conclusivo, donando invece una maggiore complessità all’opera e un valore di perturbante ambiguità e di indecidibilità narrativa. Un approccio che pervade l’intero film e che deflagra nel primo piano finale sul volto del direttore del manicomio, che apre a molte domande su ciò che crediamo di aver visto e sulla sua identità. Domande a cui non c’è risposta.

Vero e falso, realtà e fantasia, pazzia e normalità convivono in un unico spazio e in un unico tempo, intrecciandosi in maniera inestricabile.

In tal senso il Caligari è probabilmente il primo film assolutamente moderno.

il gabinetto del dottor Caligari

Il tema dell’autorità, della ricerca del potere, è rappresentato dalla volontà di Caligari: riesce a controllare la mente di Cesare, in totale balìa del dottore. Tema che ricorre in tutto il film, finanche simbolicamente nei dettagli scenografici. Dalle sedie di altezza fuori dal normale su cui sono seduti i funzionari municipali; alle scalinate di molti gradini che portano alla sede della polizia e ai piani alti del manicomio. Il raggiungimento del potere tramite l’intervento ipnotico di Caligari anticipa, in modo curioso e macabro, l’avvento di Hitler. L’individuo che tra i primi, esercitò quella manipolazione della mente su ampia scala. Accostamento che può risultare forzato, ma frutto, evidentemente, di sensazioni e oscure percezioni basate sulla lenta evoluzione su cui si poggia la vita di un popolo.

Il gabinetto del dottor Caligari è un film che verte moltissimo anche sul tema del doppio. Caligari e Cesare; Cesare e le sue immagini riflesse nei manifesti della fiera e nel fantoccio utilizzato dal dottore; Caligari e lo stesso Francis, entrambi finiti nella medesima cella ed entrambi accusati di pazzia come se fossero due identità della stessa persona. Ma soprattutto l’ombra, il doppio per eccellenza, la proiezione del corporeo, l’oscurità che si manifesta. Molte ombre avvolgono i fondali e le scenografie, ma è un concetto che si lega soprattutto a Cesare. Il momento in cui uccide Alan è mostrato tramite le loro ombre e quando raggiunge l’abitazione di Jane per ucciderla. Cammina rasente il muro, diventando quindi egli stesso un’ombra. L’ombra legata al corpo di Caligari e da lui controllata, una proiezione giunta direttamente dalle profondità degli abissi. Il controllo si spezza in un unico momento: quando Cesare si trova di fronte a Jane e forse per amore, forse toccato dalla visione, decide di non ucciderla.

Per moltissimi anni critici e teorici hanno considerato gli scenografi e gli sceneggiatori come i veri autori del film, relegando Robert Wiene sullo sfondo, reputato un regista “fantasma”.

Nel corso del tempo questa convinzione è stata scardinata e il suo ruolo è stato giustamente riconosciuto. Abile nel gestire ed integrare perfettamente tutte le varie componenti e primo responsabile del carattere di oscura ambiguità che contraddistingue il film. Con le scelte narrative, ma anche con la gestione dei primi piani, degli sguardi, dei punti di vista e dell’inquadratura finale. Non solo, dunque, elementi pittorico-teatrali, ma anche puramente filmici.

Prima e dopo il Caligari

Come abbiamo visto finora, il Caligari ha attinto da elementi e tendenze fortemente radicate nella cultura tedesca. Nel cinema, quando si parla di movimenti, generi, filoni non si ha quasi mai un inizio brusco ed improvviso. Si trovano spesso dei precursori, come in questo caso. Alcuni dei film realizzati negli anni ’10 vanno ad anticipare sul piano formale e tematico il vero e proprio cinema espressionista. Si tratta di film come Lo studente di Praga (1913) di Stellan RyeL’altro (1913) di Max Mack; Homunculus (1916-1917), film in sei episodi di Otto Rippert e Il Golem (1915) di Henrik Galeen e Paul Wegeren, andato perduto. Film caratterizzati da tematiche e dallo sfruttamento delle potenzialità della luce e del chiaroscuro ripresi e sviluppati in seguito dall’Espressionismo.

Spostandoci negli Stati Uniti, nel 1915, I prevaricatori di Cecil B. DeMille fece un notevole uso dell’ombra e dell’illuminazione contrastata. Curiosamente, è uno dei film che risultò più importante per le avanguardie cinematografiche europee. Oltre all’utilizzo delle luci, fu soprattutto il volto dell’attore protagonista, Sessue Hayakawa, a destare stupore. Una maschera che dietro la sua apparente immobilità celava un numero infinito di espressioni e sfumature; creando dibattiti legati alla fotogenia che andarono ad influenzare fortemente il cinema francese.

È proprio negli Stati Uniti, dopo il tramonto del periodo tedesco, che gli elementi propulsori espressionisti hanno trovato principalmente una introiezione, intessendosi nel panorama cinematografico. Con l’avvento nel nazismo tantissimi registi, attori, sceneggiatori, tecnici tedeschi si trasferirono ad Hollywood. Le ombre espressioniste confluirono dunque nel filone horror della Universal e nel noir, successivamente. Noir che, ad esempio, divenne proprio il genere di riferimento del periodo americano di Fritz Lang. Ma l’influsso dell’Espressionismo è riscontrabile in un’infinità di film e di registi. Si pensi, solo per fare alcuni esempi, a Quarto potere, Alfred Hitchcock, Le due sorelle di Brian De Palma, Shutter Island di Scorsese. Per concludere con il caso forse più eclatante, ovvero il cinema di Tim Burton.

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